Intervista. Luciano Gallino, autore de «Il colpo di stato di banche e governi»: «Il referendum greco potrebbe far crescere il numero delle persone che vogliono farsi sentire sull'euro o sul funzionamento dell'Unione Europea» di Roberto Ciccarelli
«Il referendum contro l’austerità in Grecia è stato politicamente importante per l’intera Europa — sostiene Luciano Gallino, autore di FinanzCapitalismo e Il colpo di stato di banche e governi (Einaudi) — Se un popolo ridotto in miseria, che conta 11 milioni di abitanti, riesce a creare seri problemi ai paesi più importanti d’Europa, con un peso economico e politico come la Germania, ad un certo numero di persone potrebbero venire delle idee.
Quali, ad esempio?
Anziché subire passivamente le direttive di Bruxelles,
che in molti casi sono quelle di Berlino, potrebbero
puntare i piedi e discutere i provvedimenti. Cosa che non
è avvenuto in Italia negli ultimi quattro governi italiani
che hanno accettato passivamente e pedissequamente
obbedito alle terapie della Commissione Europea o della
Bce. Non si è mai vista una banca centrale chiedere di
rendere flessibile il mercato del lavoro. Lo fece con
Trichet da governatore con la lettera del 2011. Il governo
Monti messo al posto di quello Berlusconi ha
immediatamente provveduto a farlo. Chissà se il caso
della Grecia non farà crescere il numero delle persone che
vogliono farsi sentire sull’euro o sul funzionamento
dell’Unione Europea.
Tsipras ha denunciato un
colpo di stato contro il suo governo. Che cosa è accaduto
davvero in Grecia nell’ultima settimana?
Si è concretata la situazione che sta maturando da molti
anni. La democrazia è un fattore di disturbo per le
istituzioni europee, per molti paesi a cominciare dalla
stessa Germania o per il Fondo Monetario
Internazionale. Tanto Lagarde, quanto Merkel, hanno detto
in varie occasioni che è molto bello vivere in democrazia
ma che bisogna anche rendersi conto che la democrazia si
deve conformare alle esigenze del mercato. Io trovo
queste dichiarazioni politiche di una gravità
eccezionale perché dovrebbe essere vero invece
esattamente il contrario. In Europa la democrazia viene
considerata ormai un intoppo per le decisioni del
mercato. Del resto nei trattati fondativi dell’Unione
i riferimenti alla democrazia sono nulli. Con la Grecia
hanno proprio esagerato. Se anche i primi ministri, per
non parlare dei funzionari della Bce o di importanti
esponenti dei socialisti hanno interferito apertamente
con il governo greco, dimostrando che per loro la
democrazia è una seccatura per la libera circolazione
dei capitali. La socialdemocrazia è scomparsa
totalmente. È ora di prendere posizione. Non che sia facile
ma, piuttosto che battere la testa contro un muro, vale la
pena di provarci.
Professor Gallino lei
sostiene che dal 2007–8 sia in corso in Europa proprio un
colpo di stato. Il referendum greco è stata una prima
risposta collettiva?
È una risposta politica dei greci a cinque anni di
politiche devastanti imposte da Commissione Ue, Fmi
e Bce, ed è anche la prima contro quanto è maturato in
Europa dalla crisi dei debiti sovrani in poi. La prima fase
del colpo di stato presupponeva che le vittime
protestassero un po’, per poi obbedire come nulla fosse
successo. Oggi, il fatto che un paese economicamente
insignificante alzi la testa e prenda a calci negli
stinchi questi poteri è un fatto rilevante. Alexis
Tsipras ha rivelato una tempra fisica e politica
eccezionale per reggere cinque mesi di trattative. Oggi
il fatto nuovo è che qualcuno abbia detto “No”, non solo
nelle piazze, ma soprattutto nelle trattative, imponendo
un referendum al quale hanno partecipato milioni di
persone. Questo ha innervosito molto Merkel e gli
ineffabili pretoriani della Commissione Europea o del
Consiglio Europeo.
Quante possibilità
esistono per un accordo sul debito e sui fondi per la
Grecia?
Lo spettro delle opzioni sul tavolo oggi è molto ampio. La
ristrutturazione del debito è essenziale, ogni
economista di mezza tacca ammette che non è pagabile. La
Grecia ha perso il 25% del pil grazie alle medicine
tossiche di Bruxelles. In queste condizioni, se va
bene, riusciranno a pagare un debito che arriverà al 180%
del Pil tra moltissimi anni. Questa situazione dimostra
che gli economisti che hanno proposto queste ricette non
conoscono il loro mestiere e andrebbero licenziati. La
soluzione è quella di affrontare i problemi immediati:
creare occupazione qualificata per milioni di persone,
se è possibile evitando i giochetti come il Jobs Act che
non servono a nulla, aumentare la produzione
possibilmente non con le vecchie politiche industriali
e nuove politiche di investimenti pubblici. Per fare
questo è necessario ridiscutere il trattato istitutivo
dell’Unione Europea, oltre che lo statuto della Bce, che non
contempla la necessità della nostra epoca, cioè creare
occupazione o il prestito di denaro ai governi. Una cosa
inaudita per una banca centrale.
In che modo si può
intervenire?
Ci sono due problemi collegati da affrontare. I trattati,
oggi, non sono modificabili, se non all’unanimità. È il
segno dell’impossibilità pratica di intervenire: come si fa
a far votare 28 paesi insieme? Questo è il funzionamento
di un’unione nata male, fondata sulle necessità
economiche e non su quelle democratiche, dove la
partecipazione non conta nulla. Poi c’è il problema della
Germania, l’unico paese ad avere avuto vantaggi dall’euro
in termini di export e produttività, anche se negli ultimi
dieci anni in questo paese i salari sono rimasti fermi.
Convincerla a diminuire l’export, è difficile se non
impossibile, ma questo è uno dei problemi fondamentali
e lo dicono anche gli economisti tedeschi. L’euro non
funziona e non funzionerà mai. Non si tratta però di
continuare le invettive contro la finanza, ma di mettersi
a studiare cosa fare per migliorare l’euro, per affiancarlo
a monete parallele o dissolverlo in maniera consensuale.
Così com’è l’euro è una camicia di forza che rende la vita
impossibile a tutti, tranne che alla Germania.
In Europa Tsipras
è isolato. Se il suo governo perde la guerra, cosa si
prepara per la Spagna, con Podemos, e in generale per
l’Europa?
A questo punto, anche se perde, Tsipras ha vinto comunque.
Le vittorie restano, spingono le persone a fare qualcosa
che prima non osavano nemmeno immaginare. Qualcosa di
nuovo può rinascere dopo la scomparsa totale della sinistra
in Europa.