La cintura esplosiva
con cui qualsiasi jihadista può immolarsi causando una distruzione di massa in
qualsiasi punto di Parigi o del mondo, ridicolizza tutta la potenza degli
apparati militari che nella loro logica assassina hanno raggiunto la perfezione
dotandosi delle bombe nucleari. Allo stesso modo l’arma bianca con cui
qualsiasi palestinese può uccidere qualsiasi israeliano dopo sessant’anni di
umiliata oppressione, rende inutile tutta la forza militare di Tsahal,
l’esercito di Tel Aviv. Questo vuol dire che la potenza degli eserciti dei
moderni Faraoni nel momento in cui ha raggiunto la sua massima capacità letale,
non serve più a niente, non serve alla governabilità del mondo, l’unica vera
governabilità che avremmo bisogno di istituire.
Quella potenza oscena degli eserciti forniti di atomica ha potuto ultimamente,
nel Novecento, servire a evitare la guerra tra i due blocchi mediante
l’equilibrio del terrore, ma non ci può fare niente quando il modello della
politica come guerra e come scontro tra amico e nemico ha liquidato ogni
equilibrio ed ha raggiunto la massima asimmetria, avendo da una parte il
kamikaze nella metropolitana, dall’altra la bomba atomica sul drone impunito
nei cieli. Questo significa però che quando i milioni di dannati della terra,
per la collera dell’esclusione e delle ingiustizie subite si metteranno la
cintura esplosiva o brandiranno il coltello, sarà la rovina.
Ne discendono moltissime cose, e gli attentati di Parigi e il delirio mediatico
che ne è seguito ce le hanno fatte vedere.
Le armi fuori commercio
La prima di queste è che il commercio delle armi deve essere assolutamente bandito. Niente vendita di armi vuol dire niente ISIS (le armi, le mine, i carri e perfino le cinture esplosive e i coltelli dei tagliagola, glieli abbiamo forniti noi; all’origine ci sono sempre industrie e politiche del mondo ricco). Niente armi vuol dire niente guerre; le ricchezze tratte dalle armi sono infatti la causa necessaria e spesso sufficiente di ogni guerra, compresa la terza guerra mondiale “a pezzi”che instancabilmente il papa denuncia. Niente armi significa che le armi sono “res extra commercium”, come dicevano i latini, non sono merci, non si possono né comprare né vendere, come stabiliva un disegno di legge di iniziativa parlamentare (del Gruppo Interparlamentare per la Pace) che fu presentato alla Camera italiana quando la politica era ancora una cosa seria (non tanto però da arrivare a discuterlo). Niente armi in commercio vuol dire che le armi possono essere fabbricate solo dagli Stati sovrani entro gli stretti limiti delle necessità di difesa di loro stessi e dei loro alleati o di altri popoli eventualmente aggrediti.
I musulmani non sono maledetti
La seconda cosa rivelata dai fatti di Parigi è quella che pochi giorni dopo la strage, il 19 novembre, ha detto il papa nell’omelia di Santa Marta (nella quale ogni giorno si esercita il governo della Chiesa e si accende una luce per il mondo). E la cosa è che non sono “maledetti” i musulmani (“Bastardi Islamici” aveva titolato a tutta pagina Libero, il giornale di Maurizio Belpietro) ma è maledetto “questo mondo” che “non è un operatore di pace”. Non tutto il mondo, perché ci sono anche “i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la vita”. “Maledetti” è una parola durissima che si trova nell’Antico Testamento, e talvolta anche nel Nuovo, “una parola brutta del Signore” ha detto il papa, opposta a quel “benedetti gli operatori di pace” che è invece la sua parola di salvezza. Questo significa che singole “brutte” parole della Scrittura non possono essere scagliate contro i cristiani o contro gli ebrei, così come il Corano non può essere scagliato contro gli islamici. La realtà è che Dio non maledice nessuno, e questo è il fulcro di tutto il magistero di papa Francesco, e anche dell’Anno Santo, che, come ha subito detto il segretario di Stato Parolin in un’intervista a La Croix di Parigi, “accoglierà anche i musulmani”: “Dio piange” – ha detto il papa con il Vangelo in mano – “Gesù piange” come pianse dinanzi a Gerusalemme perché non aveva “compreso quello che porta la pace”. Proprio come oggi quando nella scelta tra «Dio o le ricchezze» proposta da Gesù (Dio o mammona), «la guerra è proprio la scelta per le ricchezze», ha detto il papa: «“facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse”». La maledizione, per papa Francesco, è quella di coloro «che operano la guerra, che fanno le guerre, che sono delinquenti»; è quella dei «trafficanti di armi» che «fanno il loro lavoro», di «questo mondo che non riconosce la strada della pace, che vive per fare la guerra, con il cinismo di dire di non farla» ed è una maledizione che biblicamente si riscatta con «la grazia del pianto», il pianto di Dio che è il pianto anche nostro.
Venire a capo della guerra
La terza cosa svelata
dagli eccidi di Parigi è che il problema da affrontare non è il terrorismo, ma
la guerra. Del terrorismo non si può venire a capo, lo ha dimostrato Bush con
la sua follia della guerra perpetua e lo dimostra Hollande con la sua
velleitaria chiamata alle armi di tutta l’Europa previa una sberla alla
Costituzione. Ma della guerra sì, si può venire a capo. Si può benissimo
decidersi per un mondo senza guerra. E’alla nostra portata. Il diritto ci sta
provando dal 1945. Sono gli uomini (e anche qualche donna) che si succedono ai
governi che non sanno e non vogliono farlo. Ma se si viene a capo della guerra,
finisce anche il terrorismo; la guerra non fa che causarlo, la giustizia al
posto della guerra lo spegne; ed è appunto ora, quando il rapporto tra guerra e
terrorismo è diventato del tutto asimmetrico, che questa specularità si deve
rompere, che ambedue, guerra e terrorismo, devono essere liquidati, cominciando
dalla guerra, altrimenti sarà la fine.
