Non si sa ancora quanto tempo ci separa dalla data del voto referendario costituzionale e l’elemento tempo non è irrilevante rispetto all’andamento della campagna sulla riforma e all’esito di un voto che in questi giorni di fine luglio appare quanto mai incerto.
Le alte cariche dello Stato hanno ritenuto di dover intervenire, da ultimi il presidente del Senato Piero Grasso ed il presidente della Repubblica: il primo per sdrammatizzarne l’esito qualunque sia, il secondo anche con toni imprevedibilmente ironici per sottolineare “i tempi tecnici” imposti dal vaglio della Cassazione. Se come ha affermato Mattarella la procedura per la fissazione della data non può partire fino alla delibera della Corte, e sarebbe auspicabile che non arrivasse proprio il 15 agosto, ancor più opportuno sarebbe che la presidenza del Consiglio non aspettasse il 60esimo giorno per decidere e non fissasse il voto secondo le sue convenienze magari a ridosso di Natale.
Quanto al richiamo sul merito del referendum tanto doveroso e scontato da parte del presidente della Repubblica quanto bellamente disatteso, per l’oggettiva impossibilità di spiegare le buone ragioni dell’inspiegabile da parte degli autori della riforma che dovrebbe imprimere “la svolta per il futuro”, non ha molte probabilità di trovare cittadinanza nemmeno se i tempi si dilatassero all’infinito.
Al di là del rispetto delle regole procedurali che consentono al governo una amplissima discrezionalità temporale non possono sfuggire alcune banali evidenze.
Il fattore tempo è quanto mai utile a Renzi per cercare di invertire la rotta seguita per mesi e per lui altamente controproducente della personalizzazione che ha imposto con ogni mezzo e che ora ribalta sul fronte del ‘no’. Inoltre il prolungamento di una campagna referendaria condotta dall’inizio ad armi totalmente impari favorisce chi ha il potere economico e mediatico mentre può creare ulteriori difficoltà ai comitati per il ‘no’ che sono di fatto esclusi dal circuito televisivo e devono ricorrere all’autofinanziamento per qualsiasi iniziativa puntualmente ignorata dall’informazione che riporta con grande enfasi le sparate della ministra Maria Elena Boschi e tutt’al più le repliche di analogo tenore di Brunetta e Salvini.
Intanto dai dati dei sondaggi, sia quelli che continuano a dare in vantaggio il ‘sì’, secondo Ixé attestato al 44% rispetto il ‘no’ al 38%, sia quelli che vedono in testa il ‘no’ come l’Ipr di Masia, emerge oltre a un 18% di indecisi tra ‘sì’ e ‘no’, un numero impressionante, ma comprensibile di “non informati” che si attesta al 59% degli interpellati.
Sulla mancata conoscenza del quesito referendario pesano diversi ordini di fattori che includono naturalmente l’assoluta prevalenza degli slogan propagandistici e delle formule assertive a scapito delle argomentazioni, come ha rilevato puntualmente Lorenza Carlassare da parte dei “nuovi costituenti” e soprattutto l’impenetrabilità di articoli fondamentali del testo come l’art. 70 che disciplina le funzioni legislative con una serie infinita e confusa di rimandi in cui risulta impossibile districarsi.
E’ difficile pensare che il modello comunicativo mistificatorio fondato sulle parole d’ordine della semplificazione, del risparmio e dell’innovazione possa essere invertito se per tutti i motivi che vogliamo la data del referendum si allontanerà rispetto a quel mese di ottobre a cui, peraltro, faceva riferimento Matteo Renzi.
Avremo solo più occasioni per essere martellati dalle cantilene di Maria Elena che ripeterà a memoria il ritornello sulla riforma delle meraviglie che, per inciso, le ha corretto e rimontato con pazienza certosina Anna Finocchiaro, dato che nella versione originale era ben più indigeribile, come riconoscono anche i giuristi dei comitati per il ‘sì’.