Le uscite estive dell’onorevole Alfano e del Presidente della Bce, Mario Draghi, hanno comportato una accelerazione improvvisa del procedimento di approvazione del Jobs Act, che si traduce in un attacco di gravità senza precedenti contro i residui diritti dei lavoratori, non solo per i contenuti, ma anche per il metodo che rappresenta una vera e propria negazione della democrazia parlamentare.
E’ facile spiegare le ragioni di questo drastico giudizio: ciò
che i media chiamano seconda parte del Jobs Act è, tecnicamente, un
progetto di legge-delega (il n. 1428 del 14/04/2014 ) composto in
tutto di sei articoli. Il più importante è l’art. 4 il quale affida al
Governo una “delega in bianco” per riscrivere, in sostanza, l’intero
diritto del lavoro, senza che i parlamentari, una volta approvata la
delega sotto il solito ricatto del voto di fiducia, possano più dire
una parola o esprimere un voto sul merito della nuova
regolamentazione. L’esautorazione del Parlamento sta diventando
un vero costume autocratico dell’era Renzi.
Sarà infatti solo il Governo, con i suoi “esperti” (tutti notoriamente
di parte data datoriale) a scrivere i conseguenti decreti delegati
che i parlamentari conosceranno solo a cose fatte.
E’ un programma quanto mai preoccupante per la nostra democrazia, ma riteniamo anche incostituzionale e proprio sulla incostituzionalità di siffatti decreti, derivanti da una delega in bianco, ci si deve soffermare prima ancora di qualche considerazione sui loro probabili contenuti. Ricordiamo che l’art.76 della Costituzione prevede che il Parlamento possa delegare il Governo ad emanare atti aventi forza di legge ordinaria (decreti legislativi), ma sulla base e con l’osservanza di “principi e criteri direttivi” fissati nella stessa legge-delega.
Normalmente si tratta di criteri piuttosto stringenti, proprio
perché poi il Parlamento perde il controllo del processo
legislativo, non per nulla anche la legge-delega n. 30/2001– meglio
nota come legge Biagi– conteneva criteri direttivi molto
dettagliati. Il progetto di legge-delega n.1428, invece, nel suo vero
cuore, mirante al completo rifacimento del diritto del lavoro, che
è l’art 4 lett. b, così configura la delega al Governo: «Redazione di
un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei
rapporti di lavoro semplificato, secondo quanto indicato nella
lett.a», (ossia previa ricognizione e valutazione delle tipologie
esistente).
Si vede bene che l’espressione «testo organico di disciplina dei
rapporti» comprende tutto il diritto del lavoro dalla A alla Z, ovvero
dalle assunzioni al licenziamento.
Si vede, altrettanto bene, che quella espressione designa, in termini quanto mai generali, l’oggetto della delega, ma non costituisce un insieme di criteri direttivi che, appunto, indichino in quale direzione le nuove regole si debbano sviluppare. Se ad es. in quella della conservazione della reintegra nel posto di lavoro, in caso di licenziamenti ingiustificati, o, invece, in quella di eliminarla o modificarla e lo stesso dicasi per il divieto di demansionamento e così per tanti altri istituti che compongono il diritto del lavoro. Sarebbe come se il Parlamento delegasse il Governo a regolare nuovamente le imposte dirette senza specificare ad es. se l’Iva vada mantenuta, diminuita o aumentata e su quali generi e similmente per le imposte di registro e di fabbricazione.
In verità in una legge-delega l’indicazione dell’oggetto non può mai mancare, ma se sta da sola come unica espressione di volontà del legislatore delegante, comporta che l ‘unico criterio direttivo per la normazione su quell’oggetto sarebbe il libero apprezzamento del Governo. Proprio un simile assetto è stato però dichiarato incostituzionale dalla sentenza della Corte Costituzionale 8/10/2007 n.340 secondo cui «il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio o criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega».
Per conseguenza l’incostituzionalità, per contrarietà all’art. 76 Cost., della legge-delega prevista dal Jobs Act si estenderebbe anche ai successivi decreti attuativi che potrebbero sistematicamente essere contestati e annullati.
Quanto infine ai possibili contenuti di quei decreti
è difficile fare previsioni proprio perché è il progetto di
legge-delega è in bianco, ma per chi è “del mestiere”, il riferimento
contenuto nell’art. 4 lett b ad un testo unico “semplificato”
costituisce un segnale inequivocabile.
I decreti legislativi dovrebbero recepire, più o meno, la proposta
di un codice del lavoro notoriamente etichettato come
“semplificato”, che è stato redatto in varie versioni da un noto
giuslavorista e avvocato datoriale, al momento parlamentare di
Scelta Civica, dopo esserlo stato del Pd.
Si tratta di un testo, che, a nostro giudizio, al di là di molte belle e vane parole contiene il peggio del peggio quanto a distruzione dei capisaldi di tutela dei lavoratori. Solo per fare alcuni es. l’abolizione, in primo luogo dell’art.18 dello Statuto, ma anche dell’art.13 con l’ammissione di patti di demansionamento e di trasferimenti di sede sotto minaccia di licenziamento; previsione di appalti di mera mano d’opera, ulteriore allargamento della precarietà e così via.
La domanda angosciosa è allora cosa stiano facendo, alla vigilia,
di un simile disastro, le organizzazioni sindacali, il movimento
5 Stelle, la sinistra politica, compresa quella, se ancora esiste,
del Partito democratico.
Basterebbe poco, a nostro avviso, per fermare sul nascere la frana,
basterebbe dire di no, ma in modo fermo e a voce ben alta, alla legge
delega in bianco e rivendicare l’effettiva centralità del
Parlamento e una discussione parlamentare di assoluta
trasparenza su tematiche tanto vitali.