La recente approvazione, in prima lettura, della modifica del Senato ha inferto un primo duro colpo non solo all’equilibrio dei poteri, efficacemente segnalato da Michele Ainis sul Corriere della sera del 9 agosto, ma anche ai diritti politici dei cittadini, che non saranno più elettori di quell’Organo costituzionale. Sono stati annunciati altri provvedimenti che vanno nello stesso senso, come l’aumento delle firme per proporre i referendum e le leggi di iniziativa popolare o l’eliminazione delle preferenze nelle elezioni politiche. Insomma, si è andati nella direzione sbagliata dell’accentramento dei poteri politici nelle mani di pochi, come vuole il dominante pensiero borghese e neoliberista, che sembra stia oscurando la mente di molti.
SI AVVERTONO ANCHE altri sintomi di questo pensiero nel campo dei diritti economici e sociali. Anche qui la parola d’ordine è l’accentramento della ricchezza nelle mani di pochi, il predominio degli interessi privati e della proprietà privata su quella collettiva, le privatizzazioni, la riduzione delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il convincimento che l’ordine sociale viene assicurato dalle libere scelte di mercato, nel presupposto, falso che l’aumento del benessere di pochi giova a tutti. Sono attese, in particolare, le riforme sul lavoro che prevedono la riduzione del debito pubblico. A tal proposito occorre chiarire che il debito pubblico, come avvertono gli economisti non contagiati da teorie neoliberiste, non si diminuisce sottraendo risorse economiche alla circolazione monetaria e svendendo i beni che appartengono a tutti per darli a pochi, ma con lo sviluppo economico, che, a sua volta, può realizzarsi a condizione che i pubblici poteri si attengano a determinate condizioni. È necessario impedire che siano adottati alcuni provvedimenti, come la riduzione del costo del lavoro, che toglie potere d’acquisto alle famiglie e riduce i consumi, o l’indiscriminato taglio della spesa pubblica, il cui effetto immediato è quello di togliere liquidità al mercato. Bisogna anche evitare svendite e privatizzazioni dei demani (come invece prevede il decreto legislativo n. 85 del 2010), imprese, terreni e immobili pubblici.
Queste alienazioni possono fornire danaro per pareggiare temporaneamente i bilanci, ma a medio e lungo termine sono dannosissime, poiché privano gli italiani di ricchezze produttive che non potranno più dare i loro frutti. La privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, come ha dimostrato una relazione della Corte di conti del 2010, ha il sicuro effetto di produrre un servizio meno efficiente e di aumentare le tariffe.
È indispensabile che i pubblici poteri si rendano conto che il più grave ostacolo allo sviluppo del Paese è costituito dai comportamenti della finanza, la quale non investe più in attività produttive, ma in “prodotti finanziari”, che non producono beni reali, ma raschiano quelli esistenti. Al riguardo sono illuminanti le parole che Papa Francesco pronunciò il 16 maggio scorso durante la presentazione delle lettere credenziali di alcuni ambasciatori, ricordando che, nella crisi finanziaria che stiamo attraversando, mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. Ciò dipende da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria, negando il diritto di controllo che spetta agli Stati.
Per perseguire la crescita, invece bisogna limitare lo strapotere della finanza speculativa.
Occorre, cioè, fare il contrario di quello che prescrivono la Troika e il Fiscal compact (che obbliga l’Italia ad accantonare contabilmente circa 50 miliardi l’anno per 20 anni) con misure che portano alla “recessione”, alla misera e a una sorta di “macelleria sociale”, violando così i diritti fondamentali dell’uomo.
PRESCRIZIONI DEL GENERE sono sicuramente illegittime, poiché sono in netto contrasto con il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, sottoscritto a New York
nel 1966, e divenuto esecutivo nel 1976; a livello comunitario, con i Trattati sulla Comunità e sull’Unione Europea, che considerano i diritti umani “principi fondamentali dell’ordinamento comunitario”; e, a livello del diritto interno, con la nostra Costituzione, che pone i diritti umani tra i diritti inviolabili.
Va aggiunto che la Corte costituzionale e la dottrina maggioritaria hanno sempre affermato la cosiddetta “teoria dei contro limiti”, secondo la quale i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione italiana devono ritenersi inviolabili. Dunque, ci sono tutti gli elementi per opporsi alla politica di a u s te r i ty voluta dall’Europa e per risolvere la cosiddetta crisi finanziaria tutelando i fondamentali diritti economici e sociali dei cittadini. In sostanza, piuttosto che accantonare contabilmente risorse economiche, come ci impongono il Patto di stabilità e il Fiscal compact, si dovrebbe, da un lato far capire all’Europa che il debito pubblico si riduce solo con lo sviluppo, e dall’altro lato, per rimettere in moto l’economia, si dovrebbe realizzare subito, come ha insegnato il Keynes, una grande opera pubblica che non danneggi l’ambiente e non produca merci da collocare sul mercato. Sarebbe utile un’opera diretta al ristabilimento dell’equilibrio idrogeologico d’Italia, come fece Roosevelt, impiegando nella piantumazione degli alberi valenti e numerosissimi boys scout.
Paolo Maddalena
*vicepresidente emerito della Corte Costituzionale