Quelle di Raffaele Cantone sono parole che risuonano ancora, con tutto il loro carico. Ci si riferisce a quanto affermato, qualche giorno fa, nel corso di un’intervista nel programma di Giovanni Minoli su La7 (“Faccia a faccia”), da Raffaele Cantone, presidente dell’Anac (Autorità nazionale anti-corruzione). Parlando della riforma del codice degli appalti, l’ex magistrato l’ha definita una “rivoluzione copernicana”, aggiungendo però che successivamente “si è fatta retromarcia su molte cose”.
“Io credo – ha proseguito Cantone – che fosse una buona riforma e il fatto di andare avanti e indietro è un classico del nostro Paese. Ci sono tante opere incompiute in tutta Italia. Il problema vero è che qualcuno ha pensato che bisogna realizzare opere pubbliche per smuovere l’economia e non perché davvero servono. E non smuovono nulla”.
Parole dure, pronunciate però con la calma di chi sa di aver provato a svolgere sempre il proprio dovere, accettando anche una sfida complicata come quella di dirigere la prima vera autorità dedicata alla lotta alla corruzione, in particolar modo nel settore degli appalti. Appena un anno fa, nel testo approvato e salutato da diverse critiche e polemiche per via di molte lacune e di molti punti controversi (leggi qui), una delle note sicuramente positive era l’inserimento di un comma (comma 2 articolo 211) che permetteva all’Anac di agire preventivamente rispetto all’azione della magistratura, una volta rilevati vizi di legittimità, richiamando l’appaltante a rimuovere tali vizi entro 60 giorni, pena una sanzione amministrativa pecuniaria.
Un comma importantissimo, perché consentiva allo Stato di agire per tempo, immediatamente, senza essere vincolato ai tempi lunghi della giustizia ordinaria. Peccato che, una decina di giorni fa, il Consiglio dei ministri abbia aggiornato il codice, con l’obiettivo dichiarato di integrarlo e potenziarlo per rendere più efficaci le sue norme, cancellando però quel comma che rappresentava forse uno dei pochi punti di forza di una struttura che già è costretta ad operare con numerosi limiti e con poteri molto ridotti rispetto a quanto annunciato in pompa magna, al momento della sua istituzione, dall’allora premier Renzi.
Già più volte, lo stesso Cantone aveva lamentato la mancanza di una normativa che desse piena attuazione agli strumenti necessari per una lotta seria e capillare alla corruzione. La riforma del codice, con tutti i suoi limiti e le sue imperfezioni, era stata considerata comunque un mezzo ulteriore per intervenire sulle irregolarità degli appalti. Peccato, però, che quest’ultima mossa del Cdm, rende ancor più debole il ruolo dell’Anac e riduce le possibilità di azione tempestiva, atta a ripristinare la legalità. Vero è che il governo ha già assicurato che rimedierà il prima possibile, parlando di un incomprensibile errore, di un comma cancellato per sbaglio, ma rimane il fatto che al momento l’Anac non dispone di questo strumento.
La polemica sorta attorno a questo fatto, inoltre, riapre la discussione sulla reale volontà di dotare l’Autorità anti-corruzione di maggiori poteri, ampliando ad esempio la percentuale di appalti su cui può intervenire. Soprattutto, restano le parole di Cantone sulle grandi opere pubbliche, sulla loro realizzazione a scopi solo economici (peraltro inefficaci) e non per una reale utilità. Questa è una denuncia seria, che chiama in causa politica e imprese, gruppi economici e finanziari. Ed è un’affermazione esplosiva, non tanto per il contenuto, per la verità che contiene e che è evidente, conosciuta, sotto gli occhi di tutti anche per via dei tanti scandali legati alle grandi opere, quanto per il fatto di provenire dalla bocca del presidente della massima autorità di contrasto alla corruzione.
Un presidente che più volte ha chiamato la politica, a tutti i livelli, ad agire con trasparenza, nella convinzione che la corruzione non si sconfigga solo con l’azione giudiziaria, ma anche e soprattutto con i buoni comportamenti di chi governa le istituzioni. A partire dalle riforme e dalla capacità di non fare errori e pericolosi passi indietro.