II metodo eversivo con cui è stato insediato il governo Letta - per il connubio con cui il Pd e il Pdl si sono posti al servizio del mandato del capo dello stato di concorrere alla revisione costituzionale, fallita in vario modo nei ripetuti tentativi di alterare la forma di governo parlamentare più coerente con la sovranità popolare nei sistemi politico-sociali d'Occidente - reclama una risposta organizzata da parte della cultura e delle forze democratiche. Occorre mobilitarsi con un lavoro di lunga lena per ripristinare pienamente nella coscienza collettiva lo stretto collegamento che i partiti antifascisti hanno impostato tra i principi dell'ordinamento della Repubblica, necessari alla trasformazione della società e dello stato, e i principi destinati a cambiare la classe dirigente, per le finalità di una democrazia sociale regolatrice del meccanismo di accumulazione della ricchezza in nome del primato del "lavoro" sul "capitale".
Nel suo discorso programmatico pronunciato lunedì 29 aprile a Montecitorio per chiedere la fiducia alle Camere, Enrico Letta afferma che "Al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta fondamentale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente, sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione, aperta alla partecipazione anche di autorevoli esperti non parlamentari e che parta dai risultati della attività parlamentare della scorsa legislatura e dalle conclusioni del Comitato di saggi istituito dal Presidente della Repubblica. La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le procedure per un provvedimento Costituzionale possano compiersi. Dal momento che questa volta l'unico sbocco possibile per questo tema è il successo nell'approvazione delle riforme che il paese aspetta da troppo tempo, fra 18 mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, non avrei esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze".
Il governo delle "larghe intese" ha deciso così di farsi tutore di un disegno di stravolgimento della Costituzione, con una procedura che, già per il percorso che attiva, esce dai binari disegnati nel testo della Costituzione:
a) perché introduce la Convenzione come organo extraparlamentare di revisione della Costituzione (posto in continuità, tra l'altro, con l'illegittimo "Comitato dei saggi", inventato da Napolitano per imporre la sua soluzione alla crisi);
b) perché a tale Convenzione è affidato il compito non di revisionare singoli articoli (ciò che negli Usa corrisponde in qualche modo agli emendamenti), ma di modificare l'intero impianto dell'organizzazione costituzionale; il che può essere di competenza solo di Assemblee costituenti come quella che nel 1946 ha istituzionalizzato la rivoluzione antifascista sotto l'egida dei Comitati di liberazione nazionale.
A tale decisione governativa occorre replicare d'urgenza riproponendo a livello di massa quei nodi teorico-politici che nella Costituzione del 1948 sono stati affrontati per dare legittimità ad un modello sia di "forma di stato", sia di "forma di governo", che si distinguesse da tutti quelli che con varia tipologia erano stati accolti negli altri sistemi europei, in base ad una tradizione di contestato riconoscimento del pluralismo sociale e di predominio del principio di "governabilità".
Benché già nel 2006 il popolo abbia percepito i pericoli della revisione costituzionale varata dal governo Berlusconi, dando esito negativo al referendum "confermativo", di fronte alla ostentata premeditazione dei partiti del governo Letta di pervenire alla nuova forma di governo "antiparlamentarista" con la maggioranza dei due terzi, allo scopo di eludere il ricorso al referendum previsto in casi di più esiguo accordo parlamentare, si rende necessaria una mobilitazione organizzata territorialmente per contrastare l'opera di quella "Commissione redigente" che si è deciso di adottare contro il metodo prescritto nell'art. 138 C. con lo scopo di imbrigliare le Commissioni Affari Costituzionali delle due Camere, come già nelle avvisaglie risalenti alla nomina da parte del Presidente Giorgio Napolitano del "gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali", che ha prodotto un documento da consegnare ai partiti e al Parlamento, sotto il controllo di uno dei suoi membri appositamente nominato "Ministro per le riforme istituzionali".
Va colta quindi l'occasione per denunciare la classe dominante per quel vizio d'origine che, dall'epoca dell'"assolutismo" alla creazione dello "Stato di diritto", non rinuncia mai a fare della "questione dello Stato" l'emblema dell'antitesi alla "questione sociale", su cui i partiti antifascisti hanno imperniato la 1oro concezione dello stato "democratico" quale veicolo dei processi sospinti dalla dialettica tra le classi: come dimostra, nella complessità della storia italiana degli ultimi 90 anni, il fatto che, già prima di emanare nel 1925 la legge istitutiva del "Capo del governo, primo ministro, segretario di Stato" si era provveduto a istituire (4 settembre 1924) una "commissione dei quindici" composta di giuristi incaricati di escogitare il modello d sovraesposizione del potere esecutivo sul potere legislativo. Ottica esattamente coincidente con quella dominante nei tentativi avviati dal 1983 con 1'istituzione della Commissione Bozzi, seguita da tre "bicamerali", il cui lavoro ha suscitato apprezzamenti di vario tipo in seno alla cultura costituzionalistica italiana, senza peraltro quelle riserve "pregiudiziali" in carenza delle quali una trama, sia palese che occulta, esprime le pretese delle forze più reazionarie di bloccare e decostruire il modello di forma dì governo che, solo in Italia, ha potuto, specie negli anni 60-70, vedere affermarsi il nesso tra le lotte sociali, il ruolo delle assemblee locali e regionali e la centralità del Parlamento.
