Non che la Cassazione condanni Berlusconi: essa dirà che il suo processo è stato regolare, che i suoi giudici sono stati fedeli al diritto. Non ci sarebbe nulla di strano e sconvolgente: è quello che la Cassazione fa in una miriade di altri casi, e l'argomento che questa volta il reo può vantare otto milioni di voti (che del resto non sono suoi ma della destra), non è un argomento migliore di quello per cui Mussolini poteva contare su otto milioni di baionette per vincere la sua personale guerra contro le grandi democrazie.
Se l'Italia è ancora un Paese normale, se la magistratura non è politicizzata, se la Cassazione non è più quel "porto delle nebbie" che fu durante il regime democristiano e se la legge è uguale per tutti, il 30 luglio la Suprema Corte confermerà il verdetto pronunciato nei primi due gradi di giudizio contro Berlusconi
Dunque se questa ipotesi si avvera, con la
sentenza della Cassazione passerà in
giudicato il fatto che quel capo politico che aveva promesso di non mettere le
mani in tasca agli italiani, ha loro sottratto milioni di euro di tasse
trafugate, e quel che è peggio -sul piano non giudiziario ma politico - dopo
vent'anni della sua cura li lascia non solo spogliati e impoveriti, e con un
debito pubblico giunto a 2074 miliardi, ma anche frastornati e incapaci di
reagire.
Sarebbe, questa, la fine politica di Berlusconi,
causata non dalla magistratura (che non crea i fatti, ma li rivela e ne
"dice" il diritto, onde il nome di "giurisdizione"), ma
causata da lui stesso, dalla sua sconfitta politica finalmente non graziata da
mani amiche e non scongiurata da una profusione di denaro privato e pubblico,
speso in corruzione di giudici, di
senatori, di personale politico e di cittadini elettori cui è stata più volte
promessa la Caporetto del fisco in cambio dei voti (e il governo è ancora fermo
lì, impiccato a un'IMU che non può né "restituire " né
"superare").
È chiaro che questa fine politica di Berlusconi
ci sarà fatta pagare, con scenate e pantomime di cui la recente vita politica
italiana non è avara.
Ma sarà bene non indugiarvi troppo e passare
subito all'opera più necessaria dopo il disastro: la ricostruzione. Non c'è da
illudersi che sia facile, né si può pensare
che basti mettere mano al restauro della facciata della politica.
Occorre ripartire dalle fondamenta, perché i guasti sono stati profondi.
Istituzioni, partiti, fisco, culture, linguaggi, modelli etici, obblighi di
verità, abitudini di rispetto reciproco e di convivenza, tutto è stato travolto
da un imbarbarimento della lotta politica venduto come bipolarismo,
dall'innalzamento del potere a unico altare, dalla divisione della società tra
privilegiati ed esuberi, dalla globalizzazione della diseguaglianza prima
ancora che dell'indifferenza.
Si teme che il governo Letta non possa
sopravvivere alla crisi; in realtà il suo venir meno sarebbe il primo passo
della ricostruzione, che non può non partire dal ripudio di alleanze incestuose
e dall'interruzione di quella congiura contro l'ordinamento costituzionale che
ha già ottenuto il primo voto al Senato nel silenzio del Paese.
Ripartire dai fondamenti vuol dire prendere in
mano un foglio una matita e un libro, come
Malala Yousafzai, la giovanissima pakistana ferita dai Talebani perché
andava a scuola, ha avuto il coraggio di dire rivendicando nella sede dell'ONU
il diritto universale all'alfabetizzazione. Per noi ripartire da matita e libro
vuol dire prendere in mano la Costituzione, perché è questa l'alfabetizzazione
che ci manca. C'è anzi un analfabetismo di ritorno, perché nei giovani anni
della nostra Repubblica la Costituzione è stata il sogno di una cosa, e insieme
la grammatica per la realizzazione di quel sogno e di quella cosa. Perciò essa
è stata odiata e combattuta dalla Trilaterale, dalla P 2, dalle agenzie di
rating ed è oggi tenuta in forte sospetto dai poteri che coniano l'Euro, dalla
Morgan e dai partiti, di ogni tradizione, divenuti funzionari della Ragione
economica e della dittatura del tabulato. E a neutralizzare le nostre difese,
ci sono piombati addosso i corsi di analfabetismo fondati sull'orrore per le
"ideologie", ossia per le idee, sul rifiuto delle dottrine politiche,
e ci sono state imposte le scuole serali delle TV (non solo quelle commerciali)
con la falsa par condicio e i talk show e le tavole rotonde dove tutti hanno
ragione e tutti hanno torto, ma il vero persuasore e
"dominus"ideologico è il conduttore e l'editore che gli sta dietro.
Ripartire dal libro e dalla matita vuol dire
ripartire dalla Costituzione e dai diritti, dal religioso rispetto per
l'avversario, dal culto della politica esercitata "con disciplina ed
onore", dalla conversione della mentalità e della cultura della polizia,
il settore pubblico più esposto alla contaminazione del fascismo, dalla
interdizione della tortura, delle espulsioni, dei respingimenti e
dell'ergastolo, e da una restituzione a tutti del diritto e della gioia di
guadagnarsi il pane col lavoro e di non pagare il prezzo della moneta scarsa,
che per decisione politica dei grandi poteri sottrae ai cittadini la giusta
partecipazione alla ricchezza della nazione.