Il vincitore delle elezioni greche fa il giro dell'Europa, lunedì in Italia, mercoledì a Bruxelles e nelle capitali europee comincia a mettere insieme una nuova coalizione contro la linea tedesca dell'austerità e del risparmio. Tuttavia l'indignazione, nonostante i toni più concilianti, è grande: non ci sarebbe un po' più di gratitudine per cinque anni di aiuti in pacchetti?
Eppure è irrilevante quanto sia diffusa questa agitazione nel nuovo governo di sinistra in Atene: a un'osservazione più realistica qualcosa qui fa pensare che Tsipras non abbia tutti i torti. A uno sguardo retroattivo appare come se l'Europa abbia sacrificato la Grecia per salvare l'Euro. Adesso si deve discutere su una ripartizione più giusta dei costi.
Facciamo un passo indietro all'anno 2010: allora venne alla luce che il deficit di bilancio greco era evidentemente più elevato di quanto supposto in un primo momento. Una combinazione di impegni statali nascosti, caduta delle entrate fiscali a causa della crisi finanziaria globale e aumento delle spese da parte dei precedenti governi produssero un deficit di bilancio di un gigantesco 15,4 percento del PIL. Per fare un paragone: il Patto di stabilità dell'Unione Europea prevede un tetto massimo del 3%.
Il problema maggiore è l'alta disoccupazione. Nel corso dell'anno 2014 la percentuale dei senza lavoro è sì gradualmente calata, ma è ancor sempre al 25,5 percento, a un livello come in nessun altro Paese dell'Unione Europea. Specialmente colpiti ne sono i giovani greci: dai 15 ai 24 anni quasi uno su due è senza lavoro.
Oltre a questo in Grecia succede che dallo scoppio della crisi in poi le persone hanno dovuto subire enormi perdite di reddito. Secondo dati coincidenti del governo e dei sindacati i redditi dal 2009 sono calati del 30 percento. Anche le pensioni sono state tagliate massicciamente, nell'impiego pubblico sono stati eliminate le indennità di ferie e di festività natalizie.
Poiché il livello del debito era già estremamente elevato gli investitori si tirarono indietro. I tassi d'interesse schizzarono alle stelle. La Grecia era tagliata fuori dal mercato dei capitali. Il governo di Atene si rivolse ai partner europei e al FMI.
Normalmente in una situazione di questo genere per prima cosa si sarebbe dovuto analizzare se fosse plausibile che la Grecia avrebbe onorato i suoi debiti a medio e lungo termine. Se a questa domanda si fosse risposto no, innanzitutto si sarebbe dovuto effettuare una riduzione del debito. Per questo avrebbero dovuto pagare i creditori della Grecia, che da incoscienti avevano mandato i loro soldi nell'Egeo.
Questo procedimento non è una considerazione teorica da libro di testo. Piuttosto è invece il Fondo Monetario Internazionale che, dopo le débacle dei programmi di ristrutturazione avvenute in Asia e Argentina all'inizio degli anni 2000, avrebbe dovuto imporre a sé stesso questa direttiva. La logica è semplice: un Paese con debiti insostenibili rimarrà prigioniero della crisi, perché nessuno vuole investirvi.
Tuttavia nessuno arrischiò un taglio del debito greco nel 2010. Non il governo ad Atene e soprattutto gli altri governi dell'Unione Europea. A quel tempo le banche tedesche e francesi detenevano una parte rilevante del debito greco. Un fallimento di Stato della Grecia avrebbe trascinato alla bancarotta alcune delle banche maggiori dei due Paesi - già indebolite dalla crisi finanziaria. Una nuova crisi bancaria minacciava il Continente.
La
paura davanti al contagio
In particolare, i politici coinvolti nell'economia e nella finanza temevano i
pericoli d'infezione da parte degli altri Stati europei. Una bancarotta di
Stato della Grecia avrebbe subito fomentato le speculazioni sui problemi di
rimborso in Portogallo, Spagna e Italia e condotto a ingenti fughe di capitali.
A quel momento non ci sarebbe stata alcuna istituzione che avrebbe arginato questo
rischio: nessun Meccanismo europeo di stabilità (ESM), nessuna Unione
bancaria e allora anche la BCE non
sarebbe stata pronta ad acquistare in grande quantità titoli di debito statali.
Il crollo dell'euro sarebbe stato un superdisastro nucleare non soltanto per
l'economia europea, ma anche per quella mondiale.
Già allora era del tutto chiaro che un pacchetto di aiuti non avrebbe potuto risolvere i problemi della Grecia come debitrice. Già mediante una normale considerazione sull'efficacia dei programmi di risparmio o di austerità era prevedibile che la Grecia avrebbe patito una recessione brutale, che avrebbe fatto ulteriormente sprofondare le entrate tributarie e salire le spese per la disoccupazione. Documenti interni del FMI provano che in quel tempo il Fondo stesso nutriva grandi dubbi circa il ritorno della Grecia su una strada di debiti sopportabili.
