Corruzione o confusione? L’onda maleodorante lambisce palazzo
Chigi e il Pd di governo, ed è debole rispondere che si tratta del
partito di ieri. Il rapporto 2014 della Guardia di Finanza fotografa
un paese gravemente malato: solo per i reati contro la pubblica
amministrazione 3.700 presunti responsabili e miliardi di euro
bruciati. Si scatenano analisi, suggerimenti e proposte.
E tuttavia un passo avanti, uno indietro, uno di lato.
Prescrizione lunga sì, ma non troppo, e men che mai scelte drastiche
come escluderla dopo la condanna di primo grado. Legge Severino sì,
forse, magari con limature. Soprattutto su incandidabilità,
ineleggibilità e partecipazione a organi di governo andiamoci
piano. Privacy sì, anche i politici hanno diritto, forse un po’ meno
degli altri, ma è una questione di civiltà. Anche se per la sicurezza
peschiamo con lo strascico nei computer di sessanta milioni di
italiani. Intercettazioni sì, ma non esageriamo. E soprattutto
evitiamo con ragionati bavagli che se ne parli sui media. Con buona
pace dell’opinione pubblica, della responsabilità politica e del
controllo sociale, pilastri della democrazia. Quanto ai magistrati,
è avviata la normalizzazione con le norme sulla responsabilità.
Lo voleva l’Europa? Falso. Al più, chiedeva la responsabilità dello
stato, non quella civile del singolo magistrato.
In ogni caso, indaghiamo partendo dalle cooperative. Poi
mettiamo sotto torchio le fondazioni. E i politici che
frequentano abitualmente Confindustria? Fanno cultura?
Nelle platee di Cernobbio e Ambrosetti nessuno avrà mai dato
o ricevuto mazzette, case, viaggi all’estero, regali, consulenze,
occasioni professionali, o avrà mai saputo, taciuto, tollerato?
E perché cooperative e fondazioni? La corruzione le ha come
forme giuridiche favorite? Le società per azioni non ci
interessano? E le associazioni non profit che gestiscono col
sostegno pubblico servizi di rilievo sociale? Fingiamo di non
vederne la frequente strumentalità verso il consenso per questo
o quel politico? Non a caso fioriscono nel governo locale.
Una cosa è esternalizzare la manutenzione delle fotocopiatrici
e dei computer. Ben altra esternalizzare l’assistenza agli anziani
o ai disabili, magari a cooperative di ex-disoccupati o ex-detenuti.
O ancor più privatizzare l’acqua.
Allora facciamo gestire gli appalti da soggetti indipendenti doc,
scegliendone i componenti per sorteggio. Ma come definiamo la
platea dei sorteggiandi? E chi custodisce i custodi? Poi, basta
chiedere agli universitari per sapere che il sorteggio non
cancella nepotismi e clientele, ma li rende al più erratici
e casuali.
A chi vuole fare impresa vera un consiglio: lasciate perdere, datevi al lotto e al gratta e vinci.
Ma alla fine è il denaro che corteggia la politica o la politica che
corteggia il denaro? Una demagogia pusillanime ha cancellato il
finanziamento pubblico. Una campagna elettorale anche banale
arriva a sei cifre.
I partiti hanno le casse vuote, mentre la preferenza unica esaspera
la competizione al loro interno. Tutti contro tutti, e le
primarie raddoppiano i costi. Attrarre contributi è per
i candidati vitale, e non si chiedono ai poveracci.
Combattere la corruzione richiede una strategia globale
e coerente, volta a prevenire e ostacolare l’attività criminosa
giorno per giorno, in ogni luogo in cui si gestisce la cosa pubblica.
Riforme costituzionali ed elettorali che favoriscano la
rappresentatività e le new entries, e tendano a ripristinare gli
strumenti della responsabilità politica e istituzionale.
Questo si ottiene abbattendo le soglie, riducendo al minimo gli
incentivi maggioritari, evitando l’ipertrofia degli esecutivi
a danno delle assemblee elettive.
Riforme che contengano i costi della politica, ad esempio
scegliendo il collegio piuttosto che il voto di lista
e preferenza, e parallelamente ripristinando un finanziamento
pubblico ragionevole, rigoroso, a prova di imbroglio.
Una legge sui partiti che garantisca la democrazia interna e i
diritti degli iscritti, rendendo al soggetto politico la capacità di
reggere responsabilità pubbliche, e superando il populismo
demagogico delle primarie aperte.
E ancora riforme della pubblica amministrazione, che riportino
all’interno dell’organizzazione pubblica un sapere tecnico che eviti
al massimo il ricorso a competenze esterne nella forma di
consulenze, organismi tecnici, nuclei di valutazione o altro.
Riforma del rapporto tra politici e dirigenti, che temperi la
sudditanza del dirigente verso il politico cui deve la propria
nomina o la permanenza nell’incarico.
Ripristino di forme essenziali di controllo di legittimità degli
atti. Piena visibilità, escludendo garanzie di privacy, per le
responsabilità penali, civili, amministrative, contabili di chi
opera nel pubblico o a contatto del pubblico.
Alla fine, e solo alla fine, sanzioni penali incisive per corrotti e corruttori.
Poco o nulla del genere è nei propositi del governo, che anzi va in
senso largamente opposto. La vastità del compito esalta la mancanza
di un disegno. Ma esalta anche la pochezza delle risposte degli
oppositori.
La classe dirigente rottamata e in via di estinzione ha commesso un
errore decisivo con le primarie aperte, consegnando il partito
e il paese a Renzi. Ma è stato solo l’ultimo di una lunga serie di
errori dovuti in buona misura alla accettazione subalterna di una
cattiva cultura politica e istituzionale, estranea alla
tradizione della sinistra.
Un punto rimane. Di certo Renzi e i suoi hanno rottamato il vecchio.
Per quel che fanno, non costruiranno il nuovo. Se avremo fortuna,
saranno solo un transitorio.