Quando le si chiede del governo Gentiloni, scuote la testa. Incredula.
“Sorprende l’autismo politico che promana la reiterazione di potere:
nessuna presa di coscienza del significato del voto del 4 dicembre,
nessun cambio di rotta, nessun tentativo di ricucire il rapporto di
fiducia con i cittadini perché è quella la prima frattura democratica da
colmare per rilanciare il Paese”. Avevamo lasciato
Anna Falcone, la combattiva avvocata cassazionista, nella campagna
elettorale per il No al referendum sulla Costituzione; la ritroviamo
ancora in prima fila all’assemblea del prossimo 21 gennaio quando i
“Comitati per il No” proveranno a lanciare una proposta nazionale:
“Molti, se non tutti, ci chiedono di andare avanti per rilanciare
l’azione politica su un doppio binario: attuazione della Costituzione e
riaffermazione dei diritti sociali, a partire dal lavoro. Per questo
abbiamo già annunciato il nostro impegno per il prossimo referendum sul
Jobs Act”. Si intravede uno spazio politico tra il M5S e il Pd che nasce
dal basso e dalla società civile. Anna Falcone non ha dubbi: “Se la
Sinistra è ancora il luogo del futuro, della partecipazione,
dell’orizzonte democratico del domani non può sottrarsi a questa sfida,
ma deve abbandonare rigidità, frammentazioni e ritualità del passato che
l’hanno portata a collassare su se stessa ed a perdere il contatto con
buona parte della sua base elettorale”.
Partiamo dal 4 dicembre. Qual è il segnale principale che si evince da quel voto? Come si spiega una così alta affluenza?
I cittadini partecipano al voto quando hanno la possibilità di incidere realmente sulla res publica,
così come è stato sulla Costituzione. Al contrario, l’astensione
aumenta quando il consenso è direzionato verso opzioni chiuse e non
soddisfacenti. Dal 4 dicembre giunge un messaggio di grande
partecipazione unito al desiderio di libertà e “liberazione” dalle
vecchie pratiche della politica politicante.
Una
vittoria della Costituzione ma anche un chiaro segnale politico di
sfiducia nei confronti del governo Renzi, il quale è stato costretto a
dimettersi. E’ stato un voto politico?
Il contesto
politico influenza sempre i referendum ma la motivazione principale che
ha spinto i cittadini alle urne è stato il voto “per” la Costituzione e
non “contro” il governo Renzi. Il nostro “Comitato per il No” ha
rifiutato ogni tentativo di strumentalizzazione e personalizzazione
politica del voto, respingendo al mittente la strategia renziana e
puntando all’informazione sulla riforma e sui suoi effetti di
indebolimento del sistema democratico. Ciò detto, è innegabile che il
governo Renzi abbia deluso molti prima del voto, per il fallimento delle
sue politiche sociali ed economiche, e continui a deludere adesso, per
l’assoluta incapacità di fare un’analisi obiettiva e costruttiva della
bocciatura referendaria.
Siamo al tramonto del renzismo o è ancora presto per sancire la sua fine?
Non so se siamo di fronte al suo definitivo declino, di certo la sua
sconfitta non è stata un problema di comunicazione – come sostiene Renzi
– ma di contenuti. Aggiungerei di umiltà e di coerenza con la matrice
progressista a cui il Pd dice di ispirarsi. Invece di ascoltare la
disperazione popolare, si è cercato prima di demolire, con le riforme
sul Jobs Act o la “buona scuola”, quei diritti – appunto il lavoro,
l’istruzione, la salute – che rendono i cittadini protagonisti e
soggetti liberi di uno Stato di diritto, poi di approfittare di quella
stessa disperazione per estorcere un voto su una riforma della
Costituzione, su cui la propaganda renziana spostava la causa di tutti
mali del Paese. Gli italiani non ci sono cascati e, con grande coraggio e
dignità, hanno saputo dire No a questa riforma truffa e ne hanno
approfittato per rilanciare quei valori costituzionali che
rappresentano, al contrario, l’ultimo baluardo per la difesa dei loro
diritti sociali, civili e di libertà. Il programma della nostra
democrazia è scritto tutto lì.
Il governo Gentiloni è un Renzi bis? E, secondo lei, quanto durerà?
