Al suo funerale nel luglio del 1979, con l’eccezione dei magistrati del tribunale di Milano, non c’era un rappresentante delle istituzioni, né un esponente politico, perché erano tutti appassionatamente raccolti sotto l’ombrello di Andreotti per ripianare i debiti della banca Privata di Sindona con i soldi pubblici, e consideravano la battaglia per la verità dell’avvocato Ambrosoli, quantomeno un fastidioso contrattempo.
A distanza di ben 34 anni e in un’era politica così lontana e così purtroppo così vicina a quella dell’assassinio di Giorgio Ambrosoli per mano di un sicario di Sindona, non solo il Pdl e la Lega, ma lo stesso Pd isolano e prendono fisicamente e politicamente le distanze da Umberto Ambrosoli. Il Pd lombardo si dissocia platealmente dal candidato, che con la sua credibilità presso la società civile ha evitato che il partito si sfracellasse alle regionali, in quanto reo di non aver partecipato al minuto di silenzio per l’uomo politico che ha protetto e coperto il mandante dell’assassinio di suo padre. E questo dopo essersi adoperato con ogni mezzo a “convincere” il curatore fallimentare troppo zelante a chiudere un occhio sugli affari di Sindona e i conti della sua banca.
Il Pd sembra condannato a ripetere all’infinito tutti i suoi peggiori ‘errori’ che però dopo trent’anni non possono più essere definiti tali. E non si tratta di inadeguatezza o di inconsapevolezza come veniva spacciata la condiscendenza ai metodi andreottiani durante la prima Repubblica.
Oggi non ci sono più scuse che tengano: “basta informarsi, conoscere la storia di quegli anni” su Giulio Andreoti e sui suoi rapporti documentati con Sindona, ci sono decine di saggi storici, come ha sacrosantamente gridato Massimo Cacciari alla parlamentare pidiellina Lara Comi, sdegnata of course, per la scelta di Umberto Ambrosoli.
E questo invito andrebbe rivolto prima ancora agli esponenti lombardi e nazionali del Pd che non a caso ha espresso un presidente del Consiglio che considera Giulio Andreotti “un’icona” e “un modello mitico”.
Il fatto che, culturalmente ancora prima che politicamente, un grande partito che ha contribuito a fare la storia di questo paese si identifichi nel cinismo “pragmatico” ed opaco di Giulio Andreotti invece che nella dedizione alla legalità e alla verità fino al consapevole sacrificio del cittadino Giorgio Ambrosoli, denota la sua impossibilità di essere credibile ed affidabile.
E spiega come abbia fatto a diventare ancora una volta la stampella di Silvio Berlusconi e come consenta alla fine al suo ex ministro della Giustizia Nitto Palma di diventare presidente della Commissione Giustizia che non è solo una carica “simbolica”, come si vuol far credere, ma chiude il cerchio protettivo attorno all’imputato-statista.