Europa. Guardare al conflitto tra il governo Tsipras e la Ue oltre la contrapposizione «ritirata e vittoria»
È dunque vero che alla fine, come titolano molti giornali in Italia e in Europa, Atene ha ceduto all’Eurogruppo (la Repubblica), compiendo il primo passo verso il ritorno all’austerity (The Guardian)? È cominciata la «ritirata» di Syriza, come sostengono molti leader della stessa sinistra interna del partito greco?
È presto per formulare un giudizio complessivo e fondato sugli accordi definiti all’interno della riunione dell’Eurogruppo di venerdì: molti aspetti tecnici, ma di grande importanza politica, saranno resi noti soltanto nei prossimi giorni. Vorremmo tuttavia provare a suggerire un diverso metodo di analisi dello scontro che non ha soltanto contrapposto il governo greco alle istituzioni europee, ma ha anche mostrato più di una crepa all’interno di queste ultime. Sulla base di quali criteri dobbiamo giudicare l’azione di Tsipras e Varoufakis, misurandone l’efficacia? È questa la domanda che ci interessa porre.
Vale la pena di ripetere che lo scontro aperto dalla vittoria di Syriza alle elezioni greche si svolge in un momento di crisi acuta e drammatica in Europa. Le guerre che marcano a fuoco i confini dell’Unione Europea (a est, a sud, a sudest), le stragi di migranti nel Mediterraneo non sono che l’altra faccia dei processi in atto di scomposizione dello spazio europeo, che la crisi economica ha accelerato in questi anni e che destre più o meno nuove, più o meno razziste e fasciste cavalcano in molte parti del continente. In queste condizioni, le elezioni greche e la crescita di Podemos in Spagna hanno aperto una straordinaria occasione, quella di reinventare e riqualificare a livello europeo una politica radicale della libertà e dell’uguaglianza.
Forzare i limiti del capitalismo
Dietro
l’apertura di questa occasione ci sono, tanto in
Grecia quanto in Spagna, le formidabili lotte
di massa contro l’austerity. Ma lo sviluppo di
queste lotte, nella loro diffusione
«orizzontale», si è trovato di fronte limiti
altrettanto formidabili: la posizione di
dominio del capitale finanziario all’interno
del capitalismo contemporaneo e l’assetto
dei poteri europei, modificato da quella che
abbiamo definito una vera e propria
«rivoluzione dall’alto» nella gestione della
crisi.
Il punto è che, non appena Syriza è riuscita
a innestare sull’orizzontalità delle lotte un
asse «verticale», portandone le
rivendicazioni e il linguaggio fin dentro
i palazzi europei, si è immediatamente
trovata di fronte quegli stessi limiti. Si
è scontrata con l’assetto attuale dei poteri
europei e con la violenza del capitale
finanziario. Sarebbe davvero ingenuo pensare
che il governo greco, che un singolo Paese
europeo (anche di maggior peso demografico ed
economico della Grecia) possa spezzare questi
limiti. Se ce ne fosse stato ancora bisogno,
quanto è accaduto in questi giorni dimostra
chiaramente che non è sulla base di una
semplice rivendicazione di sovranità
nazionale che una nuova politica della libertà
e dell’uguaglianza può essere costruita.
I «limiti» di cui si è detto, tuttavia, ci appaiono oggi in una luce diversa rispetto a qualche mese fa. Se le lotte ne avevano mostrato l’insostenibilità, la vittoria di Syriza, la crescita di Podemos e la stessa azione del governo greco cominciano ad alludere alla realistica possibilità di superarli. Era evidente, e lo aveva chiarito tra gli altri lo stesso Alexis Tsipras, che non sarebbe stata sufficiente una semplice affermazione elettorale per fare questo. Si tratta di aprire un processo politico nuovo, per costruire e affermare materialmente una nuova combinazione, una nuova correlazione di forze in Europa.
Diceva Lenin che ci sono situazioni in cui bisogna cedere spazio per guadagnare tempo. Se applichiamo questo principio, opportunamente modificato, alla valutazione degli «accordi» di venerdì scorso possiamo forse scommettere (con l’azzardo che è costitutivo di ogni politica radicale) sul fatto che il governo greco abbia ceduto «qualcosa» per guadagnare tempo e per guadagnare spazio. Ovvero, per distendere nel tempo l’occasione che si è aperta in Europa nella prospettiva, resa possibile anche dalle prossime scadenze elettorali in Europa (a partire dalla Spagna, ma non solo), che altri «spazi» vengano investiti e «conquistati» dal processo politico nuovo di cui si diceva.
Questo processo politico, per avere successo nei prossimi mesi, non potrà che articolarsi su una molteplicità di livelli, combinando lotte sociali e forze politiche, comportamenti e pratiche diffuse, azione di governo e costruzione di nuovi contropoteri in cui si esprima l’azione dei cittadini europei. In particolare, nel momento in cui riconosciamo l’importanza decisiva di un’iniziativa sul terreno istituzionale quale quella che Syriza ha cominciato a praticare e Podemos concretamente prefigura, dobbiamo anche essere consapevoli dei suoi limiti.
In un lungo articolo (a suo modo straordinario), pubblicato nei giorni scorsi dal Guardian («How I became an erratic Marxist»), Yanis Varoufakis ha mostrato di avere una consapevolezza molto precisa di questi limiti. Fondamentalmente, ha affermato, quel che un governo può fare oggi è cercare di «salvare il capitalismo europeo da se stesso», dalle tendenze auto-distruttive che lo attraversano e minacciano di aprire le porte al fascismo. Ciò che in questo modo è possibile è conquistare spazi per una riproduzione del lavoro, della cooperazione sociale meno segnata dalla violenza dell’austerity e della crisi – per una vita meno «misera, sgradevole, brutale e breve». Non è un governo, insomma, a potersi far carico della materiale apertura di alternative oltre il capitalismo.
Leggendo a modo nostro l’articolo di Varoufakis, possiamo concludere che quell’oltre (oltre il salvataggio del capitalismo europeo da se stesso, in primo luogo) indica il «continente» potenzialmente sconfinato di una lotta sociale e politica che non può che eccedere la stessa azione di governi come quello greco e ogni perimetrazione istituzionale. È all’interno di quel continente che va costruita la forza collettiva da cui dipende quello che sarà realisticamente possibile conquistare nei prossimi mesi e nei prossimi anni. E il terreno su cui questa forza deve essere organizzata ed esercitata non può che essere l’Europa stessa, nella prospettiva di contribuire a determinare una rottura costituente all’interno della sua storia.
Il blocco di Francoforte
La mobilitazione convocata dalla coalizione Blockupy a Francoforte per il 18 marzo, il giorno dell’inaugurazione della nuova sede della Bce, acquista da questo punto di vista una particolare importanza. È un’occasione per intervenire direttamente nello scontro in atto a livello europeo (e dunque per sostenere l’azione del governo greco), andando oltre una generica contestazione dei simboli del capitale finanziario, della Bce e delle tecnostrutture «post-democratiche» di cui ha parlato Jürgen Habermas. Ma è anche un momento di verifica delle forze che si muovono in quell’«oltre» senza consolidare il quale (è uno dei paradossi del nostro tempo) la stessa azione di governi e partiti che si battono contro l’austerity è destinata all’impotenza.