Nei commenti al voto in Spagna colpisce un certo unanimismo, una bella dose di luoghi comuni e una sostanziale distanza da ogni ancoraggio ai fatti. Come se l’apparato mediatico si sentisse ormai a tal punto parte integrante dell’establishment da sentirsi minacciato e reagire emotivamente all’avanzata di nuovi movimenti, sfornando anatemi contro la presunta antipolitica, come fanno i leader dei vecchi partiti sconfitti, invece di fare il proprio mestiere di giornalisti, cioè raccontare i fatti e cercare magari di capirne la logica.
Il primo luogo comune da sfatare è che il collasso del sistema politico spagnolo, dopo quarant’anni, e prima di quelli di altri paesi, dalla Grecia alla Polonia, in parte la Francia, sia spiegabile con un confronto fra politica e anti politica. Laddove la politica sarebbero i vecchi schieramenti novecenteschi, conservatori e socialisti, portatori comunque di valori e cultura politica, per quanto un po’ imbolsiti nell’esercizio del potere, e un’antipolitica che sarebbe incarnata da leader e movimenti lontani anni luce per stili e programmi,il Front National e Podemos, i nazionalisti dell’Est e il Movimento 5 Stelle, Tsipras e Marine Le Pen, Pablo Iglesias e Beppe Grillo, sbattuti però tutti assieme in un unico calderone dove sarebbe prevalente un populismo fondato su emozioni e risentimenti più che su ragioni materiali, poggiante su un sostanziale vuoto di valori e cultura politica, il cui successo si spiega con la tendenza a lagnarsi e protestare di un popolo plebeo e ignorante alla confusa ricerca di novità sul mercato.
Ora, può darsi che nei salotti del potere queste spiegazioni ottengano consensi e promozioni. Ma agli occhi di centinaia di centinaia di milioni di cittadini europei fanno soltanto venir più voglia di votare la cosiddetta antipolitica. Le ragioni per cui i sistemi politici europei stanno collassando non sono l’emotività del popolino, ma la semplice constatazione che non funzionano più. Per quarant’anni dal dopoguerra l’alternanza fra socialisti e conservatori nelle democrazie europee ha garantito crescita e lavoro, miglioramento delle condizioni di vita dei ceti medi e conquiste dei lavoratori. Oggi quei sistemi garantiscono, da oltre vent’anni, un continuo impoverimento di operai e ceti medi, un evidente declino economico, una clamorosa concentrazione di ricchezza verso l’alto, il progressivo abbattimento di diritti e tutele sociali e infine una disoccupazione di massa che riguarda in alcuni paesi del Sud Europa, come la Spagna e l’Italia, la Grecia e il Portogallo, la metà o più della metà dei giovani. Altro che emotività, queste sono le colossali cause materiali del voto in Spagna e altrove.
Ora di fronte a questo disastro, la vera antipolitica è incarnata dall’ormai compiuta abolizione di ogni differenza storica fra destra e sinistra classiche. In Germania come in Italia, nella Grecia del passato come nella Francia delle ultime elezioni e forse domani in Spagna, socialisti e conservatori danno vita per reazione alla paura di perdere il potere a coalizioni sinistra-destra che sono la vera antipolitica, l’autentica morte di una politica fondata su valori e culture differenti di governo. In Italia ne sappiamo qualcosa. Abbiamo avuto dal 2011 governi non eletti, frutto di un patto fra destra e sinistra elaborato in segrete stanze, che mettono in pratiche le stesse politiche dettate dall’agenda di Bruxelles, Francoforte e Berlino. Dove un governo a guida Pd, l’attuale, si è incaricato di completare le riforme fallite dai precedenti governi Berlusconi, dalla scuola aljobsact. Fino a prova contraria, sono stati Renzi e Berlusconi a firmare un patto per riscrivere la Costituzione e l’hanno fatto. Mentre Grillo e Salvini non potrebbero mai dare vita a un Nazareno. E tantomeno Podemos e Ciudadanos, o i verdi francesi e Marine Le Pen. E allora, dove stanno i valori? I valori, giusti o sbagliati, sono dalla parte dei nuovi partiti e movimenti, che offrono programmi davvero alternativi, nel bene e nel male, e proprio per questo non possono mischiarsi. Mentre socialisti e centrodestra ormai votano gli stessi provvedimenti, ogni santo giorno, a Bruxelles e Strasburgo, come a Berlino o a Roma. E siccome si tratta di politiche di destra, all’essenza, è normale che a pagare la conseguenza di questa antipolitica dall’alto siano soprattutto i partiti socialisti, che sono già spariti in Grecia e Polonia, rischiano di finire fuori dal ballottaggio in Francia, sono ridotti a permanenti ruote di scorte dei governi democristiani in Germania e hanno appena toccato il minimo storico in Spagna.
Quanto alla cultura politica, rappresentare i gruppi dirigenti dei vecchi partiticome continuatori di una grande scuola e i nuovi movimenti alla stregua di barbari populisti è, a voler essere assai gentili,un esercizio lievemente di parte. Ho conosciuto bene il gruppo dirigente di Podemos, formato da accademici di gran livello e cultura come Pablo Iglesias, fini politologi come Juan Carlos Monedero, giovani geni della comunicazione come Inigo Errejon e ricercatrici di valore internazionale come Carolina Bescansa, probabilmente la migliore sociologa spagnola. Ora non voglio per carità di patria confrontare questi personaggi e i loro libri con i traballanti curriculum professionali e i mediocrissimi scritti dei vari Renzi, Boschi, Orlando, Madia, ma al posto dei difensori d’ufficio delle nostre classi dirigenti tralascerei gli esami di cultura politica.
Se queste sono le reazioni dell’establishment al terremoto politico in corso in Europa, che a ogni elezione vede un alleato della Merkel sconfitto, aveva ragione Pablo Iglesias a dirmi qualche mese fa, quando Podemos sembrava affondato nei sondaggi, non mi preoccupo, giornali e televisioni ci attaccano e quindi stanno lavorando per noi.