È in corso dal 4 dicembre un
proliferare di movimenti a sinistra del Partito democratico, voci che
emergono dalla società civile e aspirano a proporre visioni politiche.
Singole personalità della cultura mosse dal senso civico di contribuire
alla vita pubblica per rimediare alla debolezza dimostrata dalla
leadership del Partito democratico. Sigle politiche nate per progressiva
secessione dal Pd nel corso degli anni, a partire dalle primarie
seguite al ritiro di Veltroni fino alle più recenti, e soprattutto dopo
il 4 dicembre. Questo movimento plurale nella sfera pubblica è positivo,
il segno di una società non apatica, ricca di potenzialità,
insoddisfatta del corso attuale del partito di governo e del governo
stesso e preoccupata del persistente e crescente astensionismo
elettorale.
La questione sociale è grave e i
timidissimi segnali di ripresa dell’ economia non sono accompagnati da
un effettivo percepito miglioramento delle condizioni di milioni di
cittadini e lavoratori che vivono o nell’ indigenza o vicini alla
povertà. Diritti sociali che sono in molti casi diritti solo formali, e
politiche governative che non hanno preso sul serio né i principi di
giustizia ed eguaglianza contenuti nella Costituzione né le promesse
democratiche, che non si riducono a mettere in piedi governi che durino.
«Finché non sarà garantito a tutti il
lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà; finché non vi sarà
sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica; o noi
realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo
realizzata la democrazia in Italia», diceva Lelio Basso all’ Assemblea
costituente il 6 marzo 1947. Dopo settant’anni quegli intenti sono
ancora allo stato di desiderio, con l’ aggravante che oggi è debole la
convinzione che lavoro e cittadinanza debbano stare insieme, che siano i
valori fondamentali su cui impegnarsi. C’ è uno spazio vuoto di
progettualità politica da riempire perché l’ insoddisfazione non si
traduca in disillusione e senso di impotenza o, che è anche peggio,
reazione xenofoba e nazionalistica.
A tanta potenzialità desiderata,
espressa o in formazione corrisponde una straordinaria povertà di
politica pragmaticamente propositiva. Povertà per troppa ricchezza di
attori individuali e, soprattutto, per l’ abitudine ad un linguaggio che
è emotivo e morale, incapace di farsi politico, di nominare problemi
invece che leader, idee programmatiche invece che frasi a effetto,
critiche motivate sulle cose invece che attacchi personali. La “vibrante
società civile”, per usare un’ espressione habermasiana, dovrebbe
riuscire a incanalarsi nella deliberazione politica; e perché questo
avvenga sono indispensabili forme di partecipazione che sappiano
articolare e unire. A questo servono i partiti. La loro asfissia, anzi
la loro scomparsa fuori dalle istituzioni e la loro sostituzione con
manifestazioni personali di leadership: questo è uno dei maggiori
problemi del presente (che non sia solo italiano non è di alcun
sollievo).
Il 4 dicembre ha squadernato questo problema, che è colossale, e ha messo a nudo la miopia di una politica leaderistica
e plebiscitaria. Ma quel che ha lasciato è una pratica personalistica
tracimante. Cosicché oggi il problema non deriva dalla scarsità
dell’offerta individuale, ma dalla sua sovrabbondanza. Ogni voce si
presenta come vera rappresentante della sinistra, come la parola che
manca o quella più autentica. Alla fine, la sinistra sembra sempre più
una categoria metafisica indecifrabile alla quale ci si appiglia per
coprire un disordine di elaborazione che è proporzionale al numero dei
candidati a risolverlo.
I partiti politici hanno una funzione
che in questi tempi di attivismo senza bussola emerge con chiarezza:
rendere le varie personalità che la vita politica naturalmente genera
capaci di collaborare, di dialogare, di trovare nella loro
rappresentatività singolare una forza che arricchisca progetti
collettivi. Senza questa cooperazione per uno scopo elettorale comune,
la pluralità di leader è un problema. Ed è quanto rischia di accadere a
questa sinistra fatta di tanti soggetti individuali ma con una
gracilissima coralità. Una sinistra di tanti capitani di ventura, con
eserciti transitanti e, anche questi, composti di menti singole,
abituate a dichiarare e asserire sui social, ma troppo poco a
deliberare o discutere con altri. E invece, ad ogni idea una persona, ad
ogni persona una sinistra, e a ogni sinistra un leader. Questa proliferazione per partenogenesi di indivualismo dissociativo uccide la politica.
Senza dialogo, senza una trama comune
di idee, senza una riflessione competente su progetti possibili, senza
riannodare tradizioni di valori e di studio – senza l’ accettazione del
fatto che la politica nella democrazia elettorale deve costruire
soggetti collettivi per competere e non può corrispondere soltanto a
capi plebiscitari – senza tutto questo la vibrante società civile resta
tale. E la profusione di bandiere nuove che sventolano, di siti internet
e di sigle è destinata a restare una selva che non ha unità di senso,
che non orienta ma disorienta.