Mafia e corruzione, il patto seriale che strozza l’Italia

di Piercamillo Davigo (*) - 21/02/2017

Nella mia attività di magistrato, ormai quasi quarantennale, mi sono dovuto occupare a lungo di corruzione e di criminalità organizzata; e me ne occupo ancora oggi, sia pure come giudice di legittimità.

Ho avuto modo, quindi, di esaminare da vicino e nel lungo periodo fatti e protagonisti di questi due ambiti diversi ma strettamente correlati, e che purtroppo in Italia più che altrove occupano con continuità le prime pagine dei giornali. Tra l’ altro, i delitti di corruzione presentano una cifra nera (ovvero la differenza fra il numero di reati commessi e quelli risultanti dalle statistiche giudiziarie) molto elevata. Per intenderci, il numero di condanne ogni 100.000 abitanti in Italia è più basso rispetto, ad esempio, alla Finlandia (uno dei Paesi ritenuti meno corrotti al mondo), mentre gli indici di percezione della corruzione, elaborati da Transparency International, collocano l’ Italia dietro molti Paesi africani e asiatici.

Poiché la criminalità sommersa sembra essere più elevata nelle aree del Centro-Sud del Paese, si può ipotizzare che la presenza massiccia della criminalità organizzata, e della sottocultura che ne costituisce la matrice ideologica, ostacoli l’ emersione della criminalità legata al malaffare politico-amministrativo. () Introduco un aspetto a mio avviso importante per capire che cosa sia la corruzione e per quale motivo sia così difficile sradicarla.

Essa presenta infatti, come vedremo, due caratteristiche fondamentali: è seriale e diffusiva. È seriale in quanto coloro che sono dediti a questi illeciti tendono a commetterli ogni volta che ne hanno occasione, con ragionevole certezza di impunità. È diffusiva in quanto corrotti, corruttori e intermediari, al fine di assicurarsi la realizzazione dei patti illeciti e di evitare di essere scoperti, tendono a coinvolgere altre persone, creando una fitta rete di interrelazioni illecite, fino a che sono gli onesti a essere esclusi dagli ambienti prevalentemente corrotti. Appare, quindi, un grave errore considerare i reati di corruzione come episodi isolati anziché calarli nel contesto generale in cui si compiono. E questo è il motivo per cui ritengo necessario tenere sempre a mente, al di là dei singoli fatti e delle responsabilità personali, il “sistema della corruzione” nel suo complesso.

Sistema che prevede spesso collegamenti ad altri reati quali quelli fiscali o comunque relativi alle falsità contabili, le turbative d’ asta e il riciclaggio. Alcuni esempi sono illuminanti per capire quanto questi atti criminali finiscano per inquinare interi ambienti: un indagato, nel 1992 (agli inizi della stagione nota come Tangentopoli), riferiva – parlando di un ente di livello nazionale – che lì vi operava un cartello di circa duecento imprese che si spartivano gli appalti e che pagavano praticamente chiunque all’ interno dell’ ente, oltre ai principali partiti.

Per inciso, chiariva anche che questo sistema era adottato da almeno vent’ anni! Non solo. Il sistema di cui ci stiamo occupando comprende anche stretti legami con il crimine organizzato. Non sarà superfluo ricordare che il mercato della corruzione è un mercato illegale, nell’ ambito del quale non è possibile ottenere il rispetto delle regole a esso relative e dei patti intervenuti ricorrendo a forme di tutela legale. Ecco perché la “tutela” va affidata alla pressione del mercato illegale stesso: attraverso l’ esclusione di un’ impresa che non abbia versato una tangente promessa da successivi appalti relativi a forniture di beni o servizi; o l’ esclusione del pubblico funzionario che non tenga il comportamento per il quale aveva ricevuto denaro da futuri versamenti e talora dallo stesso ufficio ricoperto, mediante trasferimento o non ricandidatura alle elezioni. Tali meccanismi sono però efficaci solo se tutti gli attori del mercato illegale lo percepiscono come stabile nel tempo e soddisfacente nel suo funzionamento.

Fuori da queste ipotesi sono necessari dei regolatori esterni, il principale dei quali è appunto la criminalità organizzata. Quando un mercato illegale è gestito dal crimine organizzato, il rispetto delle relative regole è assicurato dal potere di intimidazione che promana dalle organizzazioni criminali e – ove questo non basti – dall’ uso della forza. Bastino per ora al riguardo questi brevi cenni. () Negli ultimi venticinque anni, le discussioni sulla corruzione sono state infatti a mio avviso, il più delle volte, superficiali e generiche. Raramente ho colto la volontà di approfondire la conoscenza dei fenomeni, di studiarne le dimensioni, di misurare i guasti prodotti.

Per dirne una, si sente ogni tanto citare la cifra di 60 miliardi di euro l’ anno quale costo della corruzione, attribuendo tale valutazione alla Corte dei conti, istituto che non ha mai azzardato tale ipotesi. In realtà quella cifra nasce dall’assunto, peraltro ad oggi indimostrato, che la corruzione incida all’ incirca nella misura del 3% del Pil.

