Se la sinistra nel nostro paese è pronta a battersi, scomunicarsi e frazionarsi fino all’ultimo dei suoi atomi su tutte le condizioni, interne e esterne, che la portano a istituirsi, da molti anni è considerata indiscutibile da molti opinion leader l’arena in cui ci si gioca l’assetto produttivo e industriale del paese.
È come se la direzione in cui ci sta portando l’Europa – schiacciamento sull’export senza alcuna attenzione per la densità produttiva, manifatturiera e industriale, del paese, figuriamoci per l’occupazione o per l’ambiente – sia non negoziabile o trascurabile.
Questo silenzio urla quando, come in questi giorni, come campagna Stop Ttip Italia, insieme a un’ampia coalizione che va da Coldiretti a Cgil, dall’Arci a Acli terra, da Greenpeace a Legambiente alle principali associazioni dei consumatori, ci stiamo battendo con un Libro bianco comune e a colpi di dossier con cifre e fatti, contro la ratifica affrettata da parte del Parlamento italiano del trattato Ceta di liberalizzazione degli scambi tra Europa e Canada.
E ieri la commissione Affari esteri del Senato, mentre noi eravamo in piazza del Pantheon a chiedere ai senatori di fermare la ratifica del trattato e riaprire in Europa una discussione più intelligente sulla struttura e la funzione del commercio al servizio delle comunità, dei diritti e dell’ambiente, una maggioranza Pd-Forza Italia-Ap-Autonomie batte Si, M5s e Lega, con Mdp assente e ufficialmente silente, stava consegnando il trattato all’Aula. Poco importa se il 5 luglio un ancor più ampio cartello di realtà associative, produttive e sindacali manifesterà di nuovo e con più forza a Montecitorio, perché ritiene questo gesto irresponsabile.
Se a Bari c’è ferma una nave cargo con tonnellate di grano canadese con problemi sanitari gravi, ultimo caso su decine di altri. Se questo grano cattivo deprime il prezzo nazionale e mette in ginocchio centinaia di aziende a Sud. Se in Canada siano perfettamente legali 99 principi attivi, tra i quali glifosate e paraquat, che l’Italia ha messo fuorilegge vent’anni fa dopo morti bianche di braccianti. Poco importa che la Tuft University statunitense abbia valutato che oltre 30mila posti di lavoro siano a rischio con l’entrata in vigore del Ceta, e ci sia un evidente problema di dumping salariale in molti settori manifatturieri e industriali.
Non si discute che i presunti benefici per pochi settori produttivi –
grandi gruppi agroalimentari, la moda che di italiano ci mette solo il
marchio, l’energia – li pagheremo con un indebolimento dei nostri
principi costituzionali. Anzi: c’è chi rivendica di essere liberista
nell’economia e «socialista» nel sociale, come se questo fosse in
concreto possibile, e se le disuguaglianze irreparabili nel nostro paese
non dipendano anche dall’allegria con cui si sono aperti a una
competizione irrealistica interi settori, aumentando il numero di
aziende che chiudono, il deficit commerciale, oltre che la
conflittualità sociale e la disoccupazione.
106 parlamentari francesi socialisti, di sinistra e verdi, hanno
presentato un ricorso alla Corte costituzionale denunciando che il Ceta
colpisce i pilastri della loro democrazia primo tra i quali le
«Condizioni di base di esercizio della sovranità nazionale», visto che i
governi dei Paesi membri non sono solo impegnati a limitare la portata
della propria libertà legislativa così da facilitare l’accesso al
proprio mercato a «investitori canadesi», ma anche di associare
strettamente il Canada e le sue imprese nel processo di sviluppo delle
norme nazionali. Denunciano anche che il «Principio di indipendenza e
l’imparzialità dei giudici», a fronte dell’istituzione di una Corte
internazionale per gli investimenti (ICS) venga danneggiata visto che si
mette in piedi un sistema di regolazione delle controversie aperto agli
«investitori dell’altra Parte», in un tribunale arbitrale composto da
15 membri nominati dal Comitato misto che gestisce l’applicazione Ceta, è
nominato da Commissione Ue e governo canadese e quindi di necessità a
rischio di cooptazione e influenze esterne.
Anche il partito socialista spagnolo ha annunciato che ritirerà il suo appoggio alla ratifica del trattato. Ma il Pd e chi lo vuole compiacere non ascolta, non ragiona, e quando non fa comodo dell’Europa fa anche a meno.
La cosa più suggestiva è che si indica nel premier canadese un paladino dell’Accordo di Parigi sul clima, in chiave anti-Trump: peccato che il Canada, mancherà sia il proprio impegno di riduzione delle emissioni per il 2020 sia l’obiettivo al 2030; spende 3,3 miliardi di dollari l’anno in sussidi pubblici ai combustibili fossili, tra cui l’inquinante petrolio da sabbie bituminose.
Per di più le Nazioni unite hanno svolto un’ispezione nelle aree di estrazione e minerarie canadesi nelle scorse settimane e hanno richiamato lo Stato «che esorta le autorità canadesi e il settore delle imprese a rafforzare i loro sforzi per prevenire e affrontare gli impatti negativi sui diritti umani delle attività produttive in patria e all’estero».
La delegazione ha inoltre sottolineato «l’importanza di proteggere i difensori dei diritti umani e gli ambientalisti dalle aggressioni e dalla violenza e la necessità per il governo di rafforzare l’accesso agli strumenti legali di ricorso per le vittime di abusi di diritto» visto che ben 30 persone sono morte in questi contesti denunciando pratiche delle imprese canadesi in patria e fuori.
Sinistra italiana, qualche voce sparsa di Articolo 1, ammutolita dall’assenza al voto in commissione, fuori dall’emiciclo Rifondazione e Altraeuropa, sono i pezzi della sinistra istituita, insieme a M5s e alle destre , che hanno preso la parte del buon senso. Il Ceta, il Ttip, ma più in generale l’impatto e il cambiamento di queste agende distruttive sono, per tante e tanti invece, il cuore e il senso delle relazioni con la politica nelle istituzioni. Si può non essere d’accordo nel merito, e discutere fino allo sfinimento. Ma il silenzio no, non se lo possono più permettere.