1. Si conclude oggi (ed io sono felice di concluderla qui con voi a Catania) la campagna elettorale più lunga e drammatica della nostra storia recente. Non l’abbiamo drammatizzata noi, l’hanno drammatizzata i nostri avversari ponendo il tema della sostituzione della Costituzione del 48 con la nuova Costituzione Renzi/Boschi come un’emergenza istituzionale, un passaggio ineludibile senza il quale il nostro paese sarebbe andato incontro ad una catastrofe simile alle dieci piaghe d’Egitto del racconto biblico.
La drammatizzazione è iniziata già nel percorso parlamentare, quando la riforma è stata imposta ad un parlamento recalcitrante con inaccettabili forme di pressione volte a condizionare la libera espressione della volontà del Parlamento; a cominciare dalla rimozione di due senatori dalla Commissione affari costituzionali del Senato, per finire al ricorso a procedure fraudolente come il c.d. “canguro” o “super canguro” con il quale si sono precluse al Senato una serie di votazioni che avrebbero richiesto il voto segreto, condite da continui richiami alla disciplina di partito e minacce di mandare tutti a casa.
Quindi la Costituzione è diventata una materia di indirizzo politico/governativo, anzi la sua sostituzione è diventata l’obiettivo politico primario di questo governo, la sua stessa ragione d’essere, una vera e propria ossessione.
In questo modo si è verificato un rovesciamento della concezione stessa della Costituzione.
La Costituzione italiana fu scritta ad iniziativa e ad impulso esclusivamente del Parlamento, senza che il Governo potesse mettervi becco. Quando l’Assemblea Costituente nel 1946/47 discuteva del progetto della Costituzione i banchi del Governo rimanevano vuoti. Tutto il contrario di quello che è successo quest’anno con l’approvazione della riforma. Quando Renzi si è presentato in Parlamento l’11 aprile scorso per concludere la discussione finale sulla sua nuova Costituzione, i banchi del Parlamento erano vuoti poiché tutta l’opposizione si era ritirata sull’Aventino, mentre il banco del Governo era strapieno. Questo dovrebbe far riflettere sulla totale delegittimazione politica del percorso che ha portato una maggioranza risicata, frutto di un Parlamento eletto con una legge maggioritaria dichiarata incostituzionale, ad approvare sotto dettatura dell’esecutivo la più pesante riforma della Costituzione della storia repubblicana
In pratica è stata attuato l’insegnamento di Gianfranco Miglio che aveva questa visione: chi vince le elezioni cambia la Costituzione, e poi si tratta di mantenere l’ordine pubblico nelle piazze.
Invece noi siamo convinti - e vogliamo qui ribadire questa convinzione - che la Costituzione è un bene comune: non può essere appannaggio di un governo o del vincitore di turno di una competizione elettorale .
La sua riforma dovrebbe fiorire da un dibattito collettivo, aperto e condiviso perché in essa sono scolpite le basi della convivenza civile. Le Costituzioni si modificano – se la contingenza storica lo richiede - con assemblee costituenti, in ogni caso con Parlamentari eletti con sistemi proporzionali a seguito della più ampia condivisione tra le forze politiche. Le Costituzioni sono fatte per unire un popolo, per questo non possono essere imposte da una minoranza faziosa ed arrogante.
La Costituzione italiana ha unito il popolo italiano costituendolo in comunità politica che si riconosce in un destino comune.
Quel destino che i padri costituenti vollero garantire alle generazioni future, ancorandolo ad una serie di beni pubblici repubblicani, quali: l’eguaglianza, la pace, il pluralismo, l’istruzione, la solidarietà sociale, la salubrità dell’ambiente, la dignità del lavoro, che sono tutt’ora di straordinaria attualità anche se da molti anni languono nei palazzi della politica, quando non sono apertamente ripudiati.
Il popolo italiano è rimasto unito anche quando si sono verificate drammatiche rotture storiche, come la guerra fredda, proprio grazie alla Costituzione. E’ la Costituzione che ha impedito che la guerra fredda ci trascinasse nella tragedia della guerra civile, com’è avvenuto in altri Paesi. E’ la Costituzione che, attraverso l’indipendenza della magistratura, ci ha salvato da sbocchi autoritari ed ha tenuto unito il popolo italiano nelle drammatiche contingenze della strategia della tensione e del terrorismo. Adesso che, per le vicende della globalizzazione e delle crisi politiche del dopo 89, si sono sfaldate le grandi organizzazioni di coesione sociale, come i sindacati, i partiti e le associazioni di massa, nella società liquida in cui l’individualismo trionfa perchè imposto dal mercato, la Costituzione è l’unico baluardo che mantiene l’unità del popolo italiano, che ci consente di essere ancora un comunità politica unita da un destino comune in cui tutti possiamo riconoscerci.
