L'esordio è esplicito: "Vogliamo costruire una grande coalizione civica
di sinistra, alternativa al Pd, capace di portare in Parlamento quella
metà del Paese che non vuole andare a votare". Comincia così
l'intervento di Tomaso Montanari che apre la giornata del 18 giugno al
Teatro Brancaccio di Roma. Lo storico dell'arte inaugura i lavori
dell'assemblea insieme ad Anna Falcone, avvocata e vice presidente del
Comitato del No al Referendum costituzionale, che li chiuderà sei ore
dopo. Insieme hanno lanciato un appello, "Alleanza popolare per la
democrazia e l'uguaglianza" a cui oggi hanno risposto in oltre 1500. Più
i 50mila contatti delle visualizzazioni in video. Sono presenti le
varie anime della sinistra, dagli esponenti politici agli attivisti di
movimenti sociali e agli ambientalisti; dagli studenti (il più giovane
che interviene ha 18 anni) ai sindacalisti.
"L'obiettivo finale
-prosegue Montanari- è una sola lista a sinistra e, da domani, può
partire il passaggio costituente: non c'è un nome, non c'è un programma,
non c'è una leadership. Vorremmo portare in Parlamento un'alleanza fra
cittadini, associazioni e partiti. In autunno si farà una grande
assemblea nazionale, per definire un nome, un simbolo, i criteri per le
candidature". Applausi, poi iniziano le considerazioni.
"La
stagione del centrosinistra è finita -afferma lo storico dell'arte- Non
c'è alcuna esclusione, ma deve essere chiaro che chi è qui la
Costituzione la vuole attuare, non rottamare. E' il futuro che ci sta a
cuore, non la resa dei conti col passato. Pisapia lo abbiamo
invitato: ha risposto che 'non ci sono le condizioni perché io venga'.
Non è un buon inizio, ma ha almeno il pregio della realtà: il 1
luglio ci aspettiamo una risposta chiara su cosa pensa del Jobs Act,
della buona scuola...". Quindi conclude: "Noi puntiamo a percentuali a
due cifre, una nuova lista Arcobaleno non serve a niente".
Qualche
polemica per Miguel Gotor, senatore di Articolo 1-Mdp, specie quando
cita il nome di Pisapia in un richiamo all'unità politica. Apprezzato
invece Pippo Civati di Possibile: "Dobbiamo essere uniti, ma se qualcuno
insiste per andare con Renzi non lo trattiene nessuno". E Nicola
Fratoianni di Sinistra Italiana: "L'unità è un valore, ma all'unità non
si può sacrificare la credibilità" e accende la platea con la richiesta
di "uscire dalle formule astratte, una discussione che non parla più
alla vita delle persone". Sul tema del lavoro, che serpeggia per tutta
la giornata, il leader di SI ricorda: "E' stato detto che in Italia si
lavora poco: non è vero. Con una media di 1800 ore l'anno, lavoriamo di
più. E' venuto il momento di ridurre l'orario di lavoro". Molto
apprezzato anche Maurizio Acerbo, nuovo segretario di Rifondazione
Comunista, che ha raccontato: "Al telefono un impiegato di un call
center mi ha detto: lei è comunista? Ma se i comunisti non ci sono più".
Seduti in prima fila, in platea, l'uno accanto all'altro,
Massimo D'Alema e Nichi Vendola. Poi c'era Antonio Ingroia di
Rivoluzione civile, che però non ha avuto la parola ed è andato via con
la scorta, e decine di parlamentari delle formazioni presenti e passate
della sinistra. Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi,
Corradino Mineo, Vincenzo Vita, Raniero La Valle, Alfonso Gianni,
Roberto Speranza, Stefano Fassina, Eleonora Forenza e l'Altra Europa con
Tsipras . E i giornalisti: Norma Rangeri, direttrice de "il manifesto",
Paolo Flores d'Arcais direttore di "MicroMega", Massimo Bordin di
"Radio Radicale", Roberto Natale. Sul palco, invece, è salito Paolo
Foschi del "Corriere della Sera", che ha fatto il punto sullo stato
dell'informazione in Italia, sui nuovi "servi di redazione", giornalisti
precari e collaboratori, sottopagati e minacciati. Si è parlato di
donne con Francesca Koch della Casa internazionale delle donne e di
scuola con Marina Boscaino. Di welfare e di salute. Infine i magistrati,
Paolo Maddalena e Livio Pepino: il primo, già presidente della Corte
Costituzionale, ha sottolineato i mali economici di un Paese come il
nostro che, continuando con le attuali politiche, rischia di
depauperare anche il proprio patrimonio di imprese, oltre a quello
artistico e paesistico. Il secondo ha esortato la nuova forza nascente a
non commettere gli errori del passato.
"La terza via ha fallito
l'intento, dunque perché ripeterne gli sbagli?" ha ribadito a sua
volta Anna Falcone nel prendere la parola per l'intervento conclusivo.
"Si parla di una sinistra rancorosa, noi invece vogliamo una sinistra
felice. I giovani sono importanti, purché siano con noi non solo per
protestare, ma per costruire uno spazio nuovo. I cittadini italiani non
hanno più tempo: il nostro obiettivo è operativo, individuare i punti
che ci uniscono per presentarci alle prossimi elezioni e costituire una
nuova speranza per chi si è disaffezionato alla politica, è deluso e si
sente demotivato. Sulla scheda che è stata distribuita all'ingresso sono
espresse due questioni cruciali su cui si chiede ai partecipanti
dell'assemblea di esprimersi: le priorità di un programma condiviso e la
vostra idea in più per un progetto coraggioso e innovativo. Dobbiamo
operare un taglio netto con il passato per essere credibili, una
discontinuità. Tutti devono fare un passo indietro per poterne fare uno
in avanti. Dobbiamo offrire soluzioni praticabili per un reale
rinnovamento, per una politica che rimetta al centro un ideale
condiviso di società e faccia battere il cuore".
"I nostri punti
fermi -riassume Falcone- sono lavoro, reddito minimo di cittadinanza,
ambiente e riconversione energetica, scuola, formazione e ricerca,
sanità pubblica, sovranità popolare. Noi vogliamo una democrazia
realmente partecipata, in cui uno vale uno; un'informazione libera e
corretta. E vogliamo tempo, tempo per la nostra vita, per la cose che ci
appassionano, per i nostri figli. Vogliamo equità fiscale, assistenza e
inclusione sociale sui migranti. E un'economia sostenibile. La
Costituzione è di tutti, va solo attuata. Il voto è utile se ti
rappresenta e noi vogliamo costruire uno spazio che finalmente ci
rappresenti. Siamo qui per tornare a combattere".
La reazione a catena del caso Assange
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