Le recentissime vicende che hanno coinvolto il Governo Renzi e due suoi Ministri, nell'occhio del ciclone per gravi reati penali, devono indurre a mobilitarsi per VOTARE E FAR VOTARE SI’ AL REFERENDUM NO-TRIV di Domenica 17 aprile 2016 (che si terrà in tutta Italia dalle ore 7 alle ore 23). Ecco comunque tante buone ragioni, non solo etiche, per votare e votare sì.
1) CON I QUESITI REFERENDARI ABBIAMO GIA’ OTTENUTO RISULTATI
IMPORTANTI, ADESSO FACCIAMO UN ALTRO PASSO
L’esecutivo del governo Renzi per mesi ha fatto di tutto (a livello
lecito e sottobanco, mettendo in campo un mix di strumenti normativi
e di ricatti basati su logiche di scambio) per evitare ad ogni costo
che si potesse giungere a questo importante appuntamento
referendario. La determinazione con cui l’attuale compagine
governativa, in maniera a volte subdola e/o sfacciatamente
vergognosa, ha finora perseguito la finalità di ostacolare l’idea
stessa che milioni di italiani potessero dire la loro in materia di
perforazioni per la prospezione, ricerca, coltivazione di
idrocarburi, ha infatti aspetti davvero grotteschi, come il ricorso
alla Legge di Stabilità per eludere principi e prassi decisorie che
fino a poco tempo fa sembravano inderogabili pilastri del cosiddetto
“Sblocca Italia”.
E’ il caso della scomparsa “per magia”, tramite semplice emendamento,
dei principi di “strategicità, indifferibilità, urgenza, pubblica
utilità”, che rappresentavano l’anima stessa del decreto legge
“Sblocca Italia” (poi Legge n 164/2014).
E’ il caso della titolarità all’esproprio già prima dell’esito delle
attività di prospezione e ricerca, così come della facoltà di
assoggettare quote considerevoli di territorio per costruire
infrastrutture funzionali agli impianti ed alle attività di
trasformazione e trasporto degli idrocarburi al di fuori delle aree di
concessione.
E’ altresì il caso dell’abolizione del diritto di decisione da parte
dello stesso presidente del consiglio, al termine di tempi ristretti
e di un iter che esclude l’intesa “in senso forte” tra Stato ed Enti
locali in sede di Conferenza dei Servizi. Lo stesso Piano delle Aree
(dove le Companies potrebbero avanzare richieste o meno) è stato
semplicemente cancellato, così lasciando alle multinazionali la
facoltà non solo di continuare ad avanzare richieste di permessi e
concessioni in modo selvaggio e senza criteri condivisi da Enti
locali e territori, ma addirittura concedendo loro la facoltà di
avvalersi di un doppio regime legislativo per l’ottenimento dei
titoli.
Insomma, di 6 quesiti referendari ammessi il Novembre scorso dalla
Corte di Cassazione, la Corte Costituzionale ne ha salvato solo uno,
a seguito appunto degli emendamenti in Legge di Stabilità, che pur
assorbendo 3 dei quesiti proposti, ne lasciava elusi altri due,
attualmente impugnati per “conflitto di attribuzione” da sei delle 10
Regioni che avevano depositato i quesiti a Settembre. Ad oggi si
attende il provvedimento di ammissibilità il prossimo 9 Marzo.
2) LE CONDIZIONI PER DARE UNA SPINTA CONTRO IL FOSSILE SONO FAVOREVOLI
Chi da anni avverte il peso sulla propria vita, sulla propria pelle,
nel condizionamento delle scelte economiche, in quanto vive e lavora
a ridosso di centri oli, raffinerie, hub portuali, pozzi petroliferi,
centri e/o pozzi di stoccaggio di petrolio e di gas; quanti vivono
con sotto i piedi oleodotti e gasdotti; quanti bevono e coltivano la
terra con acque provenienti da falde inquinate da centinaia di
sostanze chimiche, da metalli pesanti, da idrocarburi; i pescatori, i
lavoratori del settore turistico/alberghiero, oggi non si chiedono SE
appoggiare questo referendum, ma COME continuare ad accumulare forza
sociale e politica per voltare pagina, per chiudere con leucemie,
tumori, avvelenamento di acqua, aria, suolo, cibo, per andare
finalmente oltre il modello energetico fondato sulle fossili.
La combinazione, negli ultimi mesi, della campagna planetaria di
pressione dal basso verso i lavori della conferenza internazionale
sul clima a Parigi (COP 21), con la forte sensibilizzazione provocata
dalla lettera enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”, ha fatto da
detonatore per le lotte territoriali contro le grandi opere, in un
contesto internazionale di accelerazione dell’iniziativa bellica, di
forte e veloce cambiamento degli assetti geopolitici, mentre resta
perdurante la tendenza al ribasso storico del costo unitario di
produzione del barile.
