«La strada era stata tentata con il
referendum abrogativo. In particolare con il secondo quesito, ritagliato
sugli incisi attraverso i quali la nuova legge elettorale aveva
sostituito la vecchia. Abrogandoli, sarebbe tornato a riespandersi il
cosiddetto Mattarellum. Mi pareva e mi pare una strada semplice e
utile». Professore emerito dell’Università la Sapienza, il
costituzionalista Alessandro Pace ha rappresentato nel
gennaio 2012 davanti alla Corte Costituzionale le ragioni del comitato
promotore dell’ultimo referendum abrogativo del «Porcellum», quello che
la Consulta non ammise pur raccomandando alle camere di intervenire per
cancellare gli aspetti costituzionalmente «problematici» della legge
elettorale in vigore. È da quella sentenza della Consulta – e dal fatto
che in assenza di novità la Corte Costituzionale sarà chiamata a
pronunciarsi ancora sul Porcellum – che il governo Letta ha preso
ufficialmente le mosse per tentare di «mettere in sicurezza» velocemente
la legge elettorale. Velocemente però non significa bene: «Temo che ci
ritroveremo davanti a un Porcellum mascherato. Rendere accettabile
quella legge è un’impresa impossibile, sono troppe le cose che
andrebbero cambiate».
Professore, il Movimento 5
Stelle propone un referendum di indirizzo da tenere subito per far
scegliere ai cittadini quale forma di governo preferiscono, prima che il
parlamento cominci a discuterne. Sul finire della scorsa legislatura
una proposta del genere venne anche dal Pd. Che ne pensa?
Potrei rispondere che i referendum di indirizzo non sono previsti dalla
nostra Costituzione e quindi non se ne parla. A chi immagina di
risparmiare così del tempo, ricordo che bisognerebbe prima fare una
modifica della Costituzione per ammettere i referendum di indirizzo e
poi bandirne uno. Io comunque sarei contrario all’idea, perché con la
semplice formuletta del referendum possono passare tante cose. Per
intenderci, si chiede se si è favorevoli o contrari al semi
presidenzialismo, ma il semi presidenzialismo può essere fatto in varie
maniere. Non dico che sia impossibile, si può prevedere con legge
costituzionale che il presidente della Repubblica abbia anche poteri
nell’esecutivo, che sia eletto dai cittadini.
Però il referendum abrogativo
permette a tutti di valutare anche i dettagli di quella legge ed
esprimersi consapevolmente per il sì o per il no.
Il referendum di indirizzo è un puro interrogativo il cui contenuto è
evanescente. Avanzarlo in questo modo mi pare viziato dallo stesso
difetto che hanno le proposte «metodologiche» del governo.
Si riferisce «al comitato dei
40», che nel progetto di Letta e Quagliariello ha sostituito la
Convenzione come organo che dovrà predisporre i testi di riforma,
peraltro in sede redigente così che il parlamento può solo prendere o
lasciare, senza emendare?
Esattamente. Bisogna intendersi su un punto molto importante eppure
assai semplice: poiché sono le Costituzioni a dettare le regole per la
loro modifica, e la nostra lo fa all’articolo 138, ogni legge
costituzionale che pretenda di modificare la Costituzione con un
procedimento diverso è costituzionalmente illegittima. Per questo la
maggioranza, se ne avesse l’intenzione e la convinzione, dovrebbe prima
cambiare l’articolo 138 con le procedure previste, e quindi dirci come
pensa che andranno fatte d’ora in poi le revisioni costituzionali. E poi
eventualmente procedere sulla base delle nuove regole.
Però il governo di fronte alle
critiche è tornato indietro rispetto all’originale idea della
Convenzione composta da ex parlamentari ed esperti.
Bene che sia stata scartata, meglio sarebbe stato evitare dal principio
di immaginare poteri legislativi affidati a soggetti estranei al
parlamento e privi di legittimazione democratica. Bisogna invece
pedissequamente seguire quanto disposto dall’articolo 72 comma quarto
della Costituzione, secondo il quale la procedura normale di esame e di
approvazione diretta da parte della camera è sempre adottata per i
disegni di legge in materia costituzionale, e dunque a fortiori per le
leggi costituzionali. Significa che non si può sottrarre alla camera e
al senato la possibilità di cambiare quanto deciso dal «comitato dei
40», il potere redigente spetta all’assemblea.
Conosce l’obiezione: in questo
modo non si riesce ad andare avanti. Nasconde anche lei, come ha
insinuato il ministro, «la malcelata idea che sia meglio non cambiare
nulla»?
Per niente. La riduzione del numero dei parlamentari e il superamento
del bicameralismo perfetto sono modifiche senz’altro fattibili. E la
trasformazione del senato in camera delle regioni si può già dire
implicita nella previsione del primo comma dell’articolo 57, secondo il
quale il senato è eletto su base regionale.
Le piace almeno l’idea del comitato di professori che fanno da consulenti al governo?
Penso al contrario che il coinvolgimento «nel processo di riforma delle
migliori energie e risorse politiche, istituzionali, sociali, culturali
del paese» che auspica Quagliariello possa benissimo avvenire con delle
audizioni nelle commissioni di quelli che, di volta in volta, siano gli
«esperti» in materia, e non già costituendo una commissione composta da
un numero chiuso di tuttologi.
Ha letto però che il ministro
adesso parla di referendum confermativo obbligatorio al termine del
processo riformatore, anzi di più referendum per materie omogenee.
Questo per me è motivo di grande soddisfazione, sono stato il primo a
insistere perché le leggi costituzionali avessero contenuto omogeneo,
sicché i cittadini non siano costretti con un solo sì o un solo no ad
approvare un’unica legge costituzionale che tratti materie diverse tra
loro. Ovviamente nella legge costituzionale in gestazione dovranno
essere previste le eventuali modalità di coordinamento delle varie leggi
costituzionali. Temo però che Quagliariello si sia espresso in maniera
infelice, parlando di «uno o più referendum confermativi popolari con
quesiti distinti per materie omogenee». I quesiti sono previsti nel
referendum abrogativo, non in quello confermativo che altro non è che
una forma di partecipazione del popolo al processo di revisione
costituzionale. Non so, forse è un lapsus.