2. Da domani, se la nuova Costituzione di Renzi e Boschi sarà confermata dal referendum, le istituzioni non saranno più la casa comune del popolo italiano.
Certo non possiamo non vedere i malanni della nostra democrazia che vengono da lontano e si sono aggravati negli ultimi anni. Le istituzioni democratiche non godono di buona salute perché i partiti politici non sono più organizzazioni della società civile come li avevano concepiti i costituenti ma si sono trasformati in strutture di potere oligarchico; perchè le leggi elettorali hanno prosciugato i canali di collegamento fra il Parlamento e la società, fra la società civile e la società politica, che si è resa autonoma dal popolo sovrano ed è diventata autoreferenziale, manomettendo i meccanismi della rappresentanza politica. Viviamo in una crisi profonda testimoniata, a tacer d’altro, dalla totale perdita di fiducia degli italiani nei partiti politici (3%) e nel Parlamento (8%). Solo che per curare la malattia ci viene proposto di uccidere il malato. La cura proposta con questa riforma è peggiore del male. Niente chiacchere, niente dibattiti, nessuna mediazione politica. Per legge (italicum) un solo partito deve comandare, controllando la maggioranza della Camera politica ed il Governo, non importa se espressione di una minoranza di elettori. Quest’unico partito che non è un intellettuale collettivo ma una struttura di potere controllata da una o pochissime persone (il capo politico ed il suo cerchio magico), deve governare senza contrappesi e senza dialogare con nessuno. Il Parlamento non sarà più un luogo di raccordo di mediazione e di sintesi del pluralismo sociale. Questo comporterà la rottura dell’unità del popolo italiano perché le formazioni sociali nelle quali si articola il pluralismo del popolo italiano non avranno più un luogo istituzionale nel quale le domande ed i bisogni collettivi possano essere filtrati e composti. E’ vero che ci saranno ancora le elezioni politiche, ma non serviranno per consentire ai cittadini di concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale, come pretende l’art. 49 della Costituzione, bensì saranno lo strumento in base al quale singoli individui otterranno il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare, ed è irrilevante che siano prescelti da una minoranza di elettori.
Quello che si sta realizzando è un caso veramente straordinario, la sostituzione di una Costituzione, espressione della sovranità popolare al più alto livello in un momento decisivo della storia patria, con una Costituzione imposta da una minoranza per consolidare e stabilizzare un potere di minoranza, cioè un sistema di oligarchia.
Abbiamo già sperimentato nel secolo scorso un sistema politico che i costituzionalisti dell’epoca definirono come “Governo del Primo Ministro”, in cui il Governo era affidato ad un partito unico che – per legge – aveva il controllo del Parlamento. Sappiamo tutti com’è andata a finire.
3. Domenica prossima 40 milioni di potenziali elettori si confronteranno con una scheda elettorale nella quale troveranno questo quesito: approvate il testo della legge costituzionale concernente "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione"?
Si tratta di un quesito ingannevole, parziale e fuorviante, così come ingannevole è stata la martellante campagna elettorale per il Si.
Dopo la vittoria di Trump in America molti commentatori si sono sbracciati a denunciare una politica eversiva che ricorre agli argomenti più beceri e banali del populismo per rovesciare l’establishment, cioè quei Governi che poggiano su assetti di potere e tradizioni politiche consolidate. In Italia succede il contrario, non c’è un populismo che rovescia il Governo, è il Governo che ricorre agli argomenti più beceri del populismo per rovesciare un assetto costituzionale frutto di una saggezza maturata attraverso una dolorosa esperienza storica.
Nelle riforma sono state disseminate una serie di trappole per catturare il consenso di un’opinione pubblica sempre più spoliticizzata e disgustata dal teatrino di una politica in cui i cittadini non contano. Così si annuncia con toni trionfali che sono state diminuite le poltrone con la decimazione del corpo dei Senatori, ma si sorvola sul fatto che è stato sottratto ai cittadini italiani il diritto di eleggere i Senatori e conferito nelle mani della casta/ceto politico regionale. Ci si gloria di aver eliminato l’indennità spettante ai Senatori, e di avere astrattamente ridotto quella spettante ai Consiglieri Regionali, ma si tace sul fatto che i costi della politica sono regolati al 100% da leggi ordinarie alle quali ci si guarda bene dal mettere mano, per non parlare degli sprechi del potere esecutivo. Tutte le disposizioni sul presunto contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni sono dei meri orpelli che niente hanno a che vedere con il vero significato della riforma: sono come quegli aromi artificiali (come per es. il gusto di fragola) che le case farmaceutiche mettono negli sciroppi per renderli più trangugiabili. Servono a rendere “vendibile” la riforma al popolo italiano e quindi ad ingannare gli elettori spingendoli ad acquistare un prodotto le cui caratteristiche sono rigorosamente occultate.
