Ogni massacro ha una sua anatomia, quello siriano anche, e forse
soprattutto, una chiave geopolitica. È inutile girarci intorno come
hanno fatto americani ed europei sponsorizzando questa o quella fazione
insieme ai loro alleati delle monarchie del Golfo e la Turchia: la Siria
non è una guerra come le altre, è una guerra per procura di dimensioni
mondiali che l’Occidente ha perduto, almeno per il momento, dopo
l’intervento della Russia nel settembre 2015 a sostegno del regime di
Assad. E per recuperare il terreno perduto nel cuore del Medio oriente
dove, è bene ricordalo, sono schierati alcune migliaia di soldati
americani, si è pronti ad accettare una versione dei fatti che non è
stata ancora verificata, anche se può apparire del tutto verosimile.
In
Siria, da una parte e dall’altra, non ci sono angeli e demoni ma
soltanto diavoli e vittime. Mosca respinge ogni risoluzione dell’Onu
contro Assad che per altro secondo la Casa Bianca può restare al suo
posto, quindi tutta questa indignazione per le vittime di Ras Shaykun ha
un fine più politico e di immagine che sostanziale. Serve soprattutto a
isolare il regime di Damasco - retrovia degli Hezbollah sciiti libanesi
temuti da Israele - che stava riguadagnando spazio a livello
internazionale e tra i Paesi arabi come l’Egitto e la Tunisia,
interessati a collaborare con Assad per contrastare il fenomeno del
jihadismo.
Accettare la sconfitta in Siria non significa giustificare
i massacri dei civili, che spesso sono lo scudo dei gruppi combattenti e
delle stesse forze lealiste siriane. Vuol dire invece rendersi conto di
quanto è stato fatto in questi anni nel mondo arabo e musulmano.
In
Siria la guerra civile iniziò nel 2011 come una legittima protesta
contro un regime brutale, avviluppato da un’acuta crisi economica e
sociale. Ma ben presto questo conflitto si è trasformato in una guerra
per procura alimentata dall’afflusso di migliaia di jihadisti dalla
frontiera turca sostenuti da Ankara e dalla monarchie del Golfo sunnite
che puntavano ad abbattere un regine alleato dell’Iran sciita.
Gli
Stati Uniti e le potenze europee come la Francia e la Gran Bretagna, che
stavano conducendo la guerra in Libia contro Gheddafi, hanno avallato
questo conflitto che insieme alle primavere arabe prometteva di cambiare
il volto della regione.
La Siria è stato un altro calcolo sbagliato
come lo era stato in precedenza l’Afghanistan e soprattutto l’Iraq nel
2003. Ma la guerra siriana aveva anche qualche altra giustificazione. Le
ricche monarchie del Golfo non avevano tollerato la caduta del regime
sunnita a Baghdad e volevano una compensazione: che fosse abbattuto
anche il regime minoritario alauita a Damasco, alleato storico di
Teheran.
Mezzaluna sciita contro mezzaluna sunnita, con gli Stati
Uniti e gli europei in mezzo a fare da arbitri come ai tempi della
guerra del Golfo negli anni Ottanta. Che si massacrino pure tra loro:
noi raccoglieremo le spoglie, era questo il ragionamento nella
cancellerie dell’Occidente.
Gli americani erano disposti a questa
concessione: a Baghdad si erano resi contro di avere fatto un altro
regalo agli iraniani mentre i sauditi in otto anni di presidenza Obama
hanno acquistato oltre 100 miliardi di dollari di armi da Washington e
salvato l’industria nucleare francese con altri 10 miliardi. Non si
poteva dispiacere clienti così ricchi e disponibili.
Fu così che l’ex
segretario di Stato Hillary Clinton il 6 luglio mandò l’ambasciatore
Ford a passeggiare tra i ribelli di Hama: era l’inequivocabile segnale
che Assad era ormai diventato il bersaglio designato di una coalizione
militare e d’affari.
A un calcolo sbagliato di solito ne segue un
altro. Non solo Assad non è stato defenestrato ma dall’Iraq è partita
l’ascesa dello Stato Islamico che ha cominciato la sua marcia
conquistando Mosul nel giugno 2014: gli Stati Uniti all’inizio non
fecero nulla per impedire che queste sanguinarie milizie occupassero la
seconda città dell’Iraq e poi hanno condotto una guerra contro l’Isis
dai contorni oscuri. Già allora circolavano sui giornali americani le
mappe di un spartizione di Siria e Iraq con la carta di un futuro stato
integralista sunnita a fare da cuscinetto con gli sciiti. Anche
Churchill, che insieme ai francesi si era inventato un principato
hashemita, oltre che l’Iraq e la Siria, avrebbe approvato.
Ma l’Isis,
nato da una costola di Al Qaida, è sfuggito di mano, come già in
passato erano sfuggiti al controllo i mujaheddin che avevano sconfitto
l’Armata Rossa in Afghanistan ed erano poi diventati talebani o
qaidisti.
Il terzo errore è stato pensare che si potevano manovrare
gli integralisti islamici diventati invece ispiratori di un terrorismo
che ha portato la guerra mediorientale dentro l’Europa.
Questo ha
significato in questi anni la guerra della Siria e dell’Iraq. È giusto
indignarsi per le vittime della provincia di Idlib ma una parte di
questa indignazione riserviamola anche a nostri leader occidentali
incapaci di uscire da un ginepraio di calcoli sbagliati e interessi che
dura ormai da oltre tre decenni. La guerra in Iraq fu approvata con un
colossale bufala sulle armi di distruzione di massa, Gheddafi, il
maggiore alleato dell’Itala nel Mediterraneo è stato fatto fuori perché
infastidiva i francesi, e adesso Assad resta in sella perché lo hanno
voluto i russi. E ora si attende il secondo capitolo, quello della
spartizione della Siria: a questo servono i morti di Idlib.
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