Dell’enciclica Laudato sì colpisce l’ampiezza dei temi affrontati e la competenza con cui vengono trattati, che fanno di papa Francesco un gigante del pensiero al cui confronto i politici che reggono le sorti dell’Europa non sono che nani.
L’altezza di questo pensiero non viene intaccato, ma anzi esaltato, dal fatto che non disdegna i particolari più minuti e umili, cosa che nessun altro capo di Stato ha mai fatto: «L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via». In sostanza questa enciclica fa discendere la norma che deve regolare i rapporti degli esseri umani tra di loro, con l’ambiente e il vivente dall’ordine che vige negli ecosistemi e dalle modalità, al tempo stesso dinamiche e resilienti, con cui si riproducono. Dunque, regole e finalità non ricavabili dalla Storia umana, dalla sua dialettica o da sue ipotetiche tendenze come il progresso o la crescita, né da presunte leggi del mercato, ipostatizzate in una sorta di seconda natura; bensì da una sorta di eterno ritorno, che è il ciclo attraverso cui il vivente si riproduce, garantendo e perfezionando vita e relazioni di ogni sua componente nell’alternarsi delle generazioni: una visione della natura che va trasposta nel processo produttivo, che deve assumerla a modello con la chiusura dei suoi cicli, contrapponendosi a quella concezione lineare che caratterizza l’economia estrattiva in cui siamo immersi.
Per Francesco questa modalità ciclica che presiede alla riproduzione della vita è espressione diretta di Dio. E Cristo, il Dio incarnato, è la manifestazione di questa coincidenza tra la legge divina e la circolarità attraverso cui la vita si perpetua negli ecosistemi. La vita tutta, compresa quella degli esseri infimi: «i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microrganismi… Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore e in quei pochi secondi di esistenza Egli lo circonda con il suo affetto». Non c’è eskaton in questo approccio: non c’è finalità diversa dalla difesa e dalla promozione della dignità di ogni persona e di ogni essere vivente.
Perciò, forse, questa requisitoria contro i caratteri dominanti della nostra epoca non comincia con quella messa sotto accusa della finanza su cui si è appuntata l’attenzione di chi fa una lettura immediatamente politica dell’enciclica («Il salvataggio a ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro»). Comincia invece dalla denuncia dei problemi creati dall’inquinamento e dalla produzione «di centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti»: problemi di cui tutti portiamo la responsabilità e che «sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura».
Discende da questo impianto l’integrazione stretta tra ambiente e società, piegata come mai prima d’ora alla difesa dei poveri, degli ultimi, degli sfruttati, degli esclusi: «C’è una relazione intima tra i poveri e la fragilità del pianeta». Una integrazione che accompagna tutta l’enciclica e in cui alcuni dei suoi commentatori, come Raniero La Valle, hanno visto la maggiore novità di questa svolta papale. Ma che ha invece una sua storia nell’elaborazione di concetti di giustizia sociale e ambientale o di conversione ecologica, che sono approcci al reale messi a punto in ambiti laici, coltivati e a volte sperimentati al di fuori della cultura cristiana, anche se con la partecipazione di alcune delle sue componenti.
Tuttavia l’enciclica cerca, a volte forzando la verità storica, continui appigli dottrinali di matrice testamentaria o evangelica, per rovesciare la ricezione tradizionale del messaggio biblico e cristiano: quella che affida il dominio incontrastato sulla Terra e su tutto il vivente all’«essere umano». Essere umano, e non uomo: un termine, questo, che l’enciclica non usa mai per non attribuire al genere maschile la rappresentanza di tutta la specie, anche se questa accortezza non le impedisce poi di pronunciarsi con ostinazione contro la cosiddetta «teoria del genere», così come fa contro l’aborto (ma non, va notato, contro la libertà di decidere della propria morte). Sono però questi i temi cui si appigliano il cattolicesimo e il protestantesimo più retrivo per continuare a fare della religione un puntello della conservazione; e non c’è da dubitare che l’adunata in Piazza San Giovanni «per la vita» e «in difesa dalla famiglia» — contestuale a quella in sostegno del popolo greco e dei profughi, cioè di chi è già o è ancora vivo e vuole continuare a vivere — veda in essi soprattutto delle leve per contestare la svolta che papa Francesco cerca di imporre alla dottrina cristiana con questo nuovo posizionamento della chiesa nel mondo.
Ma più che recriminare su quanto c’è di autoritario e disumano negli accenni dell’enciclica a questi temi — sui quali è opportuno che la battaglia per l’auto-determinazione continui più forte che mai — vale la pena soffermarsi sulla vittoria dell’ambientalismo sociale che questa enciclica sancisce: la vittoria di una cultura nata e sviluppatasi certo anche in alcuni laboratori scientifici, ma soprattutto attraverso la riflessione e l’impegno di migliaia e migliaia di comitati, associazioni, mobilitazioni e la partecipazione di milioni di militanti di tutte le età, di tutti i continenti, di tutti i generi e di molte e diverse collocazioni sociali da cui anche Francesco riconosce di aver molto imparato.
Se a guidare il papa è stata anche l’ispirazione divina, il
risultato è comunque di mettere la salvaguardia dell’ambiente e la
ricerca di un rapporto positivo, di reciproco arricchimento, tra
l’essere umano e la natura al centro di ogni approccio ai problemi
della giustizia sociale. E viceversa. E questo è forse il segno
premonitore di un radicale cambio di paradigma che sta investendo
sotto i nostri occhi tutta la cultura di cui ci nutriamo.
Naturalmente, viste le premesse, è impossibile passare in
rassegna tutti i temi trattati in questa enciclica. Ma bastano
pochi cenni. Francesco ribadisce l’urgenza di «cambiare modello di
sviluppo globale» senza cercare «vie di mezzo», che sono solo «un
piccolo ritardo nel disastro».
«In ogni discussione riguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande: Per quale scopo?, Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? A quale costo? Chi paga le spese e come lo farà?». Sono domande che configurano l’essenza stessa della conversione ecologica. Per questo chiede di rallentare la crescita (propone una moratoria sul ritmo delle innovazioni, rispettando il principio di precauzione) e di promuovere la decrescita di molti dei beni e dei processi oggi in auge. Contesta il principio della massimizzazione del profitto, «una distorsione concettuale dell’economia». Invita a riformare l’educazione, indirizzandola alla creazione di una «cittadinanza ecologica» e sottolinea l’importanza delle azioni a livello locale, soprattutto attraverso la costituzione di reti che aiutano a superare l’isolamento dell’individuo. E molte altre cose che già sono, ma saranno assai di più da ora in poi, oggetto di pubblica discussione.
Da oggi le comunità cristiane di base hanno un riferimento potente per legittimare le proprie battaglie, sia dentro che e fuori della chiesa ufficiale; e chi fa del conformismo ai dettami della chiesa un instrumentum regni – usando la lotta contro aborto, libertà di morire e libera scelta del proprio genere come cavallo di battaglia — avrà molte più difficoltà a motivare il proprio sostegno o la propria indifferenza per tutto ciò che offende o ferisce l’ambiente, la «Madre Terra». Ma la voce del papa, a differenza della nostra, va in tutto il mondo. E da oggi molti dei temi per cui ci siamo battuti potranno raggiungere — anche alla lettera — milioni e forse miliardi di persone a cui non saremmo mai stati in grado di rivolgerci. E di questo, soprattutto se adeguatamente incalzati, i potenti della Terra dovranno tener conto. Fin qui il papa. Il resto tocca a noi.