Il prevedibile e previsto completamento della retata dei ladri della matrice di Infrastrutture Lombarde, e degli altri manigoldi infiltrati nell’operazione Expo, richiede una reazione nettamente divisa in due parti. La prima deve riferirsi al da farsi per l’Expo. La seconda al da farsi per l’Italia. La prima deve essere immediata, lucida, coraggiosa, disperata. La seconda deve essere altrettanto disperata ma meditata, approfondita, scadenzata su tempi lunghi e su un programma politico articolato.
Il da farsi per l’Expo è semplice: bisogna unire le forze e le volontà, e fare tutto il possibile per contenere le implicazioni negative. Ma con la consapevolezza che quest’ultima mazzata, che cade su un già gravoso accumulo di ritardi, inadempienze, pasticci vari, non è uno scherzo. Il tempo è ormai agli sgoccioli, i ritardi accumulati sono enormi, gli effetti di quest’ultima mazzata sulla macchina operativa interna, sui paesi espositori, sulla credibilità dell’intera operazione sono, per ora, difficili da valutare. Il rischio di fallimento è diventato reale, dove per fallimento deve intendersi anche la realizzazione di una manifestazione pasticciata, insoddisfacente, priva di quella capacità di trascinamento che molti hanno visto nell’Expo, spesso in misura esagerata. Ma per questo non bastano le dichiarazioni di volontà, di impegno, di fiducia. Non bastano le pacche sulle spalle.
Sono necessari dei gesti effettivi, efficaci ed emblematici. Il più importante gesto non verrà fatto, anche se sarebbe il più importante ed è un gesto che andava fatto sin dall’inizio. La direzione lavori di progetti di questa natura e complessità non va affidata, sostituendo Angelo Paris, a un altro ingegnere isolato (anche se questa volta sperabilmente si avrà l’accortezza di prestare attenzione che non sia, direttamente o indirettamente, collegato alla scuderia di Infrastrutture Lombarde, Compagnia delle Opere, Cooperative di sinistra e simili, cupola che imperversa su Milano ormai da decenni). La direzione di opere di questo livello va affidata a una società di ingegneria di elevato standing internazionale, in grado di: mettere in pista squadre operative di portata tale che nessun singolo potrà offrire; dare un’alta assicurazione di essere fuori dai giochi italioti; offrire credibilità al resto del mondo. Io approverei immediatamente un decreto legge che dia al commissario di Expo, la possibilità di affidare senza gara, intuitu personae, e sotto la sua personale responsabilità a una società di ingegneria di livello internazionale la direzione lavori e il controllo degli acquisti.
Siccome questo non si farà perché è soluzione troppo innovativa e professionale per i nostri, in questa materia, incompetenti e superprovinciali amministratori pubblici (che già sono all’opera per suggerire loro stessi, nella loro smisurata incompetenza, il degno successore di Paris e di Rognoni) è almeno necessario costituire, un organo collegiale, formato da persone di alta credibilità professionale, che affianchi e supervisioni il direttore lavori. Questa raccomandazione non è certo suggerita da esigenze di efficienza, ma solo come tentativo di elevare la credibilità e l’affidabilità tra gli espositori e di contenere, almeno in parte, gli effetti negativi che dell’ondata di fango che le recenti vicende giudiziarie hanno gettato sull’Expo.
Un’altra cosa da fare è rivedere il programma e la tempificazione. Meglio ridurre il programma e rinunciare, in anticipo, a qualche capitolo, che intestardirsi a fare cose ormai evidentemente irrealizzabili, puntando su miracoli, che non si realizzeranno (in questa logica va rivisto anche il complessissimo Padiglione Italia). Con un programma ridotto e realistico e sperando che non si verifichino altri infortuni, forse sarà ancora possibile puntare al 1° Maggio 2015, perché le persone e le imprese serie che lavorano nell’area Expo sono la maggioranza, perché la direzione è seria e per bene e la sua squadra fondamentalmente buona, perché nonostante tutto, intorno all’Expo si sono messe in moto energie positive e diffuse, perché, per ora, i danni delle manipolazioni sembrano contenuti. Respingiamo, dunque, lo scoramento, restiamo positivi e fiduciosi, ma chiediamo con forza che sindaci, presidenti di regioni, presidenti di consiglio, ministri, facciano il loro mestiere, cioè la politica, e non mettano mano a materie che non conoscono e per le quali non sono culturalmente attrezzati, e cioè la direzione di sistemi complessi com’è l’Expo 2015 e la nomina dei direttori dei lavori o affini.
Più complessa è la seconda parte. Cosa fare per l’Italia. Complessa perché questa è, come alcuni vanno dicendo da anni, insieme alla collegata questione della malavita organizzata, che nella corruzione ci sguazza, il principale problema dell’economia e della società italiana. Non di semplice questione etica si tratta ma della massima questione politica. Eppure, anche questa volta ci è capitato di leggere da anime belle che la corruzione c’è dovunque e che quindi si tratta solo di togliere le mele marce e poi si riparte.
