intervista a Anna Falcone di Giacomo Russo Spena
“In una società profondamente diseguale, che disconosce i meriti e
mortifica i bisogni, la vera rivoluzione sarebbe attuare finalmente
quella Costituzione che si proponeva come obiettivo principale quello di
superare tali disuguaglianze e liberare le risorse e le energie del
Paese”. Dopo la vittoria referendaria del 4 dicembre scorso, Anna
Falcone lancia adesso un’alleanza per la Costituzione, una mobilitazione
larga, aperta a tutti, e con un forte connotato civico. A breve uscirà
un appello pubblico e ci sarà la conferenza stampa, intanto l’avvocata
calabrese – tra un allattamento e l’altro della piccola Maria Vittoria –
ci spiega il senso dell’iniziativa: “La sinistra dovrebbe sentirsi
chiamata, più di altri, a un tale compito e unirsi per dare senso e
futuro al suo orizzonte politico”.
Matteo Renzi ha
festeggiato la netta vittoria alle primarie Pd parlando di “nuovo
inizio”. L’ex premier è veramente tornato in pista più forte di prima?
Non definirei “primarie” un processo di investitura di un segretario
che, avendo costruito il partito attorno a sé, eliminando ogni forma di
opposizione interna che possa realmente minacciare la sua leadership,
raccoglie oggi i frutti di una gestione del potere assolutamente
personale e di una selezione della sua classe dirigente fondata sulla
cooptazione dei fedeli e l’allontanamento dei dissidenti. Il Pd,
purtroppo, si è ristretto, nelle sue ambizioni e dimensioni. E non è
solo un problema di crollo degli iscritti, ma degli ideali su cui diceva
di fondarsi e del suo carattere realmente ‘democratico’.
Sta dicendo che il Pd è ufficialmente mutato nel PdR (partito di Renzi)?
È un peccato perché da un partito realmente democratico ci si sarebbe
aspettati un congresso vero, con tempi e modi adeguati a garantire una
diffusa discussione sulla linea politica, gli errori fatti dal governo
Renzi, il fallimento delle riforme – quella costituzionale in primis –
e gli obiettivi futuri, prima della votazione sul segretario. Ma ciò
che stupisce di più – e fa anche un po’ sorridere – è l’aver tentato di
spacciare la rielezione di Matteo Renzi come una rivincita, capace di
capovolgere, o almeno di ridimensionare, la volontà popolare espressa il
4 dicembre. Come se il voto di una consultazione per le primarie di un
partito potesse sovvertire il pronunciamento del 60% degli italiani che,
partecipando al referendum, hanno votato “NO”. Questo dà la dimensione
di tutta l’operazione. Al posto di Renzi chiederei scusa e cercherei di
allinearmi al Paese reale e a quanti chiedono di poter partecipare nel
merito delle scelte, prima che ad investiture per ratifica.
Nelle
ultime settimane il governo ha votato il decreto Minniti e l’estensione
della legittima difesa, cosa ne pensa? Misure utili per la sicurezza
dei cittadini o provvedimenti liberticidi?
Con questo
provvedimento si è voluto strizzare l’occhio a un mondo in cui le paure
contano più dei diritti e sono quelle a dettare le leggi, dando al
cittadino l’illusione, e solo quella, di potersi fare giustizia da sé.
La sicurezza non si garantisce armando i cittadini, ma finanziando
politiche sociali e di inclusione, e sostenendo le forze dell’ordine,
cui spetta il controllo del territorio. Sono loro le prime a insistere,
tramite i loro sindacati, perché alle politiche di repressione si
affianchino programmi di formazione alla legalità, prevenzione del
crimine, recupero e reinserimento sociale dei più disagiati. Oltre a
denunciare il fatto che non hanno più soldi nemmeno per la benzina.
Per lo scrittore Roberto Saviano su questi temi “il Pd è come la peggior destra”. È d’accordo?
