Audizione del prof. Alessandro Pace, presidente dell’Associazione “Salviamo la Costituzione: aggiornarla non demolirla”

di Alessandro Pace - 23/06/2013
COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI SENATO DELLA REPUBBLICA venerdì 21 giugno 2013 AUDIZIONE INFORMALE CONCERNENTE LA PROCEDURA STRAORDINARIA PER LA REVISIONE DELLA PARTE SECONDA, TITOLI I, II, III e V DELLA COSTITUZIONE PREVISTA DAI DISEGNI DI LEGGE COSTITUZIONALI NN. 813 e 343

Ringrazio il Presidente sen. Anna Finocchiaro dell’onore che mi ha fatto invitandomi a questa importante audizione su temi a me particolarmente cari, avendo ad essi dedicato anni di ricerche. Cercherò, ciò nondimeno, di ricorrere a tecnicismi giuridici solo dove strettamente necessari.

D’altra parte l’importanza dei temi in discussione - la modifica dei fondamenti giuridici del nostro sistema - implica e anzi pretende che non si usino parole in libertà, e che vi sia quindi la piena consapevolezza da parte di tutti di ciò che il Parlamento si accinge a compiere.

 

I

1. Detto ciò, non posso non sottolineare anche in questa sede prestigiosa - dopo averlo fatto in sede scientifica con riferimento alle leggi costituzionali n. 1 del 1993 e n. 1 del 1997 - la gravità del vizio di costituzionalità che si cela dietro le formule «procedura straordinaria per la revisione», «deroga una tantum» o «procedimento speciale derogatorio».

E’ bensì vero che analoga formula è stata seguita dalle leggi costituzionali nn. 1 del 1993 e n. 1 del 1997, ma esse non costituiscono validi precedenti.

Le leggi costituzionali del 1993 e del 1997, come anche la legge costituzionale proposta dal Governo Berlusconi nella XIV legislatura ma respinta in sede referendaria nel 2006, avevano anche un altro grave difetto. Esse sottoponevano al voto referendario un testo disomogeneo, il che costringeva i cittadini ad esprimersi con un solo sì o no ancorché non fossero d’accordo o in disaccordo su tutto. Ebbene, questo errore non è stato seguito dal d.d.l. cost. n. 813 a dimostrazione che i precedenti non vincolano se sono viziati.

Ma dov’è il vizio che inficia il d.d.l. cost. n. 813? Dico subito che il Parlamento potrebbe modificare la procedura dell’art. 138, ma finché quella procedura è in vigore, deve rispettarla. In questo senso l’art. 138 è bensì modificabile ma non derogabile. Del resto, se il Parlamento ritiene di non modificare definitivamente l’art. 138 vuol dire che lo ritiene tuttora rispondente alle sue finalità istituzionali (quelle cioè di adeguare la Costituzione alle mutate esigenze storiche, sociali e politiche). Ma se lo ritiene tuttora rispondente a quelle finalità, non si vede allora perché debba derogarlo per modificare parti importanti della Costituzione stessa.

In conclusione le varie formule usate in questa occasione («procedura straordinaria», «deroga una tantum», «procedimento speciale derogatorio») evidenziano bensì la struttura del fenomeno (e cioè che una data legge costituzionale pretende di porsi come “eccezione” nei confronti della disciplina dell’art. 138) ma non evidenziano all’operatore non smaliziato che gli effetti della deroga una tantum saranno invece permanenti. Infatti in conseguenza di una deroga una tantum, una o più parti della nostra Costituzione verrebbero definitivamente modificate.

Il c.d. «procedimento speciale derogatorio» costituisce quindi una modifica surrettizia con effetti permanenti della procedura ex art. 138 Cost.

 

2. Mi rendo conto che, da un punto di vista politico, è difficile, anche se non impossibile, ricominciare da zero e che la formula utilizzata – quella di una legge costituzionale-madre che partorirà, nelle intenzioni dei proponenti, quattro leggi costituzionali-figlie - persegue degli obiettivi politici condivisi dal centro destra, dal centro sinistra e dal Presidente della Repubblica. Ma, a parte il fatto che la Costituzione dovrebbe essere tenuta al di sopra dei transeunti obiettivi politici, sarebbe comunque più semplice e lineare seguire la procedura dell’art. 138 e predisporre quindi tanti disegni di legge costituzionale.

Del resto non è un caso che le leggi costituzionali nn. 1 del 1993 e 1 del 1997 prevedessero l’istituzione di una commissione parlamentare per le riforme: l’obiettivo dei proponenti era allora quello di modificare la Costituzione in più parti con una sola legge costituzionale ancorché disomogenea, che i cittadini avrebbero dovuto o approvare o respingere in blocco.

Allora mi chiedo: una volta che si è ormai acquisita la contezza dell’errore su cui si basavano le leggi costituzionali aventi un contenuto disomogeneo, a che pro approvare una legge costituzionale-madre anziché seguire la strada indicata dall’art. 138 ?

 

II

2. Passo ora a trattare di alcuni punti del d.d.l. cost. che sollevano gravi problemi costituzionali e regolamentari.

Una prima anomalia riguarda il ruolo del Governo nel procedimento di revisione costituzionale. Poiché la procedura di revisione non attiene all'indirizzo politico di maggioranza, suscita perplessità che il Governo non solo abbia presentato direttamente il disegno di revisione costituzionale, come peraltro già aveva fatto il Governo Berlusconi nella XIV legislatura, ma abbia addirittura provveduto a nominare i componenti di una commissione consultiva «incaricata di fornire i suoi input nel merito delle modifiche da apportare alla Costituzione» (sic!).