3) IL VOTO DEL 17 APRILE FAVORISCE UNA GRANDE COALIZIONE SOCIALE PER
ATTUARE LA TRANSIZIONE ENERGETICA FONDATA SULLE RINNOVABILI PULITE
Il voto del 17 Aprile è un voto immediatamente politico, in quanto, al
di là della specificità del quesito, residuo di trabocchetti e
scossoni, esso è l’UNICO STRUMENTO di cui i movimenti che lottano da
anni per i beni comuni e per l’affermazione di maggiori diritti
possono al momento disporre per dire la propria sulla Strategia
Energetica nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa
ai territori, alle loro prerogative, alla stessa Costituzione
italiana.
Lo sanno bene le centinaia di comitati e di associazioni, i comitati
che lottano contro le piattaforme a mare, così come contro la Tap,
contro le centinaia di chilometri di tubi delle reti di gas su faglie
sismiche, contro centrali e pozzi di stoccaggio che provocano
sismicità indotta per decreto ministeriale, contro le raffinerie che
emettono sostanze nocive, contro i depositi di stoccaggio a rischio
di incidente rilevante e di inquinamento della falda; lo sanno i
produttori ortofrutticoli, gli allevatori, così come le reti per
l’opzione Combustione Zero Rifiuti Zero. Se alle centinaia di
associazioni a carattere nazionale si sono aggiunti i comitati No Tav
della Val di Susa, così come il Forum nazionale per l’Acqua Pubblica,
la Confederazione Cobas, la Fiom, non è certo in virtù di una
squallida operazione di sommatoria aritmetica delle piccole
convenienze locali.
Di certo chi conosce gli equilibri sociali, politici, culturali,
economici, di chi gestisce (tra l’altro senza mandato elettorale!) le
sorti di circa 60 milioni di italiani, sa bene che il referendum
“questo referendum”, rappresenta la porta stretta attraverso cui solo
uno potrà passare: o vinceranno la furbizia ed il gioco sporco che il
governo Renzi sta conducendo con estrema arroganza e sicumera in nome
della TTIP, delle lobbies inceneritorie, finanziarie, delle
multinazionali, o vinceranno le ragioni di chi chiede diritti,
dignità, rispetto dei territori e della salute, affermazione del
valore d’uso attraverso esercizio diffuso, decentrato e diretto, dal
basso, di più democrazia. Non abbiamo scelto noi il quesito su cui
far convergere, in questa delicata fase di transizione autoritaria e
centralizzatrice dei poteri, l’intelligenza e la potenza delle reti
del conflitto e della proposta per quello che fino a pochi anni or
sono si definiva comunemente “un altro mondo è possibile!”.
Abbiamo comunque uno strumento di convergenza comune, una tabella che
indica con chiarezza il percorso praticabile. Sappiamo bene che ci
attende un percorso duro ed irto di ostacoli, ma dobbiamo essere
fieri di quanto siamo riusciti a fare finora; ancor più di quanto
stiamo facendo, senza smettere di essere ambiziosi! Portare al voto
26 milioni di italiane/i (tanti ne occorrono per il quorum!), sapendo
tra l’altro che i sondaggi danno il Sì al 40% (nemmeno per lo scorso
referendum su Acqua Pubblica e Nucleare a Febbraio davano tanto!),
vuol dire sintonizzarsi fraternamente, solidarizzare, crescere
concentrandosi sull’obiettivo. Vuol dire mettere a disposizione non
un freddo dispositivo di propaganda, ma attivare un sentire comune,
attivare saperi e progettualità essenziali per la sfida della
transizione.
La transizione alle rinnovabili pulite non può essere una delega in
bianco alla miglior convenienza delle lobbies energetiche. E’
anzitutto controllo consapevole esercitato dal basso in condizioni di
condivisione e di formazione/autoformazione costante; è
espropriazione del monopolio alienato della scienza e pratica della
soddisfazione a misura di bisogni collettivi individuati.
4) LA SPINTA REFERENDARIA COSTRINGE MOLTE COMPAGNIE A RINUNCIARE
Soltanto fino a poche settimane fa sarebbe stato azzardare immaginare
che, dopo la pioggia di richieste di permessi, alcune compagnie
potessero abbandonare il campo. La spinta referendaria, letta come
recepimento formale di una pressione materiale costante e crescente
dovuta ai crescenti cicli di lotta sviluppatisi nell’intero paese, in
terra ed in mare, ha creato, contrariamente ai servili desiderata
dell’esecutivo centrale, un quadro di forte incertezza normativa.