Ma il muro dell’insensibilità e della superficialità dei politici sul tema si va incrinando. Così il numero uno del Governo, Graziano Delrio, ha detto: “la corruzione è presente in tutti i paesi del mondo, ma da noi ha proporzioni fuori misura”. Questa è una buona partenza! Eppure sino a poco fa, nelle dichiarazioni di governo, ivi compreso quelle del governo Renzi, la lotta alla corruzione era ignorata, come ha scritto bene Furio Colombo (Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2014): “Un grande vuoto fa da contenitore al male che impedisce ogni ritorno dell’Italia alla normalità e la rende pericolosa e infetta. Per ora, avrete notato, non si levano voci. Anzi di solito cambiano discorso”. Recentemente l’accumularsi incredibile di episodi sconvolgenti e di malaffare ha portato al levarsi di molte voci.
Ma la maggior parte sono voci false e depistanti. Come quelle che parlano di mele marce; quelle che indirizzano verso una nuova Tangentopoli (mentre si tratta di una situazione ben diversa e ben peggiore di allora); quelle che cinicamente esprimono meraviglia (Ma cosa vi aspettavate dopo che, da allora, la classe politica non ha fatto altro che legiferare a favore della corruzione: abolendo il falso in bilancio, la concussione per induzione, la possibilità di trasferire da un processo all’altro le prove raccolte, e garantendo, attraverso prescrizioni brevi e altre diavolerie, una complessiva impunità ai soggetti politici coinvolti, mentre la classe imprenditoriale non ha fatto niente, assolutamente niente per combattere la corruzione al suo interno?); quelle che riducono la vicenda Expo a una vicenda di vecchi arnesi come Frigerio e Greganti e dicono che la politica non c’entra, mentre è una vicenda modernissima, con al centro una macchina pensata e programmata per la corruzione, come Infrastrutture Lombarde, un soggetto politico voluto e gestito dalla politica. La verità è che la politica, certamente in forme nuove e più raffinate e per finalità in parte nuove, rimane al centro della corruzione. E così sarà sino a quando ci saranno strutture come Infrastrutture Lombarde, che semplicemente, non dovrebbero esistere e sino a quando le nomine e la gestione nella Sanità (il maggior strumento di corruzione e di saccheggio di denaro pubblico del Paese, una vera e propria bomba atomica) continueranno a essere fatte come sono fatte ora.
Un’altra voce corretta è, invece, quella del commissario anti-corruzione recentemente nominato dal governo, il magistrato Raffaele Cantone, persona che non solo ha i numeri per il compito cui è stato chiamato, ma ha anche le idee giuste: “Pensare che qualcuno abbia la bacchetta magica per bloccare una situazione simile è illusorio. Io, ovviamente, la bacchetta non ce l’ho. Una lotta dura come questa non può essere vinta né in 6 mesi, né in due anni, ma l’obiettivo è di provare a invertire il trend, cioè creare le condizioni perché il fenomeno regredisca a condizioni fisiologiche, perché i fenomeni correttivi esistono sempre e in qualsiasi forma di Stato. La questione chiave è quella di riportare il livello della corruzione a quella delle società occidentali evolute …”.
E quest’obiettivo è necessario per poter restare nel novero delle società occidentali evolute. Altrimenti saremo, come sta già avvenendo, inevitabilmente spinti ai margini e poi espulsi dalle stesse e la nostra competitività diminuirà continuamente mentre la nostra disoccupazione aumenterà sempre di più e le uniche organizzazioni a gioire di questa situazione saranno le mafie. Come in Calabria, la regione più povera d’Europa controllata dalla mafia più ricca d’Europa. Cantone continua con un’altra affermazione fondamentale: “È evidente che l’Authority anti-corruzione non può cambiare da sola la situazione della lotta alla corruzione, Il mio ufficio è solo un tassello che richiede tutta un’altra serie del puzzle”.
Dunque occorre un progetto a lungo termine (ma che incominci subito!) che si prefissi degli obiettivi a tre, cinque, dieci anni e che coinvolga aspetti normativi (tutta la materia della definizione dei reati, delle prescrizioni, delle sanzioni va rifatta alle radici); provvedimenti amministrativi e organizzativi (uffici di controlli interni efficaci e diffusi); smantellamento di gestioni economiche dirette (come Infrastrutture Lombarde, un mostro di incontrollato potere economico); ridisegno completo delle procedure di nomina; riesame delle barocche e inutili procedure d’appalto; impegno delle organizzazioni imprenditoriali e produttive a essere partecipi di tale lotta: imprese recidive come la Maltauro, ovviamente se gli addebiti verranno provati, devono essere espulse dal mondo imprenditoriale perché sono nemiche della concorrenza, del mercato, degli altri imprenditori e devono essere impedite, per sempre, di partecipare ad appalti pubblici.
Ed altre cose ancora che conosciamo molto bene e che suggeriamo da tempo. Ma la verità è che sino a ora il patto latente in Italia tra governo centrale e in Lombardia tra governo regionale e borghesia produttiva era il seguente: rubate, corrompete, evadete; io vi favorisco in questo, voi però datemi tanti voti, che mi servono per rubare a mia volta e per assicurarmi il potere utile a mantenere in vita il patto. Sino a quanto qualcuno non romperà questo patto, continueremo a pestare acqua nel mortaio e ci resterà solo la difesa a cose fatte estrema ed eroica della Magistratura (grazie ancora per il Vostro impegno!). In Lombardia ci abbiamo provato a rompere questo patto e a creare discontinuità. Abbiamo perso. E quello che sta succedendo non è altro che la prevedibile conseguenza della continuità voluta e votata dagli elettori lombardi.
Ma ci proveremo ancora.