Il Pd è stato un’occasione mancata per il Paese, un partito che ha tradito l’identità e la mission
politica che si era dato e, invece di rafforzare il modello democratico
e progressista della società, ha finito per cedere alle sirene delle
politiche liberiste, all’imitazione del mercantilismo in chiave
‘addomesticata’ che già aveva fallito in altri Paesi e che, a lungo
andare, non può che far propendere l’elettore per l’originale, piuttosto
che per la sua copia. Tutto questo in un partito che si presentava come
moderno, aperto e plurale, deciso a rinnovare la classe dirigente del
Paese su criteri di meritocrazia e trasparenza. Al contrario, ci si è
chiusi in un partito autoreferenziale e condizionato dalle correnti
interne, spesso incapace di rispettare il suo stesso statuto.
Intanto
anche il M5S sembra inseguire la peggiore destra sulla questione dei
migranti andando a contendersi l’elettorato con la Lega?
Il M5S ha avuto il merito di dare una scossa a una democrazia bloccata
sulla crisi di fiducia fra istituzioni, partiti e cittadini. Ancora, di
dar voce al disagio di tantissimi italiani che gli hanno tributato, in
questi anni, un crescente consenso. Il consenso, però, porta con sé la
responsabilità di governare e dare soluzioni praticabili ed efficaci. E
per governare problemi complessi, come l’immigrazione, non bastano gli
slogan di pancia, o le invettive “contro”, che alimentano la rabbia, ma
non spengono il bisogno.
Il tema dei flussi migratori non è da affrontare in chiave europea?
L’immigrazione è un fenomeno che non può essere affrontato e risolto
da un solo Paese. Ed è un fenomeno di sempre, che ha assunto dimensioni
ingovernabili a causa dei conflitti in corso e della morsa di miseria
che attanaglia il sud del mondo. Anche per questo le soluzioni della
destra non reggono. Le invettive sui respingimenti o la chiusura delle
frontiere, lo slogan “aiutiamoli a casa loro” e simili, cozzano con
l’antieuropeismo a prescindere che spesso ispira tali forze politiche. A
pochi, credo, piaccia questa Europa e non v’è dubbio che vada cambiata
radicalmente, ma se davvero vogliamo contare nello scacchiere
internazionale, se davvero pensiamo che per aiutare molti di questi
uomini e donne in fuga occorra prevenire o sedare i conflitti, sostenere
con programmi specifici lo sviluppo di quei Paesi (sempre nel rispetto
della loro cultura), potenziare la solidarietà internazionale, dobbiamo
unire le nostre forze. Ho poche speranze che la Lega sia disposta a
ragionare in questa prospettiva. Quanto al M5S spero che fra le sue
diverse anime maturino e prevalgano quelle più responsabili e più
lungimiranti.
Lei è stata tra le protagoniste della vittoria referendaria dello scorso 4 dicembre. Che eredità ha lasciato quella giornata?
Innanzitutto la soddisfazione di aver vinto una importante battaglia
per la democrazia con pochissimi mezzi, ma forti del sostegno crescente
di tante, tantissime persone. Poi, una grande consapevolezza per gli
italiani che, quando si giocano partite importanti – e sanno che lì il
loro voto conta – si mobilitano, vanno a votare e vincono. Perché quando
il popolo si pronuncia è sempre una vittoria per la democrazia. Di più,
con quel voto la gente ha dato, per la seconda volta (la prima contro
la riforma Berlusconi), una inequivocabile indicazione politica: gli
italiani si riconoscono in quella Costituzione e rispondono ai vari
tentativi di modifica con una richiesta esattamente opposta: chiedono
che venga finalmente applicata.
Il suo è un monito a rilanciare il Paese a partire dalla Costituzione?
Chiunque abbia rispetto per i cittadini di questo Paese e voglia dare una chance
di rinascita a una democrazia dalla caduta verticale di fiducia fra
cittadini e istituzioni, da una crisi che mina alle basi la tenuta
sociale, dovrebbe prendere il testo costituzionale e impegnarsi a darne
immediata e completa attuazione. A partire dal ruolo dello Stato nella
promozione dei diritti sociali, lavoro in primis, ma anche
istruzione, salute e assistenza sociale. Significa dare contenuti a quel
compito assegnato alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli che,
limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza fra i cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Abbiamo tutti
diritto alla felicità e lo Stato deve aiutare i suoi cittadini a
perseguirla.
