Per celebrare la sua “vittoria” di frontman
che da Palazzo Chigi ha capeggiato la crociata dell’astensione
contro i soliti noti che “per motivi personali” si sono messi di
traverso il presidente del Consiglio ha aspettato appena una manciata di minuti dalla chiusura delle urne, sufficiente a esultare per il quorum mancato e nemmeno sfiorato, come era fin troppo facile prevedere.
“La demagogia non paga, il vincitore non è il governo
ma i lavoratori,” che per il presidente del Consiglio sarebbero
lievitati a ben 11.000, “chi perde è chi ha scatenato uno scontro
ideologico, una guerra civile” che paralizza il paese “più verde”
d’Europa” e via con tutto il repertorio propagandistico scandito con una
tensione che non si addice a chi rivendica una vittoria a tutto campo.
Ma tra i passaggi più esilaranti vale la pena di sottolineare la “sofferenza” con cui un’alta carica dello stato che ha incitato all’astensione,
tuttora sanzionabile quando provenga da un pubblico ufficiale, ha
“rinunciato” a recarsi alle urne e la citazione connessa del toccante
dialogo con il giovanissimo che gli si è rivolto per avere consiglio in
merito al voto referendario.
Tra le uscite più spudorate, anche se è obiettivamente difficile stilare
delle classifiche sulle enormità messe in fila a caldo dal leader
dell’astensione in diretta da palazzo Chigi, l’invettiva contro “gli
addetti ai lavori” che per pontificare “si sono barricati nei talk
show” e hanno “preso in ostaggio” i social ed in particolare twitter,
dove peraltro in pieno voto i suoi pretoriani con “il ciaone” di Carbone ridicolizzavano promotori e cittadini che non erano rimasti a casa.
E in perfetta coerenza con l’affondo del capo contro “la classe dirigente che invade il web e non ha capito che l’Italia è ben più grande dei social”, poche ore dopo il ministro Boschi
twittava elettrizzata che “questo governo è più forte dei sondaggi,
dei talk e delle polemiche”. Naturalmente i numeri sono rimasti
accuratamente fuori dall’ intervento senza precedenti nella storia
repubblicana di un capo del governo ansioso di bruciare i tempi per
demolire l’esito di un referendum che non lo rassicura e non lo
incoraggia come si è precipitato a far credere.
I numeri dicono che i promotori di un referendum difficilissimo da far
comprendere pienamente nel merito, e silenziato a lungo da quello stesso
sistema informativo contro il quale il presidente del consiglio si è
incredibilmente scagliato, non hanno vinto, semplicemente perché alle
condizioni date il raggiungimento del quorum era molto più impossibile che improbabile.
I numeri e cioè quei 15 milioni e 800mila italiani che si sono presi la briga di cercare la scheda elettorale o di rinnovarla e di andare al seggio per esprimere con un chiarissimo 85,84% Sì il loro dissenso ad una proroga infinita alle concessionarie, peraltro sanzionabile in sede europea per le concessioni già scadute, hanno fatto comprendere a Renzi che il referendum costituzionale di ottobre su cui, a parole, si gioca tutto potrebbe non essere una passeggiata. Quegli oltre 13 milioni di italiani che sono andati a votare e hanno votato Sì pur consapevoli della difficoltà se non dell’ impossibilità di raggiungere il quorum, e che non rappresentano né la “vecchia politica” né il “furore ideologico” di “una guerra civile” nei suoi confronti, sono ben di più degli elettori di Renzi alle europee, come è stato rilevato anche da molti esponenti della minoranza Pd e possono fare una discreta differenza in un referendum consultivo dove non è richiesto il quorum.