Centralità che ha potuto esprimere il meglio di sé proprio in virtù della natura "eguale" del bicameralismo che - unico al mondo, come oggi si depreca - è stato la forma idonea a garantire coerenza e continuità al ruolo del potere legislativo nell'aspra battaglia per la programmazione democratica dell'economia e per le riforme sociali, sino a quando il processo democratico istituito nel rapporto tra la società e lo stato non è stato interrotto ed ora addirittura bloccato, per un ritorno all'indietro che non è la c.d. "prima repubblica", ma la ricaduta nell'autoritarismo sociale e politico-istituzionale, abbattendo la Seconda Parte della Costituzione nei suoi principi organizzativi, per poi più agevolmente prendere di petto la Prima Parte e i Principi Fondamentali, per allineare mercato e stato secondo i dettami di un "europeismo" tecnocratico ed antipopolare.
Contro queste procedure di revisione costituzionale attraverso un organo extraistituzionale quale è la Convenzione, nonché contro alcuni contenuti di tale revisione, che punta a trasformare in senso anticostituzionale la forma di stato e la forma di governo si sono espressi i comitati Dossetti e diversi giuristi e personalità politiche.
In raccordo con queste giuste critiche e con tutti coloro che avvertono la drammaticità della situazione attuale con lo stravolgimento integrale della Costituzione, riteniamo possibile costituire un Comitato antifascista nazionale, collegato territorialmente con i luoghi ove le forze sociali vivono il dramma della recessione economica e della involuzione autoritaria della democrazia, per porre al centro quella memoria storica che agevoli la contestazione del ruolo della "Commissione redigente", sì da chiarire la stretta interdipendenza tra il rilancio della legge proporzionale "integrale" (o "pura"), dell'autonomia del Parlamento e del prevalere dell'indirizzo politico delle due Camere, se e perché dotate di eguale potere su quello del governo, luogo di una delle variabili iniziative legislative, ma non più "dominus" delle scelte che devono tenere conto delle esigenze di controllo sociale e politico dei rapporti sociali di produzione e dell'organizzazione dei servizi pubblici essenziali.
In tale contesto, la stessa idea di ridurre il numero dei parlamentari va demistificata, perché un parlamento che "lavori" in autonomia, come è avvenuto negli anni 1948-1978, ha bisogno di un numero elevato di membri, contro la tesi "antiparlamentaristica" che ricorre al numero tondo di 400 - come già sostenuto negli anni '20 da Benito Mussolini - in nome di una concezione dispotica che nega pluralismo sociale e autonomia politica dei partiti in Parlamento.
Alla luce di ciò apparirà più chiaro come la proposta di stabilizzare i governi - benché inefficaci ed inefficienti - introducendo un'astrusa idea come quella della "sfiducia costruttiva", per cui solo se si presenti già confezionata una nuova compagine governativa se ne potrebbe porre la candidatura al governo al posto di quello in carica - sia frutto di una concezione contraria al libero dispiegarsi della dialettica sociale e politica, consolidando un muro divisorio tra le forze sociali e l'azione e l'organizzazione della politica legislativa: in linea anche con il ripristino della revocabilità dei Ministri da parte dei vertici dello stato, in una prospettiva di ritorno ai metodi propri delle monarchie vecchie, e sopravissute anche negli ordinamenti repubblicani.
Tutto ciò poi risulta più evidente se si richiama il precedente "gollista" del c.d. "semipresidenzialismo". Esso è in verità "bicefalismo" organico tra Capo dello stato e Presidente del Consiglio, oggi venuto in auge anche a causa dei profilarsi di una convergenza tra il tentativo di attaccare la forma di governo parlamentare italiano e i tentativi di abbozzare una forma di governo dei vagheggiati "Stati uniti d'Europa", subordinando definitivamente popolo europeo e parlamento europeo - già ridotto a mero organo consultivo - al primato di capi di stato, presidenti del consiglio e tecnocrazia della "Commissione europea", con le ricadute sul ruolo dei sistemi istituzionali dei vari stati/nazione cui stiamo assistendo al coperto della crisi finanziaria ed economico-sociale che li sta assillando