Adesso che la legge elettorale, concordata fra Renzi e Berlusconi ma
effettivamente scritta da Verdini, è stata approvata da un ramo del
Parlamento, la realtà ci dimostra quanto sia utile un sistema bicamerale
come clausola di salvaguardia per garantire che le decisioni politiche
più importanti non siano assunte nella fretta e con l'inganno.
Fino
a quando non sarà abolita la seconda Camera i blindati del decisore
politico di turno non potranno passare a passo di carica sui diritti del
popolo bue, travolgere l'eguaglianza, sopraffare le minoranze politiche
o sociali. Dovranno affrontare il terreno accidentato delle pause di
riflessione, delle contestazioni dell'opinione pubblica e dei
ripensamenti che possono allignare persino nella coscienza degli yes-men
inviati dai partiti in Parlamento.
Proprio la vicenda della
legge elettorale è una dimostrazione in corpore vivo della funzione di
garanzia del bicameralismo che, solo qualche anno fa, tanto per fare un
esempio, ci ha salvato dal ritorno di alcuni istituti tipici delle leggi
razziali come l'espulsione dalle scuole italiane dei fanciulli figli di
un Dio minore. (art. 45, lett. f. del pacchetto di sicurezza Maroni).
Quindi
anche in questa vicenda dobbiamo confidare che le virtù del
bicameralismo siano in grado di attivare un circuito decisionale meno
asfittico e di consentire al popolo italiano di mettere becco in una
questione che è di importanza vitale per la qualità della democrazia.
“Fra
le questioni costituzionali non v’è n’è una tanto vitale per
l’ordinamento delle garanzie pubbliche e che tocchi tanto da vicino la
vita politica di tutto il popolo quanto la legge elettorale”, affermava
Togliatti, intervenendo alla Camera nella discussione in corso sulla
Legge Truffa, l'8 dicembre 1952. Del resto già duecento anni fa Gian
Domenico Romagnosi aveva scritto che: “la teoria delle elezioni altro
non è che la teoria della esistenza politica della Costituzione – e
quindi che – è manifesto essere la materia delle elezioni l'oggetto più
geloso che l'ordinamento dello Stato deve statuire”. Con parole più
moderne potremmo dire che il sistema elettorale produce la “Costituzione
materiale”, cioè determina l'ordinamento costituzionale vivente.
E'
fin troppo facile rilevare che questa legge elettorale darebbe vita ad
un nuovo ordinamento politico, modificando radicalmente il volto della
democrazia costituzionale, come prefigurata dai Costituenti. In
particolare l'Italicum ripropone gli stessi vizi di incostituzionalità
del porcellum, già denunciati dall'appello dei costituzionalisti
pubblicato il 26 gennaio: ci sono le liste bloccate, come nel porcellum,
c'è un premio di maggioranza che, combinato con le soglie d'accesso
raddoppiate, distorce profondamente la volontà manifestata dal corpo
elettorale, creando lo stesso risultato di disuguaglianza nel voto
censurato dalla Consulta. Inoltre non viene introdotta la parità di
genere, come prescritta dall'art. 51 della Costituzione.
L'Italicum
nella sua impostazione si muove lungo i binari del porcellum, ma il
risultato è fortemente peggiorativo. Infatti laddove il Porcellum mirava
ad imporre una sorta di bipolarismo forzato, l'Italicum tende ad
imporre un bipartitismo forzato, ovvero a creare una maggioranza
artificiale nelle mani di un unico partito.
A questo proposito
bisogna rilevare che è stato creato un meccanismo infernale per cui il
premio di maggioranza effettivo non si limiterà al 15%, ma sarà molto
superiore in quanto un partito potrebbe accedere al premio di
maggioranza, cioè al 53% dei seggi, anche avendo il 20/25% dei voti
popolari e giovandosi dei voti della coalizione che non producono seggi
per i partiti minori. Questo meccanismo perverso non esisteva nella
legge Calderoli. Nella tradizione italiana, pur all'interno di un
sistema sostanzialmente bipolare, ci sono sempre stati governi di
coalizione.
Per trovare un Governo formato da un unico partito
bisogna risalire al 1924. Nella legislatura precedente il Capo del
Governo si trovava a guidare una maggioranza composita formata da
partiti e partitini. All'epoca si sentì l'esigenza di sbarazzarsi del
ricatto dei piccoli partiti per consentire un'attività di governo più
omogenea ed incisiva, in grado di realizzare le riforme di cui il Paese
aveva bisogno. La soluzione trovata fu una nuova legge elettorale che
correggesse quell'orribile sistema proporzionale che anche allora era
considerato una sciagura da alcune parti politiche.
La legge
Acerbo, attribuendo un enorme premio di maggioranza alla lista che
avesse ottenuto un solo voto in più di tutte le altre liste, determinò
la formazione del listone, che consentì a Mussolini di sbarazzarsi dei
piccoli partiti e di catapultare alla Camera 355 deputati (più altri) da
lui direttamente nominati. Un unico partito ebbe in mano le chiavi
della maggioranza parlamentare e non tardò a trasformarsi in partito
unico. Con la legge Acerbo fu cambiata la natura del Parlamento come
istituzione rappresentativa e la Camera dei deputati fu trasformata in
un bivacco di manipoli.
Tuttavia la legge Acerbo, pur mettendole
nell'angolo, non riuscì ad impedire l'accesso al Parlamento delle forze
d'opposizione perché non prevedeva le soglie di sbarramento per i
partiti minori. Se Acerbo avesse adottato il metodo Verdini, Mussolini
non avrebbe avuto bisogno di far uccidere Matteotti per sbarazzarsi
dell'opposizione parlamentare; ci avrebbe pensato la legge elettorale a
tenere fuori dalla Camera Matteotti e Gramsci.
La domanda è
questa: è possibile dopo 90 anni, dopo la Resistenza, dopo l'avvento di
una Costituzione democratica, fare una legge elettorale peggiore della
legge Acerbo? Al Senato l'ardua risposta!
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