Il suo amico Tomaso Montanari ha già detto che sarebbe un errore fare il “partito della Costituzione”...
Non sarebbe un partito, né il Comitato per il No si costituirà in
partito: penso a una “Alleanza per la Costituzione”. L’attuazione della
Carta non basta ma è il punto di partenza, la nostra matrice comune da
cui ripartire per unire un fronte ampio e scrivere un programma di forte
modernizzazione economica e sociale. Un programma e un fronte
alternativi alle politiche liberiste e ai poteri sovranazionali che
hanno causato la crisi e che mirano a coltivarla per perpetrare le
attuali diseguaglianze e governare indisturbati, erodendo sempre più
diritti e spazi di libertà, grazie al diffuso senso di insicurezza e
paura. I tempi sono maturi. Anzi, non c’è più tempo da perdere: occorre
passare dal contrasto alla fase propositiva.
Così, secondo lei, sarebbe possibile rompere il binomio elettorale Pd/M5S?
Il 4 dicembre è stata una data cruciale e di rottura. Bisogna ripartire
dal lì. Quel voto, in netta controtendenza con l’astensionismo
dilagante nelle consultazioni politiche, dimostra che in Italia lo
spazio politico c’è già. Se circa il 50% degli elettori non partecipa
più al voto è perché non si sente rappresentata dagli attuali partiti,
ancor di più se si tratta di comitati elettorali fondati sulla
cooptazione dei fedeli e la nomina dei rappresentanti. Per superare
derive leaderistiche e populiste non c’è altro modo che favorire il
passaggio dalla democrazia meramente rappresentativa ad una
partecipativa, garantendo la più ampia partecipazione popolare alla
determinazione della politica nazionale, il metodo democratico e il
principio di rappresentanza come regola dei partiti e delle istituzioni,
la libertà di accesso alle cariche elettive, la legittimazione popolare
delle classi dirigenti. Credo che se le forze sinceramente democratiche
di questo Paese e le molte feconde esperienze civiche che sono emerse
in questi anni si unissero in un “programma costituzionale”,
raccoglierebbero un grande e inaspettato consenso.
In
Europa, come abbiamo visto anche in Francia, la sfida sembra essere tra
i Macron e Le Pen, ovvero tra il blocco dell’austerity e la destra
xenofoba. Come rompere questa spirale?
Unendo le
forze della sinistra con le molte esperienze civiche vitali e attive in
tanti Paesi in un progetto di radicale cambiamento del modello europeo. È
inoltre imprescindibile spezzare quel cortocircuito fra politica e
interessi economici che ha permesso di applicare i Trattati UE solo
nella parte che dava potere ai mercati e non laddove si indicavano
obiettivi quali lo sviluppo sostenibile, la solidarietà fra i popoli e
la piena occupazione. Non è più tollerabile un modello europeo che,
tramite il dogma del pareggio dei bilanci e del contenimento della spesa
pubblica, anche quella produttiva, consente ai Paesi economicamente più
forti di approfittare della debolezza di altri Stati membri e di
assorbire, di fatto, le loro migliori risorse umane ed eccellenze
produttive, previo azzeramento delle politiche sociali e degli
investimenti pubblici. Si è toccato il fondo: o l’Europa cambia o è
destinata a implodere. Questo sì che sarebbe uno scenario in cui i
populismi la farebbero da padroni. E nessun cittadino avrebbe di che
guadagnarci. L’Italia deve partecipare in prima linea a questo processo e
dopo il voto del 4 dicembre ha un’importante chance per farlo,
rilanciando insieme alla sua Costituzione un nuovo modello democratico
europeo, coerente con i suoi principi e con il primato della sovranità
popolare.
Anna Falcone, vice presidente del Comitato per il no al referendum costituzionale, lancia un appello pubblico per dare seguito alla vittoria del 4 Dicembre: “L’attuazione della Carta non basta ma è il punto di partenza, la nostra matrice comune per unire un fronte ampio e scrivere un programma di forte modernizzazione economica e sociale. Un progetto fortemente alternativo alle politiche liberiste e ai poteri sovranazionali che hanno causato la crisi”.