Il nome di Giulio Regeni è sulla bocca di tutti al Cairo. Tra i tavoli dei bar di Sayeda Zeinab e nei caffè di Abdin, il centro antico della capitale egiziana, le responsabilità della polizia egiziana e più nello specifico della Sicurezza di Stato (Amn el-Dawla) sono evidenti. I segni sul corpo di Giulio parlano chiaro e rimandano alle pratiche dei torturatori per antonomasia che ogni giorno sconvolgono le vite di centinaia di giovani egiziani. I primi a non poter più sopportare le pratiche arbitrarie degli scagnozzi del regime sono proprio gli egiziani. Se le proteste del 2011 sono iniziate per criticare i crimini dei poliziotti, per ricordare la morte di un giovane ad Alessandria, Khaled Said, ucciso proprio dalla polizia locale, le cose sono solo peggiorate negli ultimi anni. Tra il 25 e il 28 gennaio 2011 la polizia era quasi sparita dalle strade del Cairo. Finché non è stata chiara l’ondata controrivoluzionaria che ha rinvigorito il ministero dell’Interno. Proprio con l’accordo tra militari e polizia è stato possibile realizzare il golpe militare del 3 luglio 2013. Da quel giorno è iniziata la vendetta della polizia e dei magistrati contro i Fratelli musulmani: centinaia di condanne a morte, arresti sommari, omicidi di massa.
Ma la polizia nel regime militare di al-Sisi può fare davvero il bello e il cattivo tempo. Giovedì sera due uomini tra cui un poliziotto sono saliti su un taxi Suzuki nel quartiere di Darb el-Ahmar, nel centro antico del Cairo. Una volta raggiunta la loro destinazione si sono rifiutati di pagare il tassista: una pratica comune per i poliziotti che vivono di piccole tangenti, minacce e corruzione. Ne è nato un alterco e il tassista è stato ucciso. Le ricostruzioni si fanno sommarie ma sembra che il poliziotto sia stato aggredito dalla folla.
È subito iniziata una protesta spontanea nel quartiere contro la polizia. Un caso simile si è verificato lo scorso giovedì ad Assiut, città dell’Alto Egitto. Un altro dei quartieri cairoti dove gli scontri tra cittadini e polizia sono all’ordine del giorno è Matareya. La zona ha una forte maggioranza di Fratelli musulmani. Lì le pratiche della polizia sono sempre più dure e le torture contro gli islamisti moderati quotidiane. Proprio i medici degli ospedali di Matareya hanno protestato per la continua falsificazione dei report dei torturati, imposta con minacce dalla polizia locale.
Stavolta, con Giulio Regeni, la fabbricazione di prove false potrebbe non bastare per le autorità egiziane. Sebbene la stampa filo-governativa stia accreditando la pista dell’omicidio deciso dalla Fratellanza musulmana, nessuno crede a questa ricostruzione. Gli islamisti moderati hanno subìto la più dura repressione della loro storia. I loro leader sono in prigione, incluso l’ex presidente Morsi, con accuse vaghe e inconsistenti. Il partito, Libertà e giustizia, la confraternita e anche la Coalizione per la legittimità, nata per difendere l’ex presidente eletto, sono state dichiarate fuori legge dal 2014 in poi. Accusare quindi il primo partito di opposizione della morte del giovane dottorando italiano è davvero l’ultimo dei depistaggi per non risalire alle vere responsabilità.
Vari apparati potrebbero essere coinvolti nell’arresto, tortura e morte di Giulio. Prima di tutto il Mabahes (la polizia investigativa). È una polizia di primo livello impegnata a prelevare i sospettati di reati politici. Tra gli esponenti del Mabahes figura proprio Khaled Shalaby, detto «Erkab» (che in arabo vuol dire «sali in macchina»). Shalaby è un torturatore, condannato in primo grado dal tribunale di Alessandria, e a guida delle indagini nel caso Regeni. Dal Mabahes, Giulio Regeni potrebbe essere passato di mano in mano fino ad arrivare all’Amn el-Dawla dove sarebbe stato torturato per giorni. Non è ancora chiaro quanti giorni siano passati dal momento dell’arresto alla morte. Qui sono intervenuti anche tanti ritardi sia nella diffusione della notizia sia nell’attivazione delle autorità competenti da parte egiziana. È possibile che nell’arresto di Giulio sia intervenuta anche l’Amn el-Markazi (Sicurezza centrale). Tuttavia, questo gruppo paramilitare è controllato dall’esercito e di solito non opera nella zona di Doqqi. Se però Giulio Regeni è stato arrestato nei pressi della metro Mohamed Naguib anche Amn el-Markazi potrebbe essere coinvolta nel prelevamento del giovane, mentre non sono impegnati in arresti le forze della polizia militare (shorta al-askareya) che di solito intervengono solo in caso di grandi manifestazioni ed erano molto impegnate in piazza Tahrir.
Le lunghe torture sono spesso perpetrate anche dai baltagy (criminali) alle dipendenze degli uomini del ministero dell’Interno. Si tratta di malavitosi difficili da controllare e che spesso agiscono impunemente e dispongono di grandi somme di denaro che poi reinvestono in piccoli business e negozi nelle aree dove vivono.
Infine, sono state diffuse le immagini della decapitazione di due uomini in borghese da parte di Beit al-Mekdisi, gruppo attivo nel Sinai. I due sono presentati come delle spie dell’Intelligence militare. I jihadisti del Sinai rivendicano la loro affiliazione allo Stato islamico (Isis) e si sono resi responsabili di decine di arresti sommari, decapitazioni e attentati. Sono centinaia i soldati e i poliziotti uccisi nella regione dove vige ormai da mesi lo stato di emergenza.