Il tema non è nuovo. Alcuni
degli scriventi ne hanno trattato sul manifesto. La
sinistra ha, in Italia, la possibilità di indicare una
soluzione non contingente né transitoria al problema
gigantesco dell’immigrazione. Lo può fare nel migliore dei
modi, risolvendo al tempo stesso alcuni suoi drammatici
problemi demografici, territoriali, economici e
sociali. Noi possiamo indicare agli italiani, contro la
politica della paura e dell’odio, una prospettiva che non
è solo di solidarietà e di umano e temporaneo soccorso
a chi fugge da guerre e miseria.
Con le donne, gli uomini e i
bambini che arrivano sulle nostre terre noi possiamo
costruire un inserimento stabile e cooperativo,
relazioni umane durevoli, fondate su nuove economie che
gioverebbero all’intero Paese. Gli scriventi ricordano
che l’Italia soffre di un grave squilibrio nella
distribuzione territoriale della sua popolazione.
Poco meno del 70% di essa vive insediata lungo le fasce
costiere e le colline litoranee della Penisola, mentre
le aree interne e l’osso dell’Appennino, soprattutto al
Sud, sono in abbandono.
Sempre meno popolazione,
in queste zone, fa manutenzione del territorio,
controlla i fenomeni erosivi, sicché nessun filtro e
protezione – come è accaduto per secoli – si oppone alle
alluvioni che di tanto in tanto precipitano con
violenza nelle valli e nelle pianure. Non solo dunque la
gran parte della popolazione, ma la ricchezza nazionale
(città e abitati, aziende, infrastrutture viarie e
ferroviarie, ecc) è sempre più priva, a monte , di
difese rispetto ai fenomeni atmosferici estremi dei
nostri anni. Ma non dobbiamo soltanto fronteggiare tale
minaccia.
Lo spopolamento,
l’invecchiamento di popolazione, la denatalità delle
aree interne costituisce, in sé, una perdita
incalcolabile di ricchezza. Vengono abbandonate terre
fertili che erano state sedi di agricolture, i boschi si
inselvatichiscono e non vengono più sfruttati, gli
allevamenti di un tempo scompaiono. Al tempo stesso
borghi e paesi decadono, perdono i presidi sanitari, le
scuole, i trasporti. E in tale progressivo abbandono
degradano case, palazzi edifici di pregio, monumenti,
piazze: in una parola un immenso patrimonio di edificato
rischia di andare in rovina insieme ai territori rurali.
Ebbene, queste aree non
hanno bisogno che di popolazione, di nuove energie, di
voglia di vivere, di lavoro umano. Queste terre possono
rinascere, ricreare le economie scomparse o in declino
con nuove forme di agricoltura che valorizzino
l’incomparabile ricchezza di biodiversità
dell’agricoltura italiana. In questi luoghi si può creare
reddito con nuove forme di allevamento, in grado di
utilizzare immensi spazi oggi deserti, controllando le
acque interne ora in disordine e trasformandole da
minacce in risorse. In questi paesi può nascere un vasto
movimento di edilizia da restauro dell’esistente, capace
di rimettere in sesto il patrimonio abitativo. Senza
dire che in molti di questi borghi anche i nostri giovani
possono sperimentare un nuovo modo di vivere il tempo
quotidiano, di sfuggire alla fretta che svuota l’animo e
frammenta ogni soggettività, di creare relazioni
solidali, di scoprire la bellezza del paesaggio, di
curare la natura e gli animali. Si ciancia sempre di
crescita, mai di arricchire di senso la nostra vita.
Ebbene in che modo, con che
mezzi, con quali forze si può perseguire un così
ambizioso progetto?
La prima cosa da fare è
cancellare la legge Bossi-Fini e cambiare atteggiamento
di legalità di fronte a chi arriva. Occorre dare agli
immigrati che vogliono restare la possibilità di
trovare un lavoro in agricoltura, nell’edilizia, nella
selvicoltura, nei servizi connessi a tali settori, nel
piccolo artigianato. Non si capisce perché i giovani
del Senegal o dell’Eritrea debbano finire schiavi come
raccoglitori stagionali di arance o di pomodori e non
possano diventare coltivatori o allevatori in
cooperative, costruttori e restauratori delle case che
abiteranno, dei laboratori artigiani in cui si
insedieranno altri loro compagni. Ricordiamo che oggi
l’ agricoltura non è più un semplice settore
produttivo di beni agricoli, ma è un ambito economico
multifunzionale. Nelle aziende agricole oggi si fa
trasformazione artigianale dei prodotti, piccolo
allevamento, cucina locale, commercio, turismo,
assistenza sociale, attività didattica. E’ una rete di
attività e al tempo stesso un mondo di relazioni umane.
La seconda cosa da fare è
avviare e mettere insieme un vasto movimento di sindaci.
Su tale fronte, la strada è già aperta. Mimmo Lucano e
Ilario Ammendola, sindaci di Riace e Caulonia, in
Calabria, hanno mostrato come possano rinascere i paesi
con il concorso degli immigrati, se ben organizzati e
aiutati con un minimo di soccorso pubblico.
I sindaci dovrebbero fare
una rapida ricognizione dei terreni disponibili nel
territorio comunale: patrimoniali, demaniali,
privati in abbandono e fittabili, ecc. E analoga
operazione dovrebbero condurre per il patrimonio
edilizio e abitativo. A queste stesse figure
spetterebbe il compito di istituire dei tavoli di
progettazione insieme alle forze sindacali, alla
Coldiretti, alle associazioni e ai volontari presenti
sul luogo. Se i dirigenti delle Cooperative si
ricordassero delle loro origini solidaristiche
potrebbero dare un contributo rilevantissimo a tutto
il progetto.
Sappiamo che a questo
punto si leva subito la domanda: con quali soldi? E’ la
risposta più facile da dare. Soldi ce ne vogliono pochi,
soprattutto rispetto alle grandi opere o alle altre
attività in cui tanti imprenditori italiani e gruppi
politici sono campioni di spreco. I fondi strutturali
europei 2016–2020 costituiscono un patrimonio
finanziario rilevante a cui attingere. E per le Regioni
del Sud costituirebbero un’ occasione per mettere a
frutto tante risorse spesso inutilizzate.
E qui le forze della
sinistra dovrebbero fare le prove di un modo antico e
nuovo di fare politica, mettendo a disposizione del
movimento i loro saperi e sforzi organizzativi, le
relazioni nazionali di cui dispongono, il contatto coi
media. Esse possono smontare pezzo a pezzo l’edificio
fasullo della paura su cui una destra inetta e senza idee
cerca di lucrare fortune elettorali. L’immigrazione può
essere trasformata da minaccia in speranza, da disagio
temporaneo in progetto per il futuro. Così cessa la
propaganda e rinasce la politica in tutta la sua
ricchezza progettuale. In questo disegno la sinistra
potrebbe gettare le fondamenta di un consenso ideale
ampio e duraturo.
Piero Bevilacqua,
Franco Arminio, Vezio De Lucia, Alfonso Gianni,
Maurizio Landini, Tonino Perna, Marco Revelli, Edoardo
Salzano, Enzo Scandurra, Guido Viale