Il nostro compito, invece, è quello di disvelare il disegno complessivo che viene perseguito con la riforma, cioè – per dirla con parole di Raniero La Valle – “il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia dell’investitura, dalla democrazia fondata sul Parlamento alla democrazia fondata sul governo, dal rapporto di fiducia per cui il Parlamento è artefice e giudice del governo, al rapporto di potere per cui il governo è padre e padrone del Parlamento, dal popolo che ogni giorno concorre in diversi modi a determinare la politica nazionale, al popolo che una sola volta ogni cinque anni attribuisce il potere a qualcuno e gli altri giorni è solo spettatore manipolato dai sondaggi. Il risultato è l’annichilimento della politica, per cui si crea un’onnipotenza del potere nell’impotenza della politica e nella subordinazione di ambedue – potere e politica – al dominio incontrastato delle potenze finanziarie e dei mercati”.
Questa riforma segna una svolta nella storia del nostro paese: comporta, dopo una lunga crisi di regresso, l’arresto del ciclo della democrazia costituzionale inaugurato nel ‘900 ed il ritorno a statuti di tipo autoritario, a poteri economici non vincolati da Stati di diritto, a mercati non più turbati da Parlamenti che siano espressione insuperabile della volontà popolare.
4. E tuttavia, quando è stata calata l’ombra della riforma, è scattato un campanello d’allarme che ha percorso tutta la penisola richiamando alla politica migliaia di italiani che delusi dai partiti ed esclusi da ogni dinamica di partecipazione reale, avevano perduto la fiducia di poter incidere sulle scelte politiche che riguardano la nostra vita come comunità politica organizzata in Stato democratico.
Fatte le dovute proporzioni, noi ci troviamo in una situazione che ricorda - ovviamente in modo molto meno drammatico - la condizione dell'Italia dopo l'8 settembre 1943.
Quando tutto era perduto, l'esercito regio si era squagliato, il nostro paese era funestato dalla guerra che entrava in ogni casa, invaso dalle truppe di occupazione tedesche e le classi dirigenti erano crollate sotto il peso delle loro infamie, allora si verificò il miracolo della resistenza.
Si verificò quella chiamata misteriosa - di cui ci parla Piero Calamandrei - che raggiunse persone che non si conoscevano fra di loro, che professavano diverse fedi, che appartenevano a diversi ceti sociali ed avevano diversi orientamenti politici, ma ad un certo punto si adunarono insieme, convocati dalla stessa voce che parlava a ciascuno di essi.
"Nessuno aveva ordinato l'adunata, questi uomini accorsero da tutte le parti e si cercarono e adunarono da sé. (.) Questa chiamata fu anonima, non venne dal di fuori: era la chiamata di una voce diffusa come l'aria che si respira, che si svegliava da sé in ogni cuore, che comandava dentro. (.) Le fedi erano diverse, erano diversi i partiti: ma c'era una voce comune che parlava per tutti nello stesso modo: e la sentirono anche gli uomini che fino a quel momento non avevano appartenuto ad alcun partito, ad alcuna chiesa. (.) Qualcuno ha parlato di "anima collettiva", qualcuno ha parlato di "provvidenza", forse bisognerebbe parlare di Dio, di questo Dio ignoto che è dentro ciascuno di noi e parla contemporaneamente in tutte le lingue."
In un diverso contesto storico si è verificata una chiamata simile. Dopo il grido d’allarme lanciato dalla cultura giuridica democratica con la presentazione del Comitato del No l’11 gennaio scorso, sono sorti, dapprima decine e poi centinaia di comitati in tutt’Italia ed all’estero, decisi a battersi per evitare la cancellazione definitiva del progetto di democrazia costituzionale che i costituenti avevano consegnato al popolo italiano.
