L’Italia ha questa prerogativa: l’informazione è nelle mani di pochi
gruppi editoriali con molti conflitti d’interesse e la TV pubblica in
quelle dei partiti, tra poco secondo il disegno di Renzi nelle mani del
solo governo.
Così vanno le cose nel nostro spensierato Paese, e del resto l’abbiamo
già vissuta per vent’anni con Berlusconi quella gran cassa, tant’è che
ci sembrava poca cosa la “trincea” di RAI 3 che fungeva da canale
informativo dell’opposizione civile alla “videocracy” del “signore di
Arcore”.
Poi c’è stata la crisi che è esplosa nel 2008, ma che nei nostri
telegiornali ha fatto capolino almeno tre anni dopo, perché fino al 2010
la “nave di Silvio” andava alla grande anche se erano già evidenti
tutti gli effetti della crisi. Nel 2011 c’è stato il “botto” e non si è
potuto più nascondere che eravamo stati commissariati dall’Europa e che
avevamo come suol dirsi “le pezze al sedere”.
Dopo Berlusconi però l’informazione se possibile s’è ancor più
istituzionalizzata, ovvero la gestione della crisi nei tre governi non
eletti che si sono succeduti (Monti, Letta ed ora Renzi) è stata ed è
all’insegna del “c’è solo una ricetta, there is not alternative”. Il
caro tg3 ha tolto il basco rosso e ha infilato la marsina a coda di
rondine del ciambellano di governo.
Nell’informazione locale la situazione non è certo migliore, c’è una
sistematica manipolazione di senso: si va dal silenzio assoluto,
all’esaltazione di tutto ciò che fa riferimento ai soggetti al potere.
Il quadro in Emilia-Romagna…
In Emilia Romagna esiste un solo partito di governo accreditato, il PD.
Così assistiamo ad ogni possibile contorsione dell’informazione per
dimostrare che esso è destinato a governare in ogni caso e a prescindere
(qualcuno ad esempio ha per caso compreso nelle paginate che si leggono
ogni giorno, i contenuti politici e programmatici che oppongono i
detrattori di Merola ai suoi difensori?) Viceversa tutti gli altri
soggetti politici portatori di istanze alternative sono rappresentati
come improbabili oppositori, incapaci oppure estremisti poco affidabili
alle cui attività se va bene, sono concessi trafiletti, a meno che non
combinino qualche bischerata come spaccare una vetrina, litigare al
proprio interno, registrare un flop.
Ciò avviene per tutti i possibili argomenti dai temi politici generali
ma soprattutto per le notizie economiche, come per esempio quelle
relative a progetti infrastrutturali, autostrade ecc. in cui
l’asservimento è totale perché naturalmente gli interessi sono ancora
più forti. Non è dato di poter avere sugli organi di stampa la benché
minima seria analisi delle ragioni di chi pensa diversamente, rispetto a
People mover, Passante, bretelle, rotonde. Tutto ciò che odora
d’asfalto è cemento rappresenta la quintessenza del bene, chi si oppone
sono inconcludenti idealisti con il fiore al naso. Anche se vestono i
panni di autorevoli urbanisti e giuristi.
Se analizziamo la stampa cartacea, su argomenti di carattere dirimente
non viene espressa alcuna vera dialettica d’opinioni: c’è stato un
tremendo calo di votanti alle ultime elezioni: il 60% è rimasto a casa
nella Regione della partecipazione. Qualcuno ricorda un quotidiano che
abbia svolto una seria indagine sulle cause? Per niente. Sul fatto
increscioso è calato il velo dell’oblio. E’ questa l’informazione che fa
crescere un’opinione pubblica consapevole?
…e nella nostra città
Il mercato dei quotidiani a Bologna è sostanzialmente immobile, diviso
tra “Il Carlino” che perde copie, ma rimane il giornale tradizionalmente
di riferimento del “popolo”, La Repubblica l’equivalente della Pravda,
il Corriere di Bologna terzo a distanza, espressione di interessi
imprenditoriali e comunque a sostegno dello status quo.
Fino a qualche anno fa c’era l’Unità, ma è defunta ed aveva fatto
capolino un giornale “civico di sinistra” il Domani che non ha avuto
buona fortuna. On-line si contendono la leadership la Repubblica ed il
Fatto quotidiano, che è l’unico di tanto in tanto a dare battaglia.
Esiste su internet una diffusissima e articolata rete di giornali,
riviste, siti e blog, social media che tenta di svolgere una funzione di
controinformazione, ma certo rivolta ad un segmento ancora limitato di
utenti.
In sostanza ci troviamo di fronte a due grandi problemi: il primo è la
mancanza di un serio pluralismo nell’informazione. Siamo in un paese in
cui il pensiero critico è osteggiato in ogni sua espressione, e se mai
vengono esaltati elementi grotteschi dell’esibizionismo kitsch ma non il
pensiero e la cultura della differenza.
L’altro grande problema è il controllo dell’informazione ed il conflitto
d’interessi. La concentrazione editoriale dovrebbe essere bandita ed
invece corriamo il rischio che il più grande editore di televisioni e
libri conquisti anche il principale quotidiano, mentre l’altro editore
di riferimento, cioè il gruppo Espresso Repubblica, fagociti tutta la
stampa locale, mentre giornali indipendenti chiudono per mancanza di
risorse.
E’ un caso che la crisi dei quotidiani ha raggiunto il codice rosso? I
principali gruppi editoriali italiani (Rcs, Espresso, Mondadori, Monrif,
Caltagirone, La Stampa, Il Sole 24 Ore) hanno perso tra il 2009 e il
2013 il 27,7% dei ricavi. Il calo delle vendite di quotidiani nel
periodo è stato del 45% (dati Mediobanca).
Quindi scarso pluralismo dell’informazione è sinonimo di poca
trasparenza, difesa di rendite di posizione, conflitti d’interesse,
scarso dinamismo, scollegamento dall’economia e dalla società reali,
democrazia debole, editoria in crisi. Non è venuto il momento di
cambiare verso?
Secondo il ranking del World Press Freedom Index (index.rsf.org) l’Italia mantiene rispetto alla libertà di stampa ed alla qualità dell’informazione il suo 73° post, al di sotto di un bel po’ di paesi africani ed asiatici. Non c’è da andar fieri per uno dei membri principali della comunità europea, in cui si oscilla dal primo posto della Finlandia al trentottesimo della Francia. Riportiamo per la riflessione di tutti una forte denuncia.