La sentenza di appello dell'8 maggio che
conferma la condanna a quattro anni di reclusione e a cinque di
interdizione dai pubblici uffici nel processo sui diritti Mediaset
rischia di cancellarlo dal panorama politico italiano.
Non sono tra coloro che fanno il tifo perché ci sia un’uscita di scena
giudiziaria dalla politica del cavaliere. Sono convinto che i
provvedimenti della sua parte politica, spesso influenzati dalle sue
esigenze, siano stati una sciagura per il Paese, ma voglio tenere
distinti i due piani.
Secondo la legge italiana devono essere due le condizioni contemporanee che sono da ostacolo alla partecipazione alla vita politica e istituzionale del Paese. La prima è essere bocciati dagli elettori, la seconda è commettere reati che prevedono l’interdizione dai pubblici uffici. Non esiste una soluzione meno dignitosa dell’altra. Per governare, ma anche solo per fare politica nelle istituzioni si deve essere eletti e si deve essere integerrimi. Le due condizioni sono indissolubilmente legate.
C’è poi una ragione, tutta politica, che mi conferma nel convincimento che la magistratura è autonoma nelle sue decisioni. Se ci fosse una parte politica che incide sulle sentenze avrebbe, con ogni probabilità, fatto assolvere Berlusconi. Mai come in questo momento, infatti, c’è bisogno di stabilità. Siamo alle prese con un governo di larghe intese che muove i suoi primi passi. Io sono convinto che non riuscirà a fare le riforme di cui il Paese ha bisogno, ma se la magistratura fosse eterodiretta lo sarebbe – secondo una certa impostazione – proprio da una delle parti che da qualche settimana ha deciso di governare con Berlusconi. Io invece sono sicuro che la magistratura, nonostante le tante pressioni di questi ultimi 20 anni, ha resistito ed è riuscita a rimanere autonoma e indipendente. Stasera, se ne avessi avuto bisogno, ho una prova in più.