Nata alla fine degli anni ’80 all’insegna della «trasparenza» e della
«correttezza», dopo venticinque anni la legge n. 185 del 9 luglio del
1990 sul commercio delle armi all’estero è diventata l’esatto opposto.
Le regole non vengono rispettate, il traffico delle armi dall’Italia
ormai è totalmente fuori controllo e le autorizzazioni sono spesso
difficili da controllare. I motivi sono molteplici, tra gli interessi
della ricca lobby delle armi italiana fino alle banche che incassano
ingenti guadagni dall’intermediazione delle vendite. È questo il filo
conduttore per capire la relazione che la Rete Italiana per il Disarmo
ha presentato il 9 luglio a Roma. Si tratta del primo bilancio di un
quarto di secolo di esportazioni dell’industria armiera italiana, tra le
numero uno al mondo. Analisi che permette di vedere come gli ultimi
governi non abbiano fatto altro che aggirare possibili modifiche alla
normativa, lasciando tutto inalterato.
E se alla fine degli anni
’70 e ’80 il problema era la totale noncuranza sui Paesi a cui venivano
vendute le armi, in barba a ogni possibile rispetto dei diritti umani,
lo stesso problema sembra porsi oggi. Con un governo e un Parlamento
ancora incapaci di controllare i traffici dal nostro Paese verso Stati
in conflitto. Basta guardare i numeri e i dati per notare come ad un
aumento delle tensioni in Medio Oriente corrisponda l’incremento
dell’esportazione di armamenti verso paesi come Algeria o Libia.
Eppure
la 185 prevedeva il divieto di esportazione di armamenti verso Paesi in
stato di conflitto armato, o paesi la cui politica contrasta con
l’articolo 11 della Costituzione italiana, quello secondo cui «L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni
di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni
internazionali rivolte a tale scopo». Le cose sono andate diversamente.
Dalle
analisi del gruppo di lavoro dell'Archivio Disarmo (costituito da Luigi
Barbato, Laura Zeppa e Maurizio Simoncelli) con Giorgio Beretta di Opal
e il coordinatore Francesco Vignarca, emerge una semplice domanda.
«L’esportazione dall’Italia di armamenti è stata effettuata dai vari
governi con rigore? A giudicare dai numeri è lecito sollevare più di
qualche dubbio. In questi 25 anni, infatti, i sistemi militari italiani
sono stati esportati a ben 123 nazioni, tra cui alle forze amate di
regimi autoritari di diversi paesi come l’Arabia Saudita, gli Emirati
Arabi Uniti, l’Egitto, la Libia, la Siria, Kazakistan e Turkmenistan, a
paesi in conflitto come India, Pakistan, Israele ma anche la stessa
Turchia, fino a paesi con un indice di sviluppo umano basso come il
Ciad, l’Eritrea e la Nigeria. Che tipo di controlli siano stati messi in
atto sull’utilizzo da parte dei destinatari finali non è però dato di
sapere».
I numeri fanno impressione. «Nel corso di questi 25 anni
sono state autorizzate esportazioni dall’Italia, in valori costanti,
per oltre 54 miliardi di euro e consegnati armamenti per più di 36
miliardi con un trend decisamente crescente nell’ultimo decennio». Non
solo. «In particolare, più della metà (il 50,3%) delle esportazioni ha
riguardato paesi al di fuori delle principali alleanze politico-militari
dell’Italia e cioè i paesi non appartenenti all’UE o alla Nato: un dato
preoccupante se si considera che – secondo la legge 185/1990 – le
esportazioni di armamenti «devono essere conformi alla politica estera e
di difesa dell’Italia».
Ma ancora più preoccupanti sono le zone
geopolitiche di destinazione. «Se primeggiano i paesi dell’UE (più di
19,4 miliardi di euro pari al 35,9 per cento), sono però di assoluto
rilievo anche le autorizzazioni per esportazioni di sistemi militari
verso le aree di maggior conflittualità del mondo come i paesi del Medio
Oriente e Nord Africa (MENA) che nell’insieme superano i 12,5 miliardi
di euro (23,2 per cento) e dell’Asia (8,3 miliardi pari al 15,4 per
cento).
Ai paesi del Nord America sono stati esportati armamenti
per 5 miliardi (9,3 per cento) mentre ai Paesi europei non-Ue (tra cui
la Turchia) materiale per oltre 3,8 miliardi (7,1 per cento). Minori, ma
non irrilevanti, anche le autorizzazioni che riguardano i paesi
dell’America Latina (2,4 miliardi pari al 4,5 per cento), dell’Africa
subsahariana (oltre 1,3 miliardi pari al 2,4 per cento), tra cui
soprattutto Sudafrica e Nigeria. Ma c’è anche l’Oceania (1,1 miliardi
pari al 2,1 per cento). E proprio verso le zone di maggior tensione del
mondo, come i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, sono andate
crescendo negli ultimi anni le esportazioni».
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