Prendi le elezioni per le Province e togli gli elettori. Poi togli i manifesti e le liste dei candidati affisse pubblicamente. Cosa resta? I partiti politici. Ma soprattutto una campagna elettorale che riguarda pochi intimi e “listoni” dalle larghe intese per spartirsi le poltrone da Nord a Sud. Ecco le nuove Province di Matteo Renzi (e di Graziano Delrio che la riforma per l’”abolizione” degli enti l’ha voluta e redatta). Ed ecco le prove generali per le elezioni di secondo grado che presto potrebbero riguardare anche il Senato progettato dal ddl Boschi. Per la prima volta infatti non votano i cittadini, ma gli amministratori locali. E così accade che, nella quasi totale ignoranza di tutti, tra il 28 settembre e il 12 ottobre si votano consiglieri e presidenti di 64 province e 8 consigli metropolitani. Si riducono gli eletti, da 2500 a 986 senza indennità (anche se aumentano nei Comuni), e alla fine della storia resta una faccenda tra politici: da Vibo Valentia ad Alessandria, da Belluno a Savona, da Reggio Emilia a Lecce la preoccupazione è quella di trovare i sostegni necessari per andare a sedere nei nuovi consigli.
Insomma spartizioni all’insaputa degli elettoriche, stando agli annunci, dovrebbero guadagnarne in efficienza al netto di minori competenze e una “maggiore responsabilità”. Per il momento però, agli organi provinciali restano funzioni fondamentali: dalla pianificazione del territorio all’edilizia scolastica. Il sottosegretario Delrio assicura che ci sarà un risparmio per lo Stato, anche se non è ancora chiaro quanto: lui parla di 3 miliardi, senza contare i costi delle città metropolitane, mentre l’Unione province italiane per ora garantisce per 32 milioni di euro(ovvero le indennità). Restano fuori sia il personale in esubero che dovrà essere ricollocato, sia i costi dei nuovi enti.
Ma cosa cambia nella pratica e chi va alle urne? I seggi in palio in ogni area sono da 10 a 16, assegnati con il sistema proporzionale e inoltre il voto di ogni eletto è “ponderato” in base alle dimensioni del Comune. Per le Province dovranno esprimersi i sindaci e i consiglieri comunali. I consiglieri potranno essere eletti per il consiglio (2 anni), mentre i sindaci per la carica di presidente (4 anni). La vera novità sono le città metropolitane che da gennaio 2015 si sostituiscono alle rispettive province: alla guida va di diritto il sindaco del comune capoluogo. I consiglieri metropolitani sono eletti dai primi cittadini e dai consiglieri municipali. Il Consiglio (eletto per 5 anni) è composto da un numero variabile di persone (24 a Roma, Milano e Napoli; 18 a Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze e Bari; 14 a Reggio Calabria).
In molti casi, per risolvere i problemi di rappresentanza, ci si è messi d’accordo prima con“listoni unici” che uniscono destra e sinistra. A Ferrara ad esempio con la lista “Provincia insieme” corrono Pd, Fi, Lega. Con loro addirittura l’M5S: il sindaco grillino Marco Fabbri non intende fare un passo indietro dopo il divieto di partecipare arrivato da Beppe Grillo. A Vibo Valentia l’hanno chiamato “l’accurduni”: Forza Italia, Fratelli d’Italia, Ncd e pezzi di Pd si candidano tutti insieme sotto un unico cappello e tra loro c’è pure Salvatore Vallone, ex assessore del Comune di Mileto sciolto per mafia. E’ intervenuto anche il Pd nazionale per disconoscerla, ma i locali hanno replicato: “Abbiamo seguito le indicazioni della direzione regionale”. C’è poi Brescia dove Pd e Forza Italia si presentano insieme, nonostante i malumori degli amministratori azzurri che chiedevano un’alternativa. A Bergamo Forza Italia si è spaccata: parte dei sindaci del partito di Berlusconi corrono per la lista del candidato Pd, altri invece con la Lega Nord. Storia diversa è quella della Puglia: il listone pare fosse pronto sia a Taranto che a Brindisi, poi le polemiche e le rivolte interne hanno spinto il candidato governatore Pd Michele Emiliano a bloccare tutto. E’ saltato il patto tra Fi e Pd anche a Novara, con “grande dispiacere” del candidato azzurro che sui giornali ha denunciato i dissapori tra le parti. Per le città metropolitana di Torino e Genova vanno a braccetto Pd e Forza Italia.
Ma non sono solo le larghe intese il problema. Le storie di accordi e trattative accomunano tutta l’Italia senza bisogno di ricorrere agli “inciuci”. Già perché le elezioni provinciali sono anche il momento per scomodare vecchie conoscenze. A Latina il centrodestra candida Cosmo Mitrano, sindaco di Gaeta: ex alto dirigente del comune di Fondi, era più volte citato nella relazione del prefetto che chiedeva lo scioglimento della giunta per infiltrazioni mafiose.A Piacenza il candidato del Partito democratico è arrivato con un piccolo colpo di mano del sindaco Paolo Dosi. Si racconta di una lunga cena, poi di una direzione notturna e di un sms ricevuto all’improvviso per cambiare cavallo. E alla fine se lo sono fatti andare bene tutti. ALivorno rischia ancora grosso il Partito democratico: i 5 stelle non si presentano, ma i loro voti potrebbero essere decisivi per far vincere la lista civica sostenuta da altre forze di sinistra. AParma sembrava tutto pronto per un accordo Pd-M5s e invece all’ultimo è saltato tutto: Pizzarotti bloccato da Grillo e i suoi, il Pd spaccato in mille liste. L’accordo è arrivato solo all’ultimo momento. I più preoccupati per una poltrona sembrano essere a Modena: 36 candidati per 4 liste, ma almeno non ci saranno larghe intese. Nella confusione generale chi cerca la “trasparenza” è addirittura Forza Italia che ha appena aperto il sito www.obiettivo12ottobre.it: “Sarà”, dicono i promotori, “il punto di riferimento per fugare i dubbi di chi in queste ore si sta cimentando con la più bizzarra campagna elettorale fatta di illogicità normative e strafalcioni legislativi”.