“Non si è ancora scatenata la rabbia. E’ questa la fortuna dei politicanti che vediamo a Ballarò, degli economisti che suonano il violino della ripresa sul Titanic. Ma succederà, perché la crescita delle diseguaglianze a questo porta”. Domenico De Masi, sociologo, professore di Sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, lo ripete da anni: il refrain della ripresa è una gigantesca invenzione su cui tutti siamo seduti, che viene propinata dalle élite che ci governano e dicono “balle” al popolo anziché la verità: “Altro che ripresa, siamo destinati a decrescere e l’unica strada per governare questo ineluttabile processo è contenere le diseguaglianze redistribuendo la ricchezza che resta, assicurando a tutti il necessario e togliendo il superfluo dove c’è”.
De Masi legge i dati Istat sulla povertà assoluta, che in Italia tocca ormai 4,6 milioni di persone, il massimo dal 2005. “Certificano che le parole dei nostri governanti ed economisti – a questo punto – non sono solo false, sono criminali. Per quanto potranno ignorare ancora questa insoddisfazione globale per l’iniqua distribuzione della ricchezza che galoppa?”.
De Masi, se la ripresa è una balla perché andargli ancora dietro?
Ti do due dati, uno a livello mondiale e uno tutto italiano. Dieci anni fa 85 persone al mondo secondo Forbes possedevano da sole la ricchezza di tre miliardi e mezzo
di persone, la metà dell’umanità intera. Oggi, dieci anni dopo, i
poveri hanno la ricchezza non più di 85 persone ricche ma di 65. La
tendenza sembra dire che arriveremo al punto in cui una sola persona
possederà praticamente tutto. Altro dato, per l’Italia: nel 2007, cioè
alla vigilia della grande crisi, dieci famiglie avevano la ricchezza di tre milioni di italiani, dopo otto anni di crisi le stesse famiglie hanno la ricchezza di 6 milioni di italiani, cioè hanno raddoppiato la loro ricchezza mentre raddoppiava il numero dei poveri. Questi dati dimostrano quanto galoppa la disuguaglianza.
Cosa c’è al fondo di questa “caduta”?
Da quando un modello di vita ha prevalso diventando dominante su altri
si è rotto qualcosa. Durante la Guerra Fredda tra Occidente e Oriente,
un mondo orientale in nome del socialismo rinunciava
alla ricchezza di pochi ma assicurava ai suoi cittadini la
sopravvivenza, la scuola e la sanità. Magari imponendo altri prezzi su
altri fronti, certo. E’ quello che succede ancora oggi a Cuba, per
qualche tempo ancora. Poi c’era un mondo basato sul liberalismo
che poneva in primo piano la capacità dei singoli per cui i più capaci
hanno di più e i meno capaci hanno di meno. Con la caduta del Muro di
Berlino, in effetti, il Comunismo non ha perso ma il Capitalismo non ha vinto.
Perché il primo sapeva distribuire la ricchezza senza saperla produrre,
il secondo la sa produrre e non sa distribuirla. E’ un paradosso ormai
acclarato per tutti i Paesi capitalisti.
Ma il cittadino con chi si deve lamentare?
Con quegli economisti e quei politici che continuano a dire che c’è una
ripresa. Una ripresa dei Paesi ricchi è impossibile perché sono talmente
ricchi che non possono aumentare ulteriormente la loro ricchezza. Noi,
Italia, su 196 Paesi siamo all’ottavo posto al mondo come Pil. Ogni
italiano ha un Pil pro capite di 36mila dollari. I cinesi ne hanno 6000 dollari, gli indiani 1.500. Come facciamo noi ad aumentare ancora?
E quando vengono ancora spese promesse su questo rilancio dell’economia?
Non sono solo balle, sono al più esternazioni criminali. Sono
dichiarazioni di economisti e politici che o non sanno come stanno le
cose e allora hanno una colpevole ignoranza oppure sanno come vanno le
cose e dicono bugie e sono dei criminali.
E la gente che affolla il Titanic suonando il violino della ripresa?
E’ la gente che vedi in tv la sera a Ballarò, da Vespa. E’ gente che parla per compiacere il Principe
dice che le cose stanno andando meglio, quando sarebbe onesto verso il
popolo dire “guardate, siamo cresciuti tanto e non possiamo crescere di
più”. Non c’è niente da fare. Possiamo solo sperare di mantenere la
posizione in cui siamo e decrescere lentamente con minori diseguaglianze
possibili. Per non diminuire la nostra dose di “felicità”, dovendo però
decrescere, dobbiamo togliere le cose superflue in modo che quelle
necessarie rimangano a tutti.
Le famose spending review che si sono evitate a tutti i costi, arrivando a “tagliare” i commissari incaricati di farle?
Se pensa che abbiamo una situazione della sanità molto peggiore a quella
di quattro anni fa, che oggi il cittadino paga molte più medicine per
cui alcuni non potendo comprarle neppure si curano più… Per avere
un’analisi clinica da parte di una Asl devi aspettare quattro o cinque
mesi e nel frattempo muori… Beh, in un Paese ancora ricco come il nostro
è una vergogna.
Allora, che fare?
L’unica è redistribuire la ricchezza finché di ricchezza ce n’è. Ognuno
di noi getta la metà di quello che ha nel frigorifero. Educazione dei
cittadini all’autorisparmio, forse. Ma se il voto viene dato ancora oggi
a soggetti che portano avanti visioni liberali dell’economia non ne verremo mai a capo. Quelle idee ci porteranno a capo fitto in una terza rivoluzione perché prima o poi la gente si stufa.
Vedi quanti episodi ci appaiono folli, le sparatorie, gli attacchi di
gente apparentemente uscita di senno. La povertà e la disperazione sono
benzina per l’incendio. Non è altro che la punta dell’iceberg di una
insoddisfazione globale per l’iniqua distribuzione della ricchezza.
Qualcuno parlando di “decrescita felice” sembra intravvedere
perfino del “bello” dietro alle nuove povertà, un po’ come i neorealisti
nel cinema del Dopoguerra…
Macché, di felice c’è ben poco. Quello è sempre il bello visto dalla parte dei ricchi.
E’ un racconto della povertà e della Chiesa sui poveri che sono “beati
perché loro è il regno dei cieli”. E’ un fatto consolatorio: possiamo
dire che nel 2016 queste forme di contenimento sono del tutto desuete e
insufficienti? L’unica vera consolazione, se si può dire, è che i poveri
trattengono ancora la rabbia. Perché quando esploderà i
non poveri avranno da rimettere. Quando ci fu la Rivoluzione francese
furono ghigliottinati 23mila nobili. E’ questo – anche nelle forme più
civili che una rivolta assumerebbe oggi – che le élite, più di tutto,
non vogliono”.