L’arroganza con cui il governo Renzi ha fatto approvare leggi che hanno tolto diritti ai lavoratori, a partire dalla manomissione dell’articolo 18, si è sbriciolata di fronte alla minaccia dei due referendum promossi dalla Cgil e alla concreta possibilità di perderli. Infatti il governo Gentiloni, pur di evitare i due referendum, ha preferito abrogare con decreto tutta la normativa dei voucher e reintrodurre norme che obbligano ad una responsabilità in solido tutti i soggetti imprenditoriali degli appalti. È senza dubbio una svolta importante, sia per l’ammissione di debolezza, sia perché apre la possibilità di invertire la tendenza fin qui prevalente e di rilanciare una strategia di diritti per chi lavora.
L’effetto di trascinamento del referendum del 4 dicembre
È evidente un effetto di trascinamento del referendum del 4 dicembre, che ha convinto il governo Gentiloni (e Renzi) che era possibile raggiungere il quorum di votanti (50%+1) e che questo avrebbe reso validi i referendum, quindi c’era il rischio concreto di una seconda sconfitta in pochi mesi. È merito della Cgil avere promosso i due referendum e avere condotto con determinazione la battaglia referendaria, senza farsi intimidire dai ricatti, né bloccare da atteggiamenti fin troppo remissivi di settori sindacali. Purtroppo sappiamo che la Corte costituzionale ha cancellato il referendum per abrogare le norme sull’articolo 18 che hanno reso una presa in giro i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, perché in realtà i nuovi assunti sono licenziabili. Infatti, questo contraddice la definizione stessa di lavoro a tempo indeterminato, che ha senso solo se viene limitata la licenziabilità alla giusta causa. Peccato, altrimenti il governo avrebbe dovuto cancellare anche questa norma ingiusta perché anche questo referendum avrebbe raggiunto il quorum.
Indubbio successo della Cgil e del mondo del lavoro
Comunque sia la cancellazione delle norme per evitare i due referendum è un indubbio successo del mondo del lavoro, dopo anni di colpi subiti. Tutto il sindacato farebbe bene a rivendicare questo risultato, reso possibile dalla Cgil ma i cui risultati sono a vantaggio di tutti i lavoratori. Troppi ancora sembrano non comprendere che nel paese c’è una profonda insoddisfazione, soprattutto tra chi lavora e chi vorrebbe lavorare, in particolare tra i giovani. Questo dovrebbe spingere tutto il sindacato a rimettere in discussione con coraggio le scelte che in questi anni hanno scaricato costi e contraddizioni della crisi sul mondo del lavoro. Del resto questo è il migliore antidoto contro i Trump nostrani, altrimenti il populista di turno troverà il modo di conquistare consensi in queste aree di disagio sociale con conseguenze imprevedibili. Renzi in questi anni ha tentato di ignorare, peggio ancora di distruggere il ruolo di rappresentanza dei lavoratori dei sindacati, riducendo i diritti di chi lavora per ingraziarsi i poteri economici e finanziari. Quante volte il Jobs act è stato portato ad esempio delle cosiddette riforme in Europa e voucher e appalti ne erano parte. Oggi tutti debbono constatare che se gli elettori sono chiamati a votare sono in grado di ribaltare questi orientamenti, come hanno fatto il 4 dicembre sulla Costituzione e come avrebbero fatto sui referendum promossi dalla Cgil. La linea di Renzi non regge se gli elettori sono messi in condizione di esprimersi. Gentiloni ne ha preso atto con realismo e ha cercato di tamponare la falla, evitando una prova di forza perdente per il governo e per la sua maggioranza. Piena sintonia con il predecessore? Vedremo.
Anche il Pd faccia i conti con questa nuova realtà. Il decreto legge non basta. Vigilare sul testo di conversione in legge
È sperabile che ora anche il Pd faccia i conti con questa realtà, cambiando una linea che si è dimostrata fallimentare. I referendum a questo punto probabilmente non ci saranno. Tuttavia prima di cantare vittoria occorre verificare bene il testo del decreto e soprattutto seguirne con attenzione l’iter di approvazione parlamentare perché le reazioni negative già registrate di fronte a questo arretramento sono importanti. Un decreto legge non basta per evitare un referendum, occorre una legge approvata in via definitiva che sostituisca quella precedente e che consenta alla Corte di ritenere il referendum superato. Il voltafaccia del governo ha creato un serio problema tra gli ispiratori e i sostenitori di queste misure (Confindustria ha addirittura affermato di preferire una sconfitta nelle urne) senza trascurare che si apre uno spazio nuovo sui temi del lavoro, che potrebbe consentire una vera politica per l’occupazione, fuori dagli spot costosi quanto inefficaci, e di aprire una nuova stagione di diritti solidali per i lavoratori, compreso l’articolo 18.
Nuove prospettive per la Carta dei diritti universali della Cgil
La proposta di una nuova legislazione del lavoro ispirata dalla carta dei diritti della Cgil, erede dell’ispirazione dello statuto dei lavoratori, ha oggi nuove prospettive. È auspicabile che il coraggio della Cgil apra una nuova stagione anche nella collocazione di Cisl e Uil. Quindi accanto alla vigilanza per evitare colpi di coda parlamentari e tentativi gattopardeschi nel merito delle soluzioni per evitare i due referendum, la sconfitta secca delle politiche renziane apre la possibilità di coinvolgere il paese e gli elettori per aprire uno scenario nuovo e diverso sui diritti dei lavoratori e sull’occupazione. Prima tutti si renderanno conto che l’applicazione della Costituzione è un corroborante per la democrazia meglio sarà. Il modo migliore per festeggiare questo risultato è impostare proposte forti e convincenti che affrontino temi come la scarsità di lavoro con la forza che questo dramma richiede, mettendo al centro non solo la creazione ma anche la redistribuzione del lavoro, partendo dal rifiuto di scaricare sui diritti dei lavoratori il costo dell’uscita dalla crisi e rinsaldando elementi di solidarietà sociale.
Quante volte in questi anni il sindacato è stato messo nell’angolo e dopo, massima beffa, perfino accusato di non difendere i lavoratori? È l’occasione per invertire la rotta, anche con la necessaria prospettiva europea. L’Europa ha bisogno che occupazione, diritti, retribuzioni vengano rimessi al centro altrimenti il suo futuro è seriamente a rischio. Come Comitato per il No avremmo sostenuto con tutte le nostre forze, eredi della vittoria del 4 dicembre, il Sì nei due referendum. Ora è il momento di trarre ispirazione dalla Costituzione e affrontare il futuro di chi lavora alla luce dei principi fondamentali in essa contenuti. Oggi possiamo puntare ad ottenere nuovi risultati, importanti perfino per chi finora è stato fin troppo acquiescente al volere dei poteri forti – finanza in testa – italiani ed europei.