Da un anno Stefano Rodotà non è più con noi. Meglio, come ha detto Guido Alpa, il più autorevole fra i suoi allievi aprendo un seminario in Suo onore tenutosi mercoledì alla Sapienza, presente Carla, non è più qui fisicamente, ma è più che mai presente con il suo pensiero ed il suo magistero. Da quando è finito sono stati curati due suoi volumi postumi, (uno dei quali Vivere la Democrazia, sarà presentato sempre alla sua Alma Mater il prossimo 28 giugno), gli sono stati dedicati altri due volumi, (uno del Suo amico e Giudice Federale Usa Guido Calabresi, ed uno del sottoscritto con Alessandra Quarta), nonché convegni scientifici a Torino, Roma e Cosenza.
Altri Suoi amici e compagni si sono mobilitati per ricordarne il magistero. Magistratura Democratica è stata infatti convenuta a Roma da Rita Sanlorenzo per discutere del suo impatto sulla giurisprudenza, mentre la Fiom si riunirà, su iniziativa di Gabriele Polo, per discutere delle battaglie di Stefano per i diritti dei lavoratori il 29 giugno a Roma.
Da questo fervore di studi, sono assenti le forze politiche. Da tempo Rodotà svolgeva la sua attività politica, lontano dai partiti. Egli preferiva una politica genuinamente democratica, fatta di prossimità ai movimenti sociali e alle persone (aveva attraversato licei e luoghi occupati) e soprattutto di orizzontalità e rispetto per le opininioni diverse dalle proprie, due caratteristiche che sono completamente assenti negli attuali partiti, malati di leaderismo e verticalità. Del resto, quale Partito potrebbe onestamente dirsi portatore del messaggio di Stefano?
Certo non il Pd i cui vertici e quadri lo tradirono, con variazioni dipendenti solo dal tasso di ipocrisia individuale. Non L&U, che Stefano avrebbe senza dubbio scoraggiato in quanto tentativo velleitario e verticale volto a salvare lo scranno a qualche notabile della precedente legislatura, per di più dimenticando di inserire “in ditta” la fraternità, il solo valore giacobino davvero di sinistra che tanto gli stava a cuore.
Né direi oggi il M5S, che pure cercò con onestà e trasparenza di proporlo come Presidente della Repubblica ma che oggi è alleato con una forza politica che a Stefano ha sempre fatto semplicemente orrore. Eppure sono certo che gran parte della base di questi tre soggetti politici appoggerebbe con entusiasmo un progetto politico fondato sul Diritto di avere diritti, (dal titolo, mutuato da Anna Arendt del più fortunato fra i suoi saggi poilitici). Dal Referendum sull’acqua (2011) a quello costituzionale del 2016 si è verificata un’immedesimazione fra la base elettorale dei partiti che ho menzionato e Stefano Rodotà che costituisce un dato politico importantissimo per chi cerca un cambiamento di egemonia nel sistema politico.
Milioni di italiani autentici democratici disattesero le indicazioni del Pd. Sono questi gli stessi elettori che da anni hanno capito che il neoliberismo rappresenta un micidiale dispositivo di sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente che ha trasformato la vita delle democrazie occidentali in un barbaro tutti contro tutti irrispettoso di ogni valore costituzionale.
Il diritto di avere diritti, i beni comuni, il costituzionalismo dei bisogni, che Stefano ha reso prassi nella sua straordinaria avventura civile, sono prima di tutto un antidoto contro quel disastroso dispositivo di forza verso i deboli e debolezza verso i forti che è la cifra della “politica” attuale. Il pensiero di Stefano ha la forza di farsi oggi ideologia alternativa capace di salvare la democrazia.