Da questa prima anomalia ne discende un’altra, e cioè il regime "privilegiato" degli emendamenti previsto all'art. 3 comma 3. I poteri a disposizione del Governo, nel corso dell'esame presso le due Assemblee, sono infatti equiparati a quelli spettanti al Comitato. L’esecutivo ha quindi il potere di presentare emendamenti entro quarantotto ore dall'esame degli articoli o degli emendamenti cui si riferiscono.

 

3. Una seconda anomalia sta nel fatto che proprio al Senato è stata seguita, per il d.d.l. cost. n. 813, la procedura prevista dall'art. 77 R.S., con conseguente dimezzamento di tutti i termini di esame nel procedimento di approvazione, come se si trattasse di una qualsiasi legge ordinaria di particolare urgenza, e non della modifica della Costituzione.

Per contro la doppia approvazione delle modifiche «intervallata da un opportuno periodo di riflessione» (come si espresse on. Perassi all’Assemblea costituente) evidenzia con esattezza l’importanza eccezionale che sin dalla fine del secolo XVIII è stata riconosciuta alle procedure di revisione delle costituzioni rigide. La diminuzione dell’intervallo tra la prima e la seconda approvazione da tre mesi ad uno, previsto dall’art. 4 comma 4 d.d.l. cost. n. 813, non è quindi un errore come un altro. Dimostra purtroppo che si sono affrontati i problemi della revisione costituzionale come se si trattasse di una qualsiasi legge ordinaria.

Il che è ribadito dalla tempistica del procedimento di revisione. Il desiderio di imporre a tutti i costi un termine di conclusione si evince dall'art. 4 comma 1. Ma il riferimento ai diciotto mesi per la chiusura dell'esame, seppur il più lampante, non è il solo. Al comma 2 dello stesso articolo 4, si stabilisce, "comunque", l'obbligo di trasmissione di un progetto di legge tra quelli assegnati nel testo eventualmente emendato dal Comitato: una sorta di trasmissione obbligatoria, allo stato dei lavori, del testo ancora non maturo, all'esame dell'Assemblea. Ponendosi un termine decisivo all'istruttoria in Commissione, esso si risolve non solo in una deroga al principio dell’esame in commissione previsto dall'art. 72 comma 1 Cost., ma anche in una forma di "ghigliottina" della fase di esame in seno al Comitato.

Depongono ancora in favore di una conclusione rapida - del tutto estranea, come già detto, alla natura del procedimento di revisione previsto dall'art. 138 Cost. - sia l'articolata scansione dei termini interni delineata dal seguito dell'art. 4 sia l’esplicito "potere sostitutivo" di designazione coattiva da parte dei Presidenti di Assemblea, qualora uno o più Gruppi non procedano "propria sponte" alla designazione dei rappresentanti in seno al Comitato.

 

4. In terzo luogo, suscita notevoli perplessità anche l’art. 1 comma 2 il quale deroga al criterio tassativo di composizione delle commissioni speciali di cui all'art. 72 Cost. Criterio che viene qui corretto nel senso che il Comitato è composto «su designazione dei gruppi parlamentari delle due Camere, previa intesa tra i presidenti di gruppo, in base alla complessiva consistenza numerica dei gruppi e al numero di voti conseguiti dalle liste e dalle coalizioni di liste ad essi riconducibili, assicurando in ogni caso la presenza di almeno un rappresentante per ciascun Gruppo e di un rappresentante per le minoranze linguistiche».

Ora, quali che siano i gravi difetti della vigente legge elettorale, l’art. 72 comma 3 Cost. impone un solo criterio per la composizione delle commissioni, e cioè che esse devono rispecchiare «la proporzione dei gruppi parlamentari», la cui consistenza, piaccia o non piaccia, è quella derivante dall’esito delle elezioni del 24-25 febbraio.

Il vero è che quello introdotto dall’art. 1 comma 2 non è un criterio correttivo, ma un criterio ulteriore che si affianca a quello previsto dall’art. 72 Cost. Semanticamente lo dimostra la semplice congiunzione "e" che, legando i due criteri di composizione, esclude si possa parlare di una clausola di correzione del risultato nella formazione dell'organo. Esso allude piuttosto ad un sistema di calcolo della composizione che è equiordinato a quello conosciuto e ribadito anche nell’art. 82 comma 2 Cost. a proposito della composizione delle commissioni parlamentari d’inchiesta.

L’incognita che grava sull'attuale formulazione dell'art. 1 comma 2 è quindi quella dell'aleatorietà dei tre criteri di computo (il terzo essendo costituito dalla necessaria presenza di un rappresentante per le minoranze linguistiche), i quali, risolvendosi in altrettanto diverse composizioni, potrebbero dare vita ad equilibri non marginalmente diversi nei rapporti numerici di rappresentanza di liste e Gruppi all'interno del Comitato.

 

5. Concludo con una vera e propria perla. L’art. 5 d.d.l. cost. n. 813 prevede una speciale disciplina per la revisione costituzionale della legge o delle leggi «approvate ai sensi della presente legge costituzionale». Una disciplina che è più rigorosa rispetto a quella dell’art. 138, nel senso che in questo caso anche le leggi di revisione approvate con la maggioranza dei due terzi verrebbero sottoposte a referendum ove ne sia fatta richiesta.

Di talché, per volontà del d.d.l. cost. n. 813 in futuro anno ci sarebbero due diverse procedure a seconda dell’oggetto della legge di revisione.

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