Si direbbe che i nomi che cominciano per “Occhett” non evochino un futuro rigoglioso per la democrazia italiana. Il primo, che era Achille Occhetto, rase al suolo la sinistra italiana, distruggendo durevolmente il sistema politico del Paese, fino agli esiti che oggi conosciamo. Il secondo che è il padre Francesco Occhetta, in un inciso di un lungo e problematico articolo della Civiltà Cattolica , lancia una scialuppa di salvataggio a un Matteo Renzi che rischia di naufragare con la sua nuova Costituzione, ipotizzando un “auspicabile successo del referendum”, che significherebbe in realtà il ribaltone costituzionale della democrazia.
Secondo i giornali, con l’articolo di padre Occhetta “la Chiesa” avrebbe emesso la sua sentenza sul conflitto costituzionale in corso. Occorre subito aggiungere, però, che nello stesso tempo il saggio gesuita spiega al presidente del Consiglio che deve lasciare agli italiani di decidere nel merito della proposta riforma, e non secondo “le personalizzazioni e le strumentalizzazioni politiche del testo”, e gli dice anche che non si tratta (non dovrebbe trattarsi) di “un voto favorevole o contrario al governo”; il padre gesuita insiste anche sulla necessaria coerenza tra i principi e i diritti fondamentali della prima parte della Costituzione e l’”ingegneria costituzionale della seconda”, che è “una parte tutt’altro che neutra”, e già prenota “successive modifiche migliorative”, della nuova Carta, prefigurando una sorta di passaggio dalla Costituzione rigida dei padri costituenti alla Costituzione semper reformanda dei politici volubili di oggi.
Non si può dire che l’articolo della Civiltà Cattolica trasudi entusiasmo per l’impresa dei neo costituenti, di cui non manca di rilevare lo scarso successo di pubblico e di critica, soprattutto nella vasta platea di costituzionalisti, ex giudici costituzionali e presidenti della Consulta. Tuttavia anch’esso soggiace a quel principio di fatalità per il quale è di moda dire che la nuova Costituzione è brutta e cattiva ma bisogna votarla: che è la posizione dissociata espressa da Cacciari, da Scalfari (“Renzi vuole comandare da solo? E così sia”), dal nuovo direttore di Repubblica, da Bersani, da Visco e da quanti, a pensare un’Italia senza Renzi, sono presi da una sorta di “horror vacui”. Come se Renzi fosse stato tessuto dalle Parche nel nostro destino, cosa che peraltro potrebbe ammettere chiunque, tranne che un gesuita. Lo stesso Renzi ha scambiato la nuova Costituzione per il fato, e ha confessato alla direzione del PD di non sapere come il nuovo ordinamento funzionerà, però lo vuole.
Tuttavia, nonostante questo contesto di giudizi sospesi e incompiuti, l’inciso di padre Occhetta sull’auspicabile successo del referendum ha fatto gridare di entusiasmo i paladini di Renzi, come la Repubblica che ha intitolato a tutta pagina: “la Chiesa per il sì alla riforma Boschi” mandando all’aria tutta la laicità e la critica all’ingerenza ecclesiastica con cui da due settimane vituperava l’iniziativa dei “Cattolici del NO”, e come i promotori di un contrario appello veicolato dalla Comunità di San Paolo “per una scelta laica nel referendum costituzionale”, che rilanciavano il documento gesuita e lo ostentavano a quelli del NO.
In tutto questo uno sprazzo di verità veniva proprio dalla Repubblica che in un articolo di Alberto Melloni faceva esplodere il vero punto di contrasto tra la visione di padre Occhetta per cui “anche il nuovo testo dovrà essere in grado di accompagnare lo sviluppo del Paese a ritrovarsi intorno ai principi della Costituzione secondo la tradizione del cattolicesimo democratico che l’ha originata” e quella dei novatori “nel momento in cui Matteo Renzi intesta il referendum ad un governo che ha fatto dei corpi intermedi – che sono un caposaldo – qualcosa da abbattere”; ciò che per reazione – secondo Melloni – può far scattare quell’”istinto materno” che il mondo cattolico nel suo complesso nutre nei riguardi di una Costituzione che sente come sua.
È chiaro pertanto che lo scritto
della rivist a dei gesuiti non chiude la partita, neanche nel mondo cattolico.
Può darsi che anche con un papa così innovativo come Francesco continui ancora,
come si dice, il vecchio rito della correzione delle bozze della Civiltà Cattolica da parte della Segreteria di Stato; ma se così fosse, non funzionerebbe troppo bene il
circuito di comunicazione papa-segreteria di Stato-rivista, perché il papa in
persona è andato all’ONU a rivendicare “il dominio incontrastato del diritto” e
i capisaldi delle Costituzioni democratiche messi in scacco dalle riforme
renziane: “La limitazione del potere – ha detto il papa – è un’idea implicita
nel concetto di diritto.
Dare a ciascuno il suo, secondo la definizione classica di giustizia, significa che nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei gruppi sociali. La distribuzione di fatto del potere (politico, economico, militare, tecnologico, ecc.) tra una pluralità di soggetti e la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendicazioni e degli interessi, realizza la limitazione del potere”. E nell’incontro con i movimenti popolari a Roma aveva detto ancora di più, non si trattava solo delle strutture della democrazia (quelle della seconda parte della Costituzione), ma bisognava urgentemente “rivitalizzare” le democrazie attraverso il protagonismo delle grandi maggioranze, che “trascende i procedimenti logici della democrazia formale”.
Dunque certamente la Costituzione non deve rimanere immutata e immobile: ma il cambiamento non deve nostalgicamente rifugiarsi in una democrazia dimezzata, ma deve rischiare il protagonismo di tutti i soggetti del sistema per realizzare una democrazia più abbondante, sostanziale, perfino oltre i limiti della democrazia formale, dove la stessa giustizia di ciò che è dovuto è oltrepassata dalla misericordia di ciò che di fatto è reso possibile (l’art. 3!).