I tesori dell’archeologia

di Massimo Villone - Il Manifesto - 11/05/2016
Non ci spiace affatto la qualifica di archeologi costituzionali. Sempre che al duo Renzi-Boschi venga riconosciuta quella di tombaroli

A sentire Renzi nell’ultima direzione Pd, sul referendum costituzionale è guerra totale. Chiama Il partito alle armi, e propone una moratoria. Fino al voto sulla riforma tutti insieme appassionatamente. Il minuto dopo si scateni pure l’inferno, e si vada alla conta. Un principio di affanno? Timore che i guai giudiziari del Pd appannino l’appeal populistico del leader? Sull’attacco alla magistratura, avviato in stile berlusconiano, è sceso un improvviso silenzio. Che non potrà essere rotto perché i magistrati – com’è nel loro pieno diritto – si esprimono sulla riforma.

Ma rimane grande l’arroganza dell’occupante di Palazzo Chigi: un Renzi vale una Costituzione. Se volete Renzi, dovete volere anche la Costituzione di Renzi. È l’offerta speciale di autunno: due al prezzo di uno. La battuta della Boschi su Casa Pound non merita l’onore di una citazione. E l’esangue minoranza Pd perde un’occasione, e si allinea. Lo scambio è con il congresso, cui – prevedibilmente – seguirà la pulizia etnica dei dissenzienti, salvo pochi esponenti più rappresentativi da imbalsamare a scopo di studio come esemplari di una specie estinta.

Per il resto, siamo all’archeologia costituzionale.

Secondo il dizionario, l’archeologia “mira alla ricostruzione delle civiltà antiche attraverso la scavo e lo studio della varia documentazione”. Cosa troviamo nell’antica civiltà dell’Assemblea Costituente?

Anzitutto, un Governo che si tiene da parte. Nella Costituente i banchi dell’esecutivo rimasero vuoti. De Gasperi prese la parola per la prima volta sulla nuova Costituzione, come componente dell’Assemblea e non come Presidente del consiglio, il 25 marzo del 1947, quasi scusandosi, per sostenere l’inserimento nella carta fondamentale del rapporto tra Stato e Chiesa cattolica. Il 22 dicembre 1947, giorno del voto finale, commentò che i membri del governo avevano con “un certo senso di invidia” osservato il nascere della Costituzione, “mentre noi, dalle esigenze di tutti i giorni, eravamo costretti ad occuparci dei piccoli particolari”. Il 13 dicembre 1947 Scelba, ministro dell’interno, precisò che il governo aveva presentato una proposta di legge elettorale al solo fine di facilitare il lavoro “senza che questo potesse minimamente significare né impegno del Governo di decidere su quel determinato progetto, né menomazione dell’autorità dell’Assemblea Costituente”. Dunque l’esecutivo non sarebbe intervenuto nel merito delle votazioni, rimettendosi in ogni caso all’Aula.

Inoltre, vediamo l’obiettivo di un testo condiviso nel suo complesso, pur nel dissenso su singoli punti anche rilevanti. Ad esempio, sulla Parte II della Costituzione le sinistre ebbero un atteggiamento critico: in specie, gli interventi di Nenni, 10 marzo, e Togliatti, 11 marzo 1947. Ma si pervenne a un consenso unitario per la volontà di dare al paese una Costituzione ampiamente condivisa. Era cruciale, disse Togliatti, trovare un terreno comune abbastanza solido per costruire una Costituzione, andando “al di là anche di quelli che possono essere gli accordi politici contingenti dei singoli partiti che costituiscono, o possono costituire, una maggioranza parlamentare”. Tanto che, come affermò il 6 marzo 1947 Basso, se avvalendosi di “esigue maggioranze” qualcuno avesse voluto fare una Costituzione “di parte”, “avrete scritto sulla sabbia la vostra Costituzione e il vento disperderà la vostra inutile fatica”. Non è in questione il dissenso, che anzi va lodato, come disse V.E. Orlando il 22 dicembre 1947 “come il mezzo più idoneo per scoprire la verità o per avvicinarci ad essa il più che sia possibile”. Il fine era quello di costruire una Costituzione “proporzionata al corpo sociale” come affermò La Pira l’11 marzo 1947: “sia nella prima parte, quando definisce i rapporti dei singoli con lo Stato, ed i rapporti dei singoli fra di loro, sia nella seconda parte, quando, mediante la. struttura dello Stato, esso dispone in modo che questi diritti abbiano la tutela ed abbiano le garanzie”.

Sulla composizione del Senato l’Assemblea discusse il 24 e 25 settembre, e ancora il 10 ottobre 1947. Furono respinte la composizione mista, e l’elezione di secondo grado. Su questa, il 24 settembre Laconi sottolineò il pericolo di “veder trasformato il Senato in una Camera che rappresenti unicamente, e nel modo più ristretto, degli interessi locali di piccoli gruppi configurati territorialmente e politicamente”. Mentre Nitti si scagliò contro l’elezione di secondo grado, meccanismo inquinato e inquinante, perché “il nostro Paese non ha ancora una struttura politica, dopo tante vicende, che assicuri contro le cattive influenze e contro la corruzione”.

Certo, il breve spazio di un articolo consente solo poche ed emblematiche citazioni. Ma bastano a dirci che i costituenti di oggi avrebbero tutto da imparare dal metodo, e più ampiamente dal modo di pensare, dei costituenti di ieri. Quelli operarono in un paese devastato dalla guerra, e pure vediamo che la civiltà antica batte la moderna, di molte lunghezze. Anche allora i professori erano in campo, e Nenni li ringraziava, il 10 marzo 1947, per aver contribuito “a mettere tutta l’assemblea in condizioni di discutere i problemi costituzionali, e a mettere il paese in condizioni di apprezzare i risultati delle nostre deliberazioni “.

Altri tempi. Ma non ci spiace affatto la qualifica di archeologi costituzionali. Sempre che al duo Renzi-Boschi venga riconosciuta quella di tombaroli.

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