Basta un tweet o un post e il lavoro è fatto. Pensi di esserti guadagnato la pagnotta e hai dato al tuo popolo di fan, prima che di elettori, il mangime quotidiano. Questo Paese sta diventando un grosso acquario pieno di pesci che attendono, con la loro smorfia abituale, che dall’alto piova la polverina di cibo e vitamine. Notizie false, accuse, liste di proscrizione, frasi razziste, immagini di minorenni additate come nemiche, foto di pranzi, pranzetti, cene private e tanto altro. Di tutto di più. Tweet o post che poi vengono rimbalzati su ogni media, in qualsiasi luogo, in modo che nessuno possa fare a meno di assistere a questa overdose comunicativa che riempie la scena politica e mediatica italiana.
Il fannullone social ha già vinto e molto presto diventerà premier. Perché ha compreso prima di tutti che gli italiani sono in gran parte al suo stesso livello. Ignoranza e superficialità, due ingredienti con i quali, se qualcuno ti indica un nemico, si può dar vita a miriadi di ricette di crudeltà ed egoismo. E il nemico ce lo hanno già indicato. Il nemico è tutto ciò che ci costringe a guardarci in faccia, a riconoscere le macchie unte della nostra coscienza. Non solo il migrante, soprattutto quello dalla pelle nera che richiama paure ancestrali e ridicole, figlie di una sottocultura che in Italia resiste anche nel linguaggio. Ma anche e soprattutto il povero o l’emarginato in generale.
I mendicanti, i rom, i disoccupati organizzati, i senza casa. E poi, in mezzo, le donne e la loro libertà di scelta, e gli omosessuali, ossia tutto ciò che richiede un modello di società aperta, paritaria, solidale, dove la libertà è un valore e non una minaccia. La propaganda ha inquinato questo Paese o forse ne ha semplicemente eccitato le debolezze, ne ha tirato fuori le miserie, le scorie che erano latenti e che oggi mostrano la vera faccia di una popolazione che non si è mai veramente evoluta.
Pur avendo eccellenze in molti campi, l’Italia rimane infatti una nazione involuta culturalmente, lontana dai suoi fasti antichi. Conserva il fascino della sua storia ma ha smarrito centralità. Gli intellettuali sono ormai pochi e silenziosi e non offrono avanguardie di pensiero. Il conformismo pervade la cultura e i suoi rappresentanti più noti. La politica stessa ha smarrito totalmente la sua dimensione culturale. Le opposizioni politiche non esistono più, o meglio sono opposizioni dalle posizioni annacquate, colpevoli di aver per anni tentato di costruire e imitare la fisionomia crudele e dura che oggi rimproverano a coloro che ce l’hanno per natura. Fatta eccezione per alcune realtà sociali, per le ong, le associazioni, qualche comitato studentesco, alcuni preti, pochi sindaci, qualche scrittore o giornalista e un paio di sindacalisti, in Italia non esiste una vera opposizione.
Esiste un’enorme massa di indignati che si esprime a parole, sui social, tra amici, magari anche in realtà associative, ma non produce nulla di concreto. Se ti capita di parlarci, scopri che si sentono in gran parte rassegnati, spaesati, o si continuano a stupire per l’avanzata di una forza reazionaria che sta portando indietro l’Italia a ogni livello, dal governo nazionale alle realtà locali, dove esistono amministratori che violano la Costituzione prima che il buon senso e secoli di evoluzione umana. Quello che si avverte, oltre alla mancanza di una alternativa politica che sia veramente alternativa e che si opponga con decisione richiamandosi ai valori sanciti dalla Costituzione, è l’assenza della cultura, l’assenza di voci critiche, dure, capaci di provocare, di sfidare, denunciare e non accarezzare, mediare, cercare confronti con chi ogni giorno produce violenza, distrugge, massacra diritti.
C’è troppa speranza che questo Paese, nel quale peraltro l’istruzione è stata smontata e distrutta per anni, rinsavisca da solo, c’è la convinzione che il dialogo sia ancora possibile con chi sta pian piano, sadicamente, squartando la nostra democrazia e partorendo feroci discriminazioni. Si dice che non si risponde all’odio con l’odio ed è un principio condivisibile, ma non si può nemmeno pensare di rispondere all’odio confidando solo nel cervello di chi ne è responsabile. La fiducia nel confronto è una cosa bellissima, come bellissima è la teoria gandhiana della resistenza pacifica, ma nei percorsi che la Storia ci ha fatto conoscere non sempre questo funziona.
L’Italia ha aspettato le bombe e le stragi del 1992 per capire che la mafia era un problema serio. Ancor prima, siamo dovuti arrivare al nazifascismo e al rischio di distruzione totale del Paese per organizzare una Resistenza. Abbiamo il vizio di amare questa nazione solo quando ci sono già le macerie. Forse qualcuno non si è accorto che, mentre facciamo gli illuminati predicando confronto e azioni filantropiche, l’Italia precipita in un burrone dentro il quale i diritti di migliaia di persone vengono sbriciolati da provvedimenti, norme, comportamenti illegali di pezzi dello Stato.
Mentre qualcuno si preoccupa di non alzare i toni, ci sono migliaia di persone che, ogni giorno, non solo subiscono atti di razzismo e di violenza, umiliazioni, ingiustizie, in qualsiasi luogo, nelle strade, sui posti di lavoro, nelle questure, nei bar, ma vengono privati per legge della loro possibilità di futuro. Con atti discriminatori e intollerabili che non rispettano il dettato costituzionale e riguardo ai quali il Capo dello Stato e i contrappesi istituzionali continuano a essere colpevolmente timidi, troppo morbidi, eccessivamente prudenti. In questo Paese esiste un vuoto politico ed esiste un problema antropologico, culturale. Tutto ciò mentre in alto si consuma una deriva autoritaria che ha poco a che fare con il fascismo e che rischia di essere perfino peggiore, conservando una propria mostruosa fisionomia.
Alzare i toni forse non serve, ma di sicuro serve ancor meno essere morbidi, attendisti o mostrarsi comprensivi con le paure ridicole della gente, con quell’atteggiamento di pancia che non va assecondato, come fa la politica trasversalmente, ma va sfidato, colpito, educato, maltrattato. Non possiamo pensare che l’opposizione si faccia cercando di rispondere solo con le carezze e il ragionamento di fronte a una massa che non vuole ragionare. Qualche ceffone in faccia, idealmente parlando, in attesa di costruire un’alternativa, ogni tanto è utile a svegliare chi è in preda a una crisi di nervi o ai fumi tossici di una propaganda che galoppa veloce. Troppo veloce. Con il popolo pronto, purtroppo, a lustrarle gli zoccoli.