Sembrerebbe che le istituzioni parlamentari abbiano dimenticato di
essere state delegittimate dalla dichiarazione d’incostituzionalità del
Porcellum. Dal canto suo, il presidente del Consiglio, non essendo stato
eletto e quindi non essendo personalmente coinvolto dagli effetti della
sentenza n.1 del 2014, non ne tiene affatto conto tant’è vero che il
ministro per i rapporti col Parlamento ha dichiarato che i programmi del
Governo Renzi coprono l’intera legislatura.
Ora è bensì vero che
nella sentenza è scritto che l’incostituzionalità delle varie norme del
Porcellum «non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in
conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate,
compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal
Parlamento eletto», ma questo non significa che la sentenza non
coinvolga la legittimità dell’attuale Parlamento. Se la Consulta, grazie
al principio della necessaria continuità delle istituzioni, ha
“delimitato” gli effetti “retroattivi” della pronuncia
d’incostituzionalità e, quanto al futuro, ha esplicitamente previsto che
le Camere elette nel 2013 possano approvare una nuova legge elettorale,
non ha però detto che esse possano continuare ad operare come se nulla
sia successo. Mi rendo conto che la situazione politica, economica e
finanziaria richiede che un governo ci sia, ma questo non significa che
l’attuale Parlamento possa far tutto senza limiti modali, di contenuto e
di tempo. Tento di spiegarmi meglio con un paio di esempi.
Limiti
modali. La Corte costituzionale ha detto chiaramente, nella citata
sentenza, che una legge elettorale, per essere costituzionalmente
legittima, pur perseguendo l’obiettivo della stabilità e dell’efficienza
del Governo, non deve però determinare una compressione della funzione
rappresentativa e dell’eguale diritto di voto. Per contro il ddl 1385
attualmente all’esame del Senato prevede un sistema elettorale avente
una base proporzionale con una pluralità irrazionale di soglie per
l’accesso dei partiti (4,5 per cento, 8 per cento, 12 per cento) che
premia le coalizioni senza tener conto dell’apporto dei partiti; prevede
un premio di maggioranza che tale non è, essendo la soglia del 37 per
cento troppo lontana dal 50,1 per cento (che è il valore cui commisurare
la legittimità del “premio”); prevede la possibilità di ciascun
candidato di presentarsi fino ad un massimo di otto collegi (un vero e
proprio specchietto per gli allocchi); prevede, tra l’altro, un
artificioso sistema di trasformazione dei voti in seggi che, essendo
effettuato in sede nazionale, fa sì che dei voti espressi in favore di
una data lista si gioverà, in definitiva, una lista diversa.
Limiti
di contenuto. In un articolo pubblicato su queste pagine all’indomani
del comunicato della Consulta che annunciava l’incostituzionalità del
Porcellum, scrissi che le attuali Camere, ancorché politicamente
delegittimate, ferma restando l’attività di controllo e quella
legislativa “ordinaria” politicamente rilevante, avrebbero potuto
impegnarsi in talune “necessarie” revisioni costituzionali (come la
diminuzione del numero dei parlamentari e la revisione dell’art. 117
Cost. per ciò che riguarda le competenze legislative regionali). Non
però le revisioni che avrebbero potuto modificare la forma di governo.
Se infatti è discutibile — lo ammetto — che un Parlamento delegittimato
possa approvare talune leggi di revisione costituzionale, come io
stessoho scritto (e me ne pento), è però assolutamente inconcepibile che
un Parlamento delegittimato possa incidere sulle strutture portanti
della nostra democrazia parlamentare. Per contro il Governo Renzi si
appresta a presentare un disegno di legge costituzionale che elimina il
Senato e lo sostituisce con un’Assemblea delle autonomie, composta da
presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano,
da due membri eletti dai Consigli regionali e da tre sindaci per ogni
Regione.
Con ciò non voglio sostenere che il bicameralismo
paritario non possa o non debba essere superato. Non però da “questo”
Parlamento e in maniera così poco meditata. Non intendo entrare nel
merito di tale preannunciata riforma perché ciò significherebbe in
qualche modo prenderla sul serio. Ciò non di meno non posso non
osservare che se l’obiettivo perseguito dal Governo Renzi è di eliminare
dal bilancio dello Stato la spesa costituita dall’indennità dei 315
senatori, sarebbe preferibile ridurre a 100 il numero dei senatori e a
500 il numero dei deputati, ma mantenere l’elezione diretta dei
senatori. Quale legittimità democratica, senza l’elezione popolare,
avrebbe infattil’Assemblea delle autonomie per partecipare col suo voto
all’approvazione delle leggi di revisione costituzionale? E poi, pur
tenendo conto delle attribuzioni assegnate all’Assemblea delle autonomie
in materia legislativa dal “nuovo” art. 70 della Costituzione, se è
vero che essa dovrà esprimere un mero “parere” su tutti i disegni di
legge approvati dalla Camera dei deputati, quanto tempo rimarrebbe ai
suoi componenti per svolgere, nel contempo, anche i compiti di
presidente regionale, di consigliere regionale e di sindaco? E infine,
nel ridurre l’apporto della seconda Camera a mera funzione consultiva,
non si dimentica che il bicameralismo “legislativo” ci ha ripetutamente
salvati, e non solo nelle ultime legislature, da modifiche esiziali del
nostro ordinamento?
Limiti temporali. È assolutamente disdicevole
che il Governo Renzi ritenga di poter programmare l’attività del
Governo per tutta la legislatura. Non si rende conto che il solo
affermarlo implica una violazione del giudicato costituzionale contenuto
nella sentenza n. 1 del 2014 e la conseguente menomazione delle
attribuzioni costituzionali della Corte costituzionale?
La reazione a catena del caso Assange
Barbara Spinelli - Il fatto Quotidiano
La via della seta: una trappola o un’opportunità?
Alfonso Gianni
Lettera aperta al segretario generale del PD Nicola Zingaretti
Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Domenico Gallo