Da oggi si vedrà alla Camera chi vuole conservare ai Parchi Nazionali la loro funzione “nazionale” e non localistica, una governance di livello adeguato e non corporativa, il ruolo di grandi e intangibili “polmoni” naturali del Paese e non semplicemente di luoghi ludici e turistici dai quali spremere profitti come si tenta goffamente di fare coi beni culturali.
Entra infatti in discussione la legge firmata da Massimo Caleo (senatore Pd, appoggiato da quasi tutto il partito e ovviamente dal centrodestra), già passata al Senato fra accese polemiche. Contro di essa si sono levate tutte le associazioni naturaliste e ambientaliste senza peraltro trovare referenti politici importanti per arginare questo autentico sfascio. Ma la legge-quadro ora in fase di stravolgimento, la n. 394 del ‘91 promossa da Gianluigi Ceruti e da Antonio Cederna, era forse stata approvata da un governo pericolosamente di sinistra? No, da un pentapartito Andreotti-Martelli sia pure con Giorgio Ruffolo all’Ambiente. Così utile però da consentire, nel solo ‘91, la creazione di Parchi come Majella, Dolomiti Bellunesi, Cilento, Gran Sasso-Monti della Laga e poi, fino al 2007, di altri 18 Parchi. Ne avevamo istituiti appena 4 dal 1922. Una “rivoluzione verde” sulla quale la legge Caleo cala “una pietra tombale”, commenta lapidario Fulco Pratesi, fondatore del Wwf Italia, già presidente di Parco Nazionale come altri firmatari della protesta, Giuseppe Rossi, che creò il primo Museo del Lupo, Carlo Alberto Graziani, Francesco Mezzatesta fondatore di Lipu, Giorgio Boscagli già direttore alle Foreste Casentinesi e centinaia di altri esperti. Mentre Federparchi (presidenti in carica) si adegua subito. L’ex presidente di Legambiente, Ermete Realacci, oggi a capo della Commissione Ambiente della Camera definisce la legge Caleo, “un ottimo punto di partenza” per l’aula. Aveva giurato: “Quella legge non passerà così com’è”, ma le modifiche di commissione sono state modeste. Di fatto si è eliminata la norma vergognosa che consentiva ai cacciatori di tutta Italia, e non solo ai locali, di sparare ai confini dei Parchi.
Rimangono (principio pericolosissimo) le royalties per gli Enti Parco ricavabili dagli utilizzatori privati delle risorse di aree protette. Rimane la presenza nei Consigli degli agricoltori (tutti biologici e senza conflitti di interesse?). Altre potenti lobby premono: cacciatori, costruttori, gestori di sciovie, società di gas e petrolio, cavatori (hanno sfasciato le Apuane, opponendosi in modo durissimo al Piano paesaggistico toscano). Rimane lo svilimento del ruolo dei direttori non più scelti su un elenco di scienziati e di esperti veri e nominati dai CdA dei Parchi e non dal Ministero. Del resto, il ministro attuale, Gian Luca Galletti, appoggia pienamente la legge Caleo e ha lodato la frantumazione in tre pezzi del Parco Nazionale dello Stelvio (Lombardia, Province Autonome di Trento e Bolzano) portandolo ad esempio. A quando lo “spezzatino” del Gran Paradiso primo parco creato da Benedetto Croce ministro nel 1922 insieme al Parco Nazionale del suo Abruzzo?
La legge Ceruti-Cederna andava solo aggiornata al Codice per il Paesaggio Rutelli del 2008 (“Più tutela meno burocrazia”, disse il ministro) e finanziata come si deve. Ermete Realacci poi difende dalle accuse di localismo le nomine di sindaci a capo di Parchi Nazionali. C’è qualche rarissimo caso di sindaco buon presidente di Parco.
Penso a Giuseppe Rossi sindaco di Civitella Alfedena, che però aveva competenze e visioni nazionali. Pochi anni fa alle Foreste Casentinesi è stato nominato un ex sindaco della zona già presidente, con doppietta fumante, dei cacciatori. Un appello accorato al premier Paolo Gentiloni. Per anni direttore di “Nuova Ecologia”, non ha avuto una sillaba di risposta.