Per questo, ci siamo riuniti in questa piazza ed in questo teatro, ci siamo cercati ed adunati, giovani ed anziani, uomini e donne, lavoratori e disoccupati, studenti e pensionati. Nessun partito ci ha convocato ma tutti siamo accorsi perché abbiamo sentito la stessa voce che parlava alla coscienza di ciascuno di noi e ci chiamava all'azione, ad un impegno supremo per arrestare il declino e ristabilire le condizioni di dignità, onore, cultura e libertà nel nostro Paese. Migliaia di cittadini italiani si sono messi in movimento spontaneamente ed hanno battuto tutte le piazze, percorso tutte le strade, prodotto e distribuito volantini e manifesti, organizzato eventi di vario genere, prodotto testimonianza video, cortometraggi, percorso le piazze virtuali creando comunicazione dal basso, in modo così diffuso da raggiungere e superare lo share dei grandi mezzi di comunicazione di massa, orientati in modo quasi totalitario a favore della riforma. Un esercito di formiche si è messo in moto, ciascuno recando un chicco di grano, tutti insieme per sfornare il pane della democrazia.
5. La scelta che ci apprestiamo a compiere con il referendum ha un’importanza fondamentale nella storia del nostro Paese. Si tratta di una scelta altrettanto impegnativa quanto lo fu la scelta compiuta dal popolo italiano il 2 giugno del 1946 con il referendum istituzionale: Repubblica o Monarchia?
Ora come allora si tratta di decidere quale modello di istituzioni, quale modello di democrazia deve assumere il nostro Paese. Nel 1946 dire addio alla Monarchia per la Repubblica acquistava – al di là delle contingenze politiche – un significato storico ben preciso: i cittadini italiani si emancipavano dalla qualità di sudditi ed il popolo diventava esso stesso “sovrano”, arbitro del proprio destino. E’ questo il principio che la Costituzione della Repubblica italiana affermerà solennemente, nell’art. 1:“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
E’ proprio questo il principio compromesso dalla riforma. Dopo settant’anni, si prospetta l’avvento di un nuovo sovrano: il principio della sovranità popolare è insidiato da poteri sovranazionali e la nuova costituzione è stata scritta sotto dettatura. Basti richiamare un documento (18 settembre 2015) dell’Agenzia di rating Moody’s, che ha dichiarato che “il Senato è dannoso per la credibilità delle nostre istituzioni sui mercati finanziari”, mentre l’optimum sarebbe una sola Camera dove "il premio di maggioranza possa assicurare l’efficiente esecuzione della volontà governativa”. E’ il mercato, che sottopone a “tutela” e ridimensiona la sovranità popolare, guidando le scelte delle nazioni. Il 2 giugno del 1946 deve insegnarci a dire no e a rifiutare l’avvento di nuovi sovrani.
6. E allora solo su una cosa possiamo essere d’accordo con i sostenitori del SI: qui ci giochiamo il futuro, ma per motivi opposti a quel che ci vogliono far credere.
Non è vero che il No è conservatore ed il Si introduce il cambiamento e ci proietta nel futuro. In realtà è vero il contrario. Il SI interviene su istituzioni già affette da gravi patologie in un quadro di emarginazione dei diritti di partecipazione dei cittadini e rende questo quadro invulnerabile consolidandolo col cemento della riforma costituzionale. La riforma compie un’operazione che – con una metafora – si può paragonare a quanto è successo a Chernobil. Qui per rimediare al disastro è stato costruito un sarcofago di cemento che ha seppellito il reattore nucleare conservandolo in quello stato per l’eternità. La riforma agisce come un sarcofago di cemento, cristallizzando i mali della nostra democrazia e conservandoli nel tempo futuro.
Il No, al contrario, non mantiene lo status quo ma crea le condizioni perché si possa cambiare: intanto perché votando no si cancella anche l’Italicum, la legge preconfezionata per le nuove istituzioni introdotte dalla riforma, e poi perché caduta la riforma, caduto l’italicum, si creano le condizioni per riaprire i giochi della politica e per favorire riforme che restaurino l’agibilità politica delle istituzioni rappresentative.
7. In conclusione, sono sempre valide le considerazioni di Raniero La Valle in occasione della riforma Berlusconi del 2005: “Cadute le linee di difesa del patto costituzionale, venuti meno i pastori posti a presidio dei cittadini, il popolo rimane ora l’ultimo depositario della legittimità costituzionale e l’ultima risorsa, l’ultima istanza in grado di salvare la democrazia rappresentativa nel nostro paese. Esso non dovrà semplicemente “difendere” la Costituzione del 48, ma dovrà instaurarla di nuovo. Non dovrà solo sottrarla all’oscuramento cui oggi è condannata, ma riscoprirla ed illuminarla come mai ha fatto finora.”
Viva la Repubblica, viva la Costituzione