I monumenti che tutto il mondo ci invidia vengono lasciati cadere a pezzi (con gli immaginabili vantaggi per il turismo), la scuola è trattata peggio di Cenerentola (con gli immaginabili vantaggi per l’innovazione e l’economia), ma boss e gregari della partitocrazia non mollano neppure un euro delle loro prebende di Casta.
Mafie e altre criminalità spadroneggiano ormai ovunque, dalla Valle d’Aosta alla Calabria, mentre il dittatore kazako colonizza il ministero degli Interni.
L’informazione conosce un tasso di servilismo (e relativa disinformacija) che renderebbe raggiante anche Putin. Si finisce in galera (fatiscente) per il furto di qualche mela, e in parlamento per il furto di qualche milione.
Il paese va a rotoli, insomma. Perlomeno sappiamo di chi è la colpa: Piero Calamandrei e Duccio Galimberti. Gli uomini e le donne che hanno scritto la nostra Costituzione, gli uomini e le donne che qualche anno prima sono saliti in montagna, hanno preso le armi, hanno dato vita alla Resistenza da cui la Costituzione è nata. Se l’Italia si sta decomponendo nella putrefazione dell’illegalità e dell’inefficienza, dell’ottundimento mediatico e della menzogna, la colpa è infatti della Carta repubblicana e la salvezza nel suo abbattimento, questo vanno predicando di sproloquio in borborigmo gli ominicchi e i quaquaraquà di un governo inetto e miserabile, di una maggioranza stomachevole e cialtrona (al netto dai crimini). E i loro manutengoli mediatici.
Rappresentano la quintessenza delle mediocrità, il rovescio esatto della meritocrazia. Anche i sassi sanno che i problemi dell’Italia nascono dalla mancata realizzazione della Costituzione, ma questi parvenu e macchiette della Repubblica hanno la temerarietà di impalcarsi a nuovi padri costituenti, benché di fronte agli uomini e le donne del ’46 non siano neppure nani di fronte ai giganti, ma una nuova e deplorevole specie zoologica.
Hanno una sola preoccupazione, che oggi venga salvato Berlusconi. E che comunque venga calpestata la Costituzione. Se si permettono ogni ignominia è perché l’indignazione, quando non si trasforma in lotta e poi in organizzazione e in voto, finisce per convertirsi in rassegnazione, foriera di esplosioni senza futuro.
Ribelliamoci: con centinaia di migliaia di firme, e una manifestazione nazionale di piazza a settembre.