Cominciare con il licenziamento della guerra significa che bisogna cessare i
bombardamenti sulla Siria e l’Iraq. Quelli americani finora sono stati finti, e
puramente propagandistici, senza l’intenzione di colpire veramente l’ISIS,
tanto è vero che mai è stata bombardata la strada che collega Raqqa a Mosul che
è una via di comunicazione vitale per il cosiddetto Stato islamico. I
bombardamenti francesi sono stati un’inutile esibizione di grandeur, e hanno
provocato la vendetta a Parigi e nel Mali. Gli unici bombardamenti rilevanti
sono stati quelli russi, che sono costati l’abbattimento dell’aereo passeggeri
sul Sinai, ma hanno avuto il significato politico di far intervenire la Russia
nell’area, rompendo il perverso rapporto esclusivo tra Occidente e Paesi
islamici del Medio Oriente, e rimettendo tutta la situazione in movimento.
I bombardamenti devono cessare sia perché sono un riconoscimento del Califfato
come Stato (le bande armate non si bombardano, solo contro gli Stati si fa la
guerra aerea), sia perché sono impotenti rispetto all’oggetto del conflitto e
soprattutto perché distruggono il territorio che si dovrebbe liberare e
uccidono le popolazioni civili che si dovrebbero salvare.
Se non si bombarda, tuttavia l’ISIS dei musulmani integralisti deve essere
sconfitto. Il papa ha detto, dopo la prima strage di Parigi tornando dalla
Corea del Sud, che l’aggressore “ha il diritto di essere fermato perché non
faccia del male”. Non è solo nostro dovere, è suo diritto. E siccome il
presupposto del male fatto dall’ISIS è l’uso del territorio siriano e iracheno
di cui si è impadronito per usurpazione, quel territorio gli va tolto e va
restituito agli Stati sovrani di Iraq e Siria; e ciò anche se Assad non piace
all’Occidente, perché il problema di Assad riguarda la Siria, non è disponibile
all’Occidente e appunto, come dice Renzi, non si può fare la Libia-bis, cioè
quello che si è fatto con Gheddafi.
Una operazione armata dell’ONU
Il territorio va tolto
anche con la forza all’ISIS, perché l’ISIS non è uno Stato, perché quel
territorio è la indispensabile base territoriale del terrorismo, e perché i
giovani estremisti che vengono reclutati per andare in Siria a indottrinarsi e
poi tornare in Europa a suicidarsi hanno il diritto di essere salvati da noi e
di non aver alcuna Siria in cui andare a buttare la vita.
Il territorio al Califfato eretico va tolto non con la guerra, fosse pure
l’ultima guerra, perché la guerra ha il fine di “debellare”, cioè togliere
dall’esistenza quello che di volta in volta è il nemico, e questa è appunto la
ragione per cui essa da noi è stata ripudiata. Invece va tolto con
un’operazione di polizia internazionale di terra, che non può essere
un’operazione né americana, né russa, né francese, né europea, che sarebbe
pretesto di nuovi domini e colonialismi, col che si ricomincerebbe da capo col
male che abbiamo fatto fin qui, ma deve essere un’operazione della comunità
internazionale sotto comando unificato come previsto dal capitolo VII dello
Statuto dell’ONU. Pertanto, come prescrive la Carta, i capi di Stato maggiore
di questa operazione dovrebbero essere un americano, un cinese, un russo, un
francese e un inglese, cioè i cinque membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza, insieme come è ovvio ai generali del luogo. Questa è la cosa più
“nonviolenta” che si può fare per fermare l’ISIS. Cosi si deve fare, finchè non
si cambia la Carta. Finora non si è mai fatto e invece bisognerebbe cominciare
a farlo perché questo, nel ripristino della “sovranità del diritto” (papa
Francesco all’ONU) è l’alternativa alla paura oggi e alla catastrofe domani.
L’ha detto anche il cardinale Parolin ai francesi nella sua intervista a La
Croix: “Non è possibile tollerare la violenza indiscriminata. È giusto
difendersi, proteggere i cittadini e respingere i terroristi. Ma nel caso di un
intervento dall’esterno occorre cercare la legittimazione attraverso le
organizzazioni che la comunità internazionale si è data”. Le organizzazioni,
esistenti o anche solo programmate, sono il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il
Comitato dei capi di Stato maggiore dei cinque membri permanenti, i caschi blu
dell’ONU, forniti dai Paesi membri per le operazioni di sicurezza e di
ristabilimento della pace che richiedono l’uso della forza armata, ma mai nelle
forme della guerra.
Questo è ciò che a suo tempo fu deciso, non attuato e poi rovesciato dopo il
1989 quando, finito il comunismo, l’Occidente ha creduto di essere diventato il
padrone del mondo, si è riappropriato dello strumento della guerra, si è
inventato perfino i talebani e l’ISIS per le guerre di tutti contro tutti e ha
buttato a mare il costituzionalismo interno e internazionale. I danni di oggi
mostrano la catastroficità dell’errore, ma proprio per questo aprono il varco a
una possibilità nuova, finora di fatto preclusa. Non è affatto troppo tardi per
cambiare mente e politiche, licenziare la guerra e il suo prodotto, il
terrorismo, celebrare il Dio misericordioso e non violento di tutte le
religioni e dare inizio all’epoca nuova.