Per chi vuole informarsi in merito alla posta in gioco e al reale oggetto del referendum confermativo sulla riforma costituzionale su cui saremo chiamati a pronunciarci il prossimo ottobre i 15 punti individuati da Gustavo Zagrebelsky sono la risposta più chiara e più articolata. I motivi per i quali uno dei “professoroni” già ridicolizzati dal ministro per le riforme Maria Elena Boschi, che “ravveduta” in vista dell’appuntamento referendario riconosce “autorevolezza” al fronte del no, invita i cittadini a rendersi conto in modo consapevole di cosa si tratta non sono astratti né tecnici ma molto concreti e dettati dai principi fondanti della Carta costituzionale.
Il paradigma governativo per ottenere la conferma da parte dei cittadini, su cui Renzi a parole si gioca la permanenza a palazzo Chigi, si fonda sulla contrapposizione tra il triste fronte dell’immobilismo e della conservazione ed il brillante incedere della velocità e della decisione garantito dal combinato disposto del Senato delle autonomie e dell’Italicum.
E la parola chiave per garantire il risultato a cui sarebbero ispirate riforma costituzionale e riforma elettorale secondo la Boschi è “semplicità”. Solo che di semplicità e chiarezza nella riforma del Senato, anche dopo il restyling operato da Anna Finocchiaro sul testo originario, definito illeggibile anche da attuali sostenitori del sì, non è facile trovare traccia.
A denunciare l’adozione di “una tecnica legislativa imprecisa e incompleta che favorisce il contenzioso tra Stato e regioni” e moltiplica i conflitti di attribuzione nonché di “poteri legislativi configurati in modo confuso” era stato, tra molti altri, fin dall’inizio dell’iter della riforma un giurista “moderato” ex presidente della Consulta come Ugo De Siervo.
Ora con il nuovo Senato delle Autonomie, che non eleggeremo e che garantirà ai suoi componenti l’immunità che i costituenti avevano vincolato allo status di eletto a tutela della funzione, prossimo all’approvazione definitiva Gustavo Zagrebelsky in una intervista a La Stampa del 15 marzo ha dichiarato testualmente “non voglio più insegnare il diritto costituzionale”.
E ha spiegato molto chiaramente la sua scelta apparentemente sconcertante di abbandonare la disciplina di una vita per dedicarsi alla filosofia del diritto: “Se passerà il referendum sulla riforma Boschi non saprei nemmeno più cosa insegnare. E’ un testo scritto malissimo, in certe parti contraddittorio e incomprensibile… La chiarezza per una Costituzione è anche un fatto di democrazia”. E il riferimento è proprio al “cuore” del nuovo Senato, la funzione legislativa prevista dall’art 70; l’intervistatore Jacopo Jacoboni tra parentesi annota: ne legge le sgrammaticature e fa impressione.
In merito agli autori materiali di questo pasticcio improntato al mito della “velocità renziana”, che ha mutuato solo gli aspetti deteriori del “proiettarsi nel futuro” di marinettiana memoria, la definizione di Zagrebelsky è lapidaria: “Persone che hanno trovato su questo tema l’occasione per emergere nel dibattito tra i costituzionalisti”. E il fatto che le critiche argomentate e puntuali di tanti costituzionalisti della più diversa estrazione siano state archiviate come lezioncine dei soliti “professoroni“, secondo il costituzionalista più inviso al team riformatore di palazzo Chigi, deriva “dall’essere in mano a persone per le quali tutto diventa negoziabile. L’opportunismo governa.” La battaglia referendaria per il No si annuncia molto difficile ma farla in nome della chiarezza e contro l’opportunismo imperante può essere comprensibile e condivisibile per molti cittadini.