Appena passato il Ferragosto è cominciato un nuovo tormentone estivo. Visto che l’estate quest’anno è apparsa in ritardo – o da alcune parti non si è vista ancora – siamo in coerenza con i tempi. Si tratta della questione del prelievo sulle pensioni d’oro e d’argento. Il governo in cerca di fondi che non ha, per fare fronte alle promesse fatte da Renzi e alle scadenze europee, si è inventato questa non nuova soluzione: chiedere un contributo di solidarietà alle pensioni più alte. Naturalmente si è subito scatenata la corsa tra i vari ministri a chi stabilisce lì asticella più bassa o più alta, con non pochi patemi d’animo per i percettori di pensione che si aggirano attorno alle cifre citate (2.000, 2.500, 3.000, 3.500 euro e via dicendo).
Ma circolano anche ipotesi più raffinate e fantasiose, quale quella lanciata da Tito Boeri e dai due Patriarca. Si tratterebbe, secondo questi economisti ed esperti della materia, di ricalcolare i vantaggi per coloro che sono andati in pensione con il vecchio sistema retributivo o con il sistema misto retributivo-contributivo, e tassare di conseguenza questa differenza rispetto a chi è stato da subito inserito nel sistema contributivo.
A parte il fatto che lo stesso Sole24Ore di qualche giorno fa documentava che non in tutti i casi il ricalcolo delle pensioni con il sistema contributivo genera una riduzione dell’assegno pensionistico, ma vi sono anche circostanze in cui questo aumenta (quindi non è vero in assoluto che chi è andato in pensione con il retributivo è un “privilegiato”), è davvero ostico immaginare in tempi brevi un ricalcolo persona per persona dei valori delle rendite pensionistiche su cui applicare questo prelievo di solidarietà. La proposta, quindi, si presenta come assai poco realistica. D’altro canto coloro che sono andati in pensione con il metodo retributivo non possono essere incolpati di una diversità di trattamento inserita successivamente con la lunga catena di “riforme” pensionistiche abbattutesi sul nostro sistema di previdenza sociale, con il risultato di indebolirlo fino al punto da negare di fatto la pensione all’ultima generazione, in complicità con la precarizzazione del lavoro.
Al di là di questo però bisogna andare alla radice delle proposte allo studio del governo. Esse, pur nelle diverse varianti – a quanto finora se ne può sapere - , hanno tutte un grave difetto comune: quello di presentarsi come un’imposta di scopo , come ha commentato l’autorevole economista Giorgio Lunghini. Tale imposta, finalizzata ad uno scopo circostanziato e limitata per giunta ad una sola categoria di cittadini (i percettori di assegni pensionistici) cozza contro il nostro ordinamento fiscale ed appare in contrasto con diversi articoli della nostra Costituzione, in particolare l’articolo 3 (che concerne la pari dignità sociale dei cittadini davanti alla legge) e l’articolo 53 (che riguarda il carattere progressivo dell’imposizione fiscale). Infatti la Corte Costituzionale già in un recente passato (sentenza 116/2013) aveva considerato illegittimo un provvedimento di prelievo sulle pensioni varato da Berlusconi con la motivazione che l’intervento riguardava i soli pensionati “senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi”.
La Consulta quindi non si oppose affatto a che venissero maggiormente tassati i percettori di redditi più alti, a condizione però che non si trattasse dei soli pensionati.
In altre parole se il governo volesse effettivamente incrementare le entrate fiscali attraverso un’operazione di equità dovrebbe non accanirsi su questo o quello , ma rivedere il sistema delle aliquote – quella massima è ferma al 43% per i redditi oltre i 75mila euro, ma i guadagni da favola vanno molto più in là – alleggerendole per i redditi più bassi e aumentandole per quelli più alti in modo strutturale. Se volesse colpire la ricchezza soggettiva dovrebbe finalmente istituire una vera tassa patrimoniale capace di intervenire, al di sopra di una certa cifra che tuteli il piccolo risparmio, su tutte le forme di ricchezza mobili e immobili in mano a quel quintile più ricco che detiene il 22,7% del reddito complessivo.
Ma come si sa in questo paese basta nominare il termine “patrimoniale” per passare per estremisti, se non per terroristi, dimenticando che molte forme di patrimoniali “oggettive”, come il bollo sull’auto per fare un esempio banale, sono già in atto (infatti lo si paga anche se l’auto sta ferma). Ma queste forme incidono su tutti i redditi in modo non progressivo, colpendo quindi inevitabilmente i certi più deboli. Non sono né eque né efficaci. Ma le nostre classi dirigenti ragionano esattamente come in una famosa battuta di Ettore Petrolini: “i soldi bisogna prenderli ai poveri: non ne hanno tanti, ma sono in molti”!