Secondo Epitteto, filosofo greco del I secolo d.C., “la verità trionfa da sola mentre la menzogna ha sempre bisogno di complici”. E in effetti, oggi 19 luglio 2018, a 26 anni dalla strage di via D’Amelio, sappiamo che Paolo Borsellino venne ucciso dai complici della menzogna di Stato con la quale si voleva nascondere l’oscena trattativa con la mafia che si svolgeva dietro le quinte e che Borsellino aveva saputo e che perciò chi lo conosceva sapeva l’avrebbe denunciata prima all’autorità giudiziaria e poi all’opinione pubblica.
È quanto emerso dalla sentenza “epocale” della Corte d’Assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto con la quale, per la prima volta nella storia, una giuria popolare ha condannato capimafia ed esponenti di spicco dello Stato (capi dei servizi segreti e dei gruppi speciali investigativi, come i generali Mario Mori e Antonio Subranni, e il fondatore del partito che ha a lungo retto le sorti del Paese, Marcello Dell’Utri), per avere insieme messo sotto minaccia e scacco tre governi in carica fra il ’92 e il ’94, così inducendoli a piegarsi alle richieste della mafia per il patto politico-criminale su cui si è retta la Seconda Repubblica, che affonda i pilastri nel sangue delle vittime delle stragi del ’92 e del ’93. Ma Epitteto, da filosofo stoico qual era, aveva una buona dose di ottimismo. La verità non ha trionfato da sola. Anzi, la solitudine di Borsellino lo condusse alla morte. E i complici della menzogna hanno vinto per un quarto di secolo.
Siccome dire la verità – insegnava George Orwell – è atto rivoluzionario, bisognava impedirgli di pronunciarla per evitare la rivoluzione che sarebbe scoppiata travolgendo lo Stato. Ma, nonostante quell’orribile strage, non erano ancora paghi i complici della menzogna, custodi dei più nefandi segreti di Stato, uno Stato assassino dei suoi campioni, da Borsellino a Falcone fino alle vittime delle stragi del continente del 1993.
Loro hanno vinto, contagiando le più alte cariche dello Stato, fino a un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che con un conflitto di attribuzione si mise di traverso col peso della propria carica, sbarrando la strada della verità che la Procura di Palermo stava faticosamente percorrendo.
Ma le cose oggi possono cambiare. Ce lo dice la sentenza di Palermo. E ce lo dice la sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta che ha avuto il coraggio di condannare lo Stato per il più grave depistaggio della storia, dimostrando che altri complici della menzogna hanno depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio per nascondere le responsabilità di uno Stato colpevole e assassino.
Certo, la strada è impervia e incontra ostacoli e difficoltà perché se c’è uno Stato pronto, in nome della Costituzione, a condannare anche se stesso, ce n’è un altro incline ad autoassolversi, a schivare accertamenti e approfondimenti quando la responsabilità dello Stato viene in discussione, come dimostra l’archiviazione dell’omicidio di Attilio Manca, un’altra vittima della trattativa e dei depistaggi dei custodi della menzogna di Stato. Ma le cose possono cambiare, anche perché quelle due sentenze “epocali” cadono in una congiuntura politica favorevole.
Oggi non sono più al governo gli artefici degli anni del muro di gomma. I nemici della verità sono stati cacciati, anche se tanti altri sono ancora lì: negli apparati di sicurezza, nella burocrazia statale, nei luoghi che detengono i segreti di Stato. Ma il Popolo della Verità li conosce e gli uomini nuovi, entrati per la prima volta nelle stanze dei bottoni, lo ascoltino.
Ci sono tanti modi per farlo. Uno è aprire il Parlamento ai cittadini extraparlamentari. Nulla lo vieta, tranne prassi parlamentari e costituzionali che possono essere cambiate.
Oggi serve coraggio, determinazione e volontà di cambiare. Si istituisca una nuova forma di Commissione d’inchiesta, a composizione mista, civico-parlamentare. Che abbia come presidente chi della battaglia per la verità ha fatto una ragione di vita: uomini come Salvatore Borsellino, donne come Giovanna Maggiani Chelli. E occorre una mobilitazione dei cittadini assetati di verità in un Paese senza verità. Come stranieri in patria che però, come Borsellino, Falcone e gli altri italiani caduti per difendere il principio di legalità e giustizia, hanno diritto alla verità. E che quindi, da stranieri in patria, devono farsi ambasciatori in terra straniera, per ripulire lo Stato dagli uomini della menzogna di regime.
Serve la rivoluzione della verità in un Paese allergico alla verità come il nostro. La verità è sempre rivoluzionaria, diceva Gramsci, ma anche un grande scrittore non rivoluzionario come Fëdor Dostoevskij scriveva: “Chiunque voglia sinceramente la verità è sempre spaventosamente forte”.
Si può cambiare, ma bisogna saper osare.