Lo è nei fatti e nella fonte da cui promana la sua legittimazione. Del
resto, abbiamo sempre sostenuto, e i fatti ci danno ragione, che la
vittoria del NO non avrebbe determinato alcun stravolgimento politico:
viste le maggioranze in Parlamento e la solida supremazia renziana nel
Pd, non sarebbe stato possibile aver alcun governo non sostenuto da
Renzi. Siamo alla copia di un vecchio governo caratterizzato sempre
dagli stessi limiti. La modernità e il futuro del Paese viaggiano su
altre corde e non può che passare dalla progressiva attuazione di una
democrazia partecipativa: quello di cui il governo ed i poteri che lo
sostengono hanno più paura. Forse hanno ragione.
Passiamo
alla legge elettorale. Il Pd ha proposto il Mattarellum, un sistema
maggioritario che favorisce le coalizioni. Che ne pensa? La convince la
proposta?
Sicuramente visto l’esito referendario, il
Parlamento ha il dovere di dare agli italiani una legge elettorale nuova
che rappresenti un salto di qualità e una discontinuità rispetto al
passato. Non più solo e prioritariamente la governabilità – il che
sarebbe in contrasto con il principio sostenuto dalla Corte
costituzionale nella ormai nota sentenza n. 1/2014 che dichiarato la
parziale incostituzionalità del “Porcellum” – ma soprattutto una legge
elettorale che responsabilizzi gli eletti nei confronti dell’elettorato,
non che ne vincoli il mandato all’obbedienza verso il
segretario/presidente del partito da cui dipende la rielezione. E
andando oltre, una legge che consenta agli elettori di scegliere i
propri rappresentanti e partecipare alla selezione delle candidature. La
governabilità passa, innanzitutto, dalla qualità dei nostri
rappresentanti e dalla capacità di lavorare insieme per il bene dal
Paese, al di là delle convenienze politiche e dai desideri del “capo”.
Il
prossimo 21 gennaio si terrà a Roma un’assemblea pubblica nazionale a
cui parteciperanno tutti i comitati territoriali del “No" alla riforma.
Qual è la proposta politica in discussione?
Siamo
un’organizzazione plurale e democratica: decideremo insieme su come
proseguire e su quali priorità. Insisto: molti, se non tutti, ci
chiedono di andare avanti per rilanciare l’azione politica su un doppio
binario: attuazione della Costituzione e riaffermazione dei diritti
sociali, a partire dal lavoro. Per questo abbiamo già annunciato il
nostro impegno per il prossimo referendum sul Jobs Act promosso dalla
Cgil.
Un bel salto per i comitati del No: dalla difesa della Costituzione alle questioni riguardanti il lavoro e la precarietà…
L’attuazione di un modello pienamente democratico passa dall’attuazione
dei diritti fondamentali e dalla garanzia dei diritti sociali, prima
ancora che dagli equilibri fra i poteri. Non è un caso che nella
Costituzione la parte sul riconoscimento e la tutela di tali diritti,
preceda quella sui poteri e l’organizzazione dello Stato: senza i primi
non può esservi una declinazione democratica dei secondi.
E’ favorevole all’introduzione del reddito di cittadinanza?
Si può discutere sulle forme ma è innegabile che una società fondata,
ormai, sulle diseguaglianze e sul tramonto del lavoro come fonte di
reddito ed emancipazione sociale non possa fare a meno di misure
redistributive della ricchezza, che garantiscano, almeno, la dignità,
quando sia tanto pervicacemente inibito il diritto al futuro.
E per quando auspica il ritorno al voto? A settembre, dopo il referendum?
Non appena ci sarà una nuova legge elettorale, auspicabilmente ispirata
ai principi di cui parlavo sopra, che dia cioè valore alle scelte
popolari e spazio ai suoi migliori rappresentanti, non ai più servili
vassalli del leader di turno o di altri poteri che ne siano espressione.
Però, a meno di una vittoria del Sì al referendum sull’abrogazione del
Jobs Act, o di altri scossoni politici, temo non si tornerà a votare
prima del prossimo autunno, se non nel 2018.
