“Incoraggio il Parlamento Italiano ad adottare una legge che proibisca la tortura e tutte le pene disumane e degradanti e che sia completamente in linea con gli standard internazionali dei diritti umani”. Si chiude così la lettera che il Commissario dei diritti umani presso il Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, ha inviato ai presidenti dei due rami del Parlamento italiano, Laura Boldrini e Pietro Grasso, ai presidenti delle commissioni Giustizia, Donatella Ferranti e Nico D’Ascola, e a Luigi Manconi, presidente della commissione straordinaria per la Tutela e la promozione dei diritti umani del Senato.
Il tema è il disegno di legge sulla tortura che da diversi anni l’Italia sarebbe chiamata ad approvare (visto anche che intanto dall’Europa arrivano ancora condanne per le torture compiute dalle forze di polizia durante il G8 di Genova del 2001). La lettera del commissario esprime profonda preoccupazione per come è stato scritto il disegno di legge. I punti controversi paiono cruciali se è vero che Muižnieks richiama l’attenzione sull’ottemperanza degli standard internazionali. Cosa significa questo? Il commissario lo precisa bene.
In primo luogo, in questo disegno di legge, affinché si possa accusare qualcuno di tortura, occorre che la persona abbia compiuto gli atti di grave violenza o minacce o crudeltà diverse volte, oppure abbia sottoposto la vittima a trattamenti inumani e degradanti. In secondo luogo, la legge prevede che la tortura psicologica esista solo nei casi in cui si possa stabilire che la vittima abbia subito un trauma e che, dunque, esso sia verificabile.
Ancora il commissario sottolinea che il disegno di legge non è in linea con la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite e, in particolare, ravvisa la possibilità di fattispecie di impunità. Muižnieks, infine, nella sua missiva evidenzia l’importanza di assicurare che “l’ampia definizione di tortura, che ricomprende gli atti commessi da privati cittadini, non si traduca in un indebolimento della protezione contro la tortura commessa da funzionari dello Stato, data la particolare gravità di questa violazione dei diritti umani”.
Ma cosa prevede nello specifico la norma? Sostanzialmente l’introduzione di due articoli al codice penale.
Art. 613-bis. – (Tortura). Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è la reclusione da cinque a dodici anni.
Questo ultimo comma non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale, le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo; se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è la reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.
Art. 613-ter. – (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura). Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Anche in Italia, da molte parti, si sono levate critiche. Basti pensare che Luigi Manconi, primo promotore della stessa legge all’inizio del suo iter, definisce il testo approvato dal Senato “mediocre”. Storcono il naso a sinistra ma anche in ambiente accademico. Il prof. Bruno Barberis, dalle colonne de Il Fatto Quotidiano, scrive: “Un testo del genere, m’immagino, dev’essere stato scritto come la famosa lettera di Totò e Peppino alla malafemmina”.
Anche le associazioni sono dubbiose. Amnesty dichiara: “Con rammarico prendiamo atto del fatto che la volontà di proteggere, a qualunque costo, gli appartenenti all’apparato statale, anche quando commettono gravi violazioni dei diritti umani, continua a venire prima di una legge sulla tortura in linea con gli standard internazionali che risponda realmente agli impegni assunti 28 anni fa con la ratifica della Convenzione”.
Insomma pare che siamo di fronte al solito pastrocchio, ma la cosa più grave, in questo caso, è che parrebbe semplicissimo riportare in una norma una convenzione vecchia di diversi lustri. Eppure sembriamo fare una fatica tremenda a legiferare anche sulle banalità. Come si pretende di portare avanti battaglie apparentemente più delicate come il fine vita? Speravo fossero almeno impegnati nella definizione di una legge elettorale e invece neanche quella.