Io so.
Io so i nomi
dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una
serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i
nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i
nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del
1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi
fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime
stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più
recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte,
fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda
fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di
potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci
della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata
anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per
ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a
tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una
Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica
a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un
potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare
in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo
momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione
antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a
dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto
operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a
dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so
i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che
hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o
no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti
questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si
sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io
so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò
che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò
che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme
i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che
ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il
mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere.
Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non
abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone
reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri
sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la
ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il
'68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta
precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e
politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio.
Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro
all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente
i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli
indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo
forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque
compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario
coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre,
non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un
intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli
non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del
potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi -
proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed
indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e
inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del
potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del
diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale
obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza
ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale
coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio
intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in
Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da
tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile,
in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se
egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si
grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei
chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del
potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere.
In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa
stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che
in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il
Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere
istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in
un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in
un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un
Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano,
inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti,
base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il
Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed
è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col
potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti
diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono
incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È
possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico,
che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe
però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati
incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul
Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente
negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo
nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non
può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così
come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese,
l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre
potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono
non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in
questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito
all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno
a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma
soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici
dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi,
non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle
spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in
cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità
politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al
corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano
nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di
fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene
imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di
intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento
della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro
l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste
categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e
come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio
perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato
e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole
e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in
quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia,
credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia
particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la
mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo
politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma
piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi
dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa,
come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il
potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di
concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a
proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno
uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro
maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano
migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.
12 dicembre 69: strage di Piazza Fontana, l'inizio dello stragismo golpista