A livello
nazionale il Pd perde consensi e il M5S non sembra approfittare del
governo Gentiloni vedendo come si è impantanato a Roma con la sindaca
Virginia Raggi: sembrano due soggetti in forte crisi. Pensa che alle
prossime elezioni nazionali ci sarà un alto tasso di astensionismo? La
gente ormai non è del tutto sfiduciata nei confronti delle istituzioni?
Dipende da quanto i cittadini penseranno di poter contare con il
prossimo voto politico: se si continuerà a reiterare modelli politici ed
elettorali di mera ratifica o investitura di governi preconfezionati e
candidati opachi, o che brillano solo per l’altissimo tasso di “fedeltà
al capo”, ma il cui valore o passione civile e politica restano ignoti,
l’astensionismo non potrà che aumentare.
Per Lei c’è
spazio per la nascita di un nuovo soggetto, a sinistra, alternativo sia
al Pd che al M5S capace di dare la speranza di cambiamento ai cittadini?
La politica non sopporta vuoti, e in questo momento, più che mai, un
soggetto che sapesse interpretare la “fame” di diritti, la volontà di
partecipazione attiva dei cittadini e selezionare una classe dirigente
all’altezza del Paese, avrebbe praterie aperte davanti a sé.
Che
pensa della prospettiva dell’ex sindaco di Milano, Pisapia, di un
“campo progressista” capace di dialogare col Pd e far nascere un nuovo
centrosinistra nel Paese? I Comitati del NO possono essere attratti da
tale progetto?
Prima di parlare di progetti, bisogna
guardare alla credibilità di chi li propone e agli obiettivi politici
reali, quelli, ancora una volta, calibrati sulla riconquista dei
diritti, più che sulle strategie di potere. Non è dalla sommatoria di
tanti che può nascere una nuova sinistra larga, nei consensi, prima
ancora che nel nome, ma dal coraggio di rilanciare battaglie innovative e
decise contro un’ideologia – il “turboliberismo” – che ha decapitato
libertà e diritti, in nome di un fantomatico progresso materiale,
riuscendo solo a distribuire ricchezza per pochi e miseria per tanti. Il
declino dello Stato democratico e di diritto è iniziato da lì. Non vedo
in quel campo, ancora (forse), tale coraggio.
Infine,
qual è il rapporto coi partiti e volti storici della sinistra classica?
Non è giunta l’ora che emergano nuove forze dalla società civile?
E’ un rapporto di rispetto, ma critico. Siamo tutti consapevoli dei
limiti del modello partito che si è sviluppato a dispetto del “metodo
democratico” sancito in Costituzione, e delle responsabilità di chi quel
modello minimo e ipocritamente insofferente a ogni regolamentazione
conforme a Costituzione. Quanto alla società civile, il salto di qualità
sta nell’annullare la separazione fra società civile e società
politica: la democrazia partecipativa impone un impegno costante di
tutti e la fine della delega di potere in bianco che metta nelle mani di
pochi le decisioni sul futuro di tanti. Penso sia già emersa una forte
volontà di partecipazione, che può convogliarsi in una nuova stagione di
attivismo politico, ma serve, adesso, dimostrare di saperla coniugare
con un altrettanto grande senso di responsabilità. Sono processi che
richiedono tempo e impegno da parte di tutti. Eppure, mai come adesso, è
necessario che questo salto di qualità si realizzi.
Adesso
Lei è in procinto di partorire ma è proprio sicura che, nei prossimi
mesi, non sarà interessata a “scendere in campo”? In molti sembrano
volerla tirare per la giacchetta…
Sono già scesa in campo. E nel modo, credo, più libero e utile a quella res publica
a cui teniamo in tanti, senza paura di definirci indomabili, quanto
pragmatici, idealisti. Perché, vede, non c’è niente di più innovativo e
rivoluzionario di un ideale, di un impegno condiviso e portato avanti da
tanti per cambiare il corso degli eventi e – a volte – della Storia di
un Paese. Questo referendum lo ha dimostrato contro ogni previsione. Noi
cercheremo di trasformare questa vittoria in un nuovo inizio per la
“discesa in campo” non di singoli leader, ma dei cittadini tutti, i veri
protagonisti di questa vittoria e gli unici che possono animare,
insieme, una nuova stagione politica. Saranno loro, devono essere loro a
sceglierne i volti e gli obiettivi che vi daranno corpo e concretezza.
Intervista a Anna Falcone di Giacomo Russo Spena