La verità è che misurare i costi della corruzione è impresa decisamente ardua. Tra gli studi dedicati al tema, particolarmente originali mi sembrano quelli di Miriam A. Golden e di Lucio Picci, che considerano il costo delle opere pubbliche un efficace misuratore della corruzione. I due studiosi hanno comparato le spese delle Regioni italiane in infrastrutture e l’ inventario di quanto è stato effettivamente realizzato sul territorio. La differenza tra spese e opere realmente costruite è servita a elaborare un indice di corruzione delle Regioni italiane che mostra enormi distanze.

Con le Regioni meridionali che spendono mediamente di più di quelle settentrionali per avere, a confronto, meno infrastrutture. Tale distanza è indicata come costo, aggregato, di corruzione e inefficienza. Mi pare che discorsi simili – che offrirebbero basi solide all’ argomentazione – siano riportati raramente nei dibattiti pubblici. Peraltro, a ben cercare, sono facilmente reperibili fonti – anche datate – in grado di illustrare la natura del fenomeno della corruzione, i rapporti fra corruzione e sistema politico, e fra corruzione e crimine organizzato. Già nella relazione approvata il 25 luglio 1990 sulle risultanze dell’ indagine del Gruppo di lavoro della Commissione parlamentare d’ inchiesta sul fenomeno della mafia istituito con la L. 94/1988, si leggeva che i gruppi mafiosi tallonavano il potere politico. () Va però ricordato – come ritiene anche Alberto Vannucci – che “quella mafiosa e quella della corruzione sono “industrie” che si occupano di beni distinti: protezione privata, in un caso, diritti di proprietà su rendite politiche, nell’ altro. D’ altra parte, generalmente i servizi forniti da ciascuna delle due “industrie” sono utili per l’ attività dell’ altra, oppure vengono consumati da imprenditori, faccendieri, mafiosi, politici. Gli accordi di corruzione e gli scambi politici ed elettorali sono rinsaldati dalla tutela mafiosa, che garantisce nel contempo l’ omertà: significativamente le confessioni incrociate di corrotti e corruttori, che hanno dato all’ inchiesta “Mani pulite” una grande forza propulsiva nel resto d’ Italia, hanno segnato il passo nelle aree a più alta densità mafiosa”. () Negli anni Ottanta e Novanta del Novecento vi era, per quanto riguardava la corruzione politica, un sistema accentrato, con versamenti occulti alle segreterie di diversi partiti politici, sostanzialmente forfettari rispetto agli appalti delle grandi opere pubbliche. Si trattava, quindi, di pochi soggetti che ricevevano somme ingenti. Accanto a questo sistema accentrato (o talora al suo interno), vi era un sistema decentrato di corruzione che coinvolgeva numerosi soggetti con tangenti di importo meno rilevante.

Parallelamente alla corruzione politica vi era poi una vasta area di corruzione burocratica. Dovendo compiere un confronto tra la corruzione ai tempi di Tangentopoli e quanto accade oggi, direi che la prima area (quella della corruzione politica accentrata) sembra aver subìto duri colpi, mentre la seconda e la terza (quelle della corruzione politica decentrata e della corruzione burocratica) sembrano aver superato con facilità le attività di contrasto investigativo e giudiziario. Ma si registrano altri cambiamenti. Ad esempio, si sono modificate le modalità corruttive: alla consegna di denaro contante si è sostituita (in molti casi) o affiancata un’ altra forma di retribuzione (attraverso incarichi, consulenze, ecc.). Sono poi cresciuti i pagamenti estero su estero – specie nei paradisi societari, bancari e fiscali – che hanno irrisorie possibilità di essere individuati in tempi rapidi. In un mondo in cui le frontiere sono diventate evanescenti e in cui i sistemi informatici e telematici consentono di spostare somme ingenti da un Paese all’ altro in pochi secondi, le procedure di assistenza giudiziaria internazionale continuano a essere di una lentezza esasperante, e la partita fra guardie e ladri – è triste dirlo – è sbilanciata a favore dei ladri. Purtroppo anche gli interventi di natura preventiva previsti dal legislatore a partire dal 2012 (mi riferisco alla cosiddetta legge Severino) non sembrano risolutivi, ma si incanalano nella tradizione italiana di ulteriore soffocante burocrazia e di controlli formali di scarsa efficacia. Sono invece quasi assenti i controlli di prodotto, idonei a verificare quali beni o servizi siano stati forniti alla Pubblica amministrazione, a quale prezzo, in quanto tempo e di che qualità. Eppure i dati sul costo delle opere pubbliche in Italia e i loro tempi di realizzazione, in genere addirittura doppi rispetto a quelli dei Paesi stranieri, dovrebbero suscitare una certa attenzione. Mi auguro che questo libro possa costituire uno stimolo a questa riflessione.

(*) Presidente dell’Anm. L’articolo qui pubblicato è tratto dall’introduzione a “Il sistema della corruzione” di Piercamillo Davigo, Laterza.

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