Ciononostante il pacchetto venne confezionato. Affinché il FMI potesse prendervi parte furono modificate le sue norme direttrici. Improvvisamente grandi crediti potevano anche essere abbuonati, se fossero stati diagnosticati "focolai d'infezione" presso altri Paesi. E anche così le somme di denaro non sarebbero apparse troppo gigantesche e con il programma sarebbe stata raggiunta, per lo meno sulla carta, una sostenibilità del debito; così la Troika, da poco costituita, impose violenti tagli al bilancio statale greco. La Commissione europea, la BCE e il FMI stabilirono presupposti totalmente irrealistici come fondamento per il recupero dell'economia greca. Verso l'esterno la Commissione europea e alcuni dei capi di governo e di Stato sostennero la tesi del "consolidamento orientato alla crescita". Una politica di austerità il più possibile brutale avrebbe dovuto portare la Grecia a una ripresa dell'economia.
Eppure tutto il tentativo non servì: l'economia greca si avvitò in una recessione sempre più profonda. Pacchetti di aiuti [finanziari] non furono in grado di equilibrare i costi sempre maggiori della disoccupazione e del crollo delle entrate fiscali. Il livello del debito si arrampicò ancora più in alto.
Scossi dal propagarsi della crisi al Portogallo e all'Irlanda, i partner europei sfruttarono il tempo migliorando le istituzioni dell'Unione monetaria. Dapprima si mise in piedi la Protezione finanziaria provvisoria, poi fu creato il Meccanismo Europeo per la Stabilità, per mettere a disposizione dei Paesi, in caso di crisi, centinaia di miliardi di euro. Prese vita l'Unione bancaria. E dicendo che la BCE avrebbe "fatto tutto il necessario" per salvare l'euro, nell'estate del 2012 il Presidente dell'Istituto di emissione Mario Draghi pose termine alla crisi di fiducia nell'eurozona.
In Grecia il denaro degli aiuti fu riservato in primo luogo al rimborso dei vecchi debiti. Inoltre la BCE acquistò titoli del Prestito di Stato greco. Quando alla fine del 2011 non si contestava più che la Grecia avrebbe avuto bisogno di una riduzione del suo debito, le banche francesi e tedesche si erano da tempo liberate di gran parte dei titoli greci. Poiché i partner non volevano rinunciare alle loro pretese verso la Grecia, non restavano più molti soldi per un taglio del debito. Con la riduzione del debito nei confronti dei creditori privati nel 2012 il livello d'indebitamento del Paese calò anche se di poco, ma si dovettero nuovamente fare previsioni enormemente ottimistiche su come il Paese avrebbe potuto ridurre il suo carico debitorio.
Uno sforzo di risparmi senza paralleli storici
Si continuò ad aspettarsi un recupero dell'economia greca. Come dimostrano i documenti del FMI, per questo non si può per nulla rendere responsabile una fiacca volontà riformatrice dei Greci. Anche se i media tedeschi se ne dimenticano volentieri: una gran parte delle dettagliate richieste di riforme fu modificata. Il settore pubblico della Grecia spende oggi il 30 percento meno di quanto spendeva prima della crisi - uno sforzo di austerità senza precedenti storici.
Alla luce degli attuali dati economici è difficile rifiutare l'argomentazione di Tsipras che per il Paese la politica del salvataggio è stata una catastrofe. Non soltanto il rendimento dell'economia [PIL] si è contratto per più di un quarto e povertà e disoccupazione sono saliti a livelli record, ma anche l'ammontare del debito è rimasto ancora tanto alto che da molte parti si dubita che la Grecia possa sostenere un tale peso. E finché un tale dubbio rimarrà, si tireranno indietro anche gli investitori, dei quali c'è bisogno per il risanamento dell'economia.
Naturalmente, la colpa di tutto questo non deve essere attribuita soltanto alla Germania. Le decisioni sulla crisi dell'euro sono state prese dai capi di Stato e di governo europei tutti insieme. Si potrebbe perfino argomentare che per l'Europa presa nel suo insieme la politica verso la Grecia era corretta. Infatti tutto questo ha dato il tempo necessario per rendere più stabile l'eurozona ed evitare la fusione nucleare della moneta comune europea. E poi, naturalmente, l'economia greca ha seri problemi strutturali che non sono stati risolti.
I pesi devono essere ripartiti con maggiore giustizia
E adesso, dopo cinque anni di euro-crisi, si deve constatare che la Grecia, nonostante gravosissimi sforzi, è messa evidentemente peggio di prima. Un risanamento vero e proprio dell'economia è ancora lontano, anche perché, causa non ultima, la situazione debitoria spaventa sempre più gli investitori. Secondo le disposizioni attuali dei trattati la Grecia deve restituire tutti i crediti ricevuti come soccorso, anche se i soldi per questa operazione sono stati impiegati per estinguere i debiti delle banche tedesche e francesi.
Al'opposto l'euro si è stabilizzato. In questo anno la maggior parte dei Paesi di Eurolandia si sono ristabiliti. Con il salvataggio dell'eurozona la Germania ha stabilizzato il suo mercato più grande e può rallegrarsi per la situazione del suo mercato del lavoro, la migliore da una generazione a oggi. Nonostante i grandi crediti per aiuto i pagamenti ad Atene sono sempre e soltanto crediti. Finora non c'è stato alcun trasferimento di soldi da Berlino alla Grecia.
Alla luce di questo bilancio ci si dovrebbe già domandare se la ripartizione dei carichi derivanti dalla crisi è giusta. E a un'osservazione pacata anche una nuova Conferenza sui debiti pare essere opportuna: altrimenti come potrebbe essere negoziato un equilibrio più equo per il salvataggio dell'eurozona?