Adesso è un fatto che il governo ha dovuto emanare un apposito
decreto di azzeramento per il permesso in Adriatico “Ombrina mare due”
della Rockhopper, una delle più discusse e controverse concessioni a
mare, che nonostante ripetute mobilitazioni di massa, ricorsi, leggi
regionali, sembrava ineluttabilmente in fase di avvio operativo.
Stessa sorte per l’odiato permesso chiesto dalla compagnia Petroceltic
di fronte alle isole Tremiti; per un permesso della Appennine Energy
nello Jonio, dove inoltre, in questi giorni, la Shell abbandona i
giacimenti nel golfo di Taranto, inviando al Ministero dello Sviluppo
Economico la lettera con cui rinuncia al permesso di cercare il
petrolio nel mare fra Puglia, Basilicata e Calabria, con le istanze
riguardanti i due permessi di ricerca d7482fr-sh e d7482fr-sh.
5) I TERRITORI CONTINUANO A CONTARE
In pochi mesi il processo messo in atto dalla strategia referendaria
ha consentito di ottenere un vero e proprio capovolgimento
dell’impianto centralizzatore e decisionista del famigerato “Sblocca
Italia”. Un primo banco di prova riguarda il recupero delle competenze
regionali nelle procedure di Via per il progetto di movimentazione e
stoccaggio di petrolio e di gas a Taranto, in Puglia, provenienti dal
nuovo Centro Oli di “Tempa Rossa”, in Basilicata, e destinati alla
raffinazione off shore.
La giunta regionale pugliese torna, grazie all’assorbimento dei
quesiti referendari negli emendamenti alla Legge di Stabilità, ad
avvalersi di poteri e competenze, mentre i cittadini ed i movimenti
dispongono nuovamente di un importante interlocutore istituzionale,
che nel peggiore dei casi potrà essere destinatario di azioni di
conflitto e di pressione. Come ai tempi delle mobilitazioni per
sollecitare le amministrazioni comunali a deliberare per chiedere ai
rispettivi presidenti di giunta regionale l’impugnazione dell’art. 38
dello Sblocca Italia, il referendum agisce da esplicito catalizzatore
motivazionale all’azione deliberante di giunte e consigli comunali
contro numerose richieste di permessi, come sta accadendo in diversi
comuni campani e lucani in questi giorni, dove sono i sindaci a
convocare esponenti di comitati No Triv e movimenti a loro sostegno.
6) RENZI TEME LA DEBACLE PER LE “SUE” RIFORME ISTITUZIONALI
Abbiamo poco tempo per riuscire ad incidere in modo adeguato ed
efficace. Il Governo, obbligato a stabilire una data per la
celebrazione del referendum No Triv, non a caso sceglie la prima
domenica utile per legge. Oltre a sacrificare senza batter ciglio
l’equivalente dell’ammontare annuale delle royalties (non meno di 350
milioni di Euro!), pur di evitare l’election day, sta tentando di
sabotare i tempi per il normale dispiegamento di una campagna
elettorale degna di questo nome. In realtà il presidente del
Consiglio non vuole che la strada per il referendum confermativo
istituzionale, stabilito ad Ottobre 2016, tra cui la revisione del
Titolo V della Costituzione (di cui lo Sblocca Italia è una
sostanziale anticipazione), possa in alcun modo essere ostacolato da
altri fenomeni di grande catalizzazione del dissenso.
Il referendum del 17 Aprile 2016 rappresenta in realtà un potente
momento di accumulo positivo di energie sociali, di saperi, di
creatività, di veloce incremento di relazioni operative tra reti
consolidate.
Lo stesso Renzi ha più volte dichiarato che in caso di sconfitta del
“suo” referendum istituzionale abbandonerebbe il suo ruolo attuale e
la stessa politica. Allora, diamo una mano al campione del
decisionismo neoliberista a lasciare campo libero ad una grande
coalizione per il bene comune! Il quadro è quindi complesso e
dinamico. Gli elettori hanno voglia e necessità, dopo anni di lotte,
di potersi esprimere non solo nel merito dei quesiti ammessi, ma
dell’intera Strategia Energetica Nazionale. Raggiungere il quorum in
tempi così brevi e sapendo coinvolgere vittoriosamente 26 milioni di
cittadine/ italiane/i, significherebbe saper guidare dal basso un
intero processo di trasformazione sociale e politica di un paese
ammuffito ed intristito da una crisi asfittica, con effetti
trascinanti anche per le lotte di altri paesi europei.
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