Si avvicinano le feste di Natale, ma per la giustizia questi sono
giorni di lutto. Ieri la Procura di Palermo è stata commissariata dal
PUP (Partito Unico della Politica). Tutti i membri “laici” del Csm
(tutti! Compreso quello votato, con evidente leggerezza, dal M5S, sugli
altri di “sinistra” non stendiamo neppure un velo pietoso, ormai
“sinistra” è sinonimo di inciucio e altri patti del Nazareno) al Csm
hanno votato compatti per Lo Voi, privo dei requisiti solitamente
indicati per un incarico dirigenziale del genere, allo scopo di
impedire che due magistrati da anni diversamente impegnati contro la
mafia, Lo Forte e Lari, potessero prevalere (quella di Lo Forte era la
nomina praticamente ovvia, se il Csm applicasse i criteri sbandierati
in ogni documento, cerimonia solenne, monito presidenziale).
I
migliori tecnici del diritto sostengono che ci sono tutte le premesse
per un ricorso al Tar che rovesci una decisione in cui la negazione
dell’imparzialità grida al cospetto del cielo. Ma ormai la tecnica
giuridica sempre meno detta il diritto, sempre più la giustizia e i
suoi annessi e connessi obbediscono ai voleri del Palazzo, agli umori
dell’establishment, alla “legge” del più forte, che della giustizia è
negazione. Quindi, una sentenza giusta del Tar sarebbe un miracolo,
come sarebbe stato un miracolo una decisione equa, meritocratica, da
parte del Csm (lo avevamo già scritto del resto un paio di settimane
fa).
Perché i due tratti salienti della carriera del
neo-procuratore Lo Voi sono il rifiuto di firmare l’appello con cui
tutti magistrati antimafia chiesero, dopo le stragi di Capaci e via
D’Amelio, l’allontanamento del procuratore Giammanco, indimenticabile
nemico di Falcone, e la nomina a un importante incarico europeo
(Eurojust) da parte del governo Berlusconi. Mentre il curriculum
anti-mafia (e non solo) di Lo Forte è impressionante, e assai cospicuo
anche quello di Lari: ragioni inoppugnabili per NON nominarli, da parte
di un establishment che NON vuole la lotta alla mafia proprio quando di
tale lotta si riempie vieppiù la bocca.
Di fronte al carattere
ciclopicamente scandaloso della scelta fatta dall’organo che dovrebbe
assicurare l’autogoverno dei magistrati (sic!) i membri togati che hanno
votato in ottemperanza ai criteri che tutti solennemente proclamano,
dovrebbero trovare l’elementare coraggio di dimettersi in massa, unico
modo per porre di fronte all’opinione pubblica la drammaticità di una
situazione che oltretutto mette irresponsabilmente ad ulteriore
repentaglio la vita dei magistrati che a Palermo la mafia la combattono
davvero. Perché è stato scritto infinite volte, e ripetuto in infinite
commemorazioni ufficiali e solennissime, che isolare Falcone e
Borsellino che la combattevano è stato per la mafia il segnale che si
poteva colpirli.
Sarebbe consolante poter scrivere che comunque
ci sarà un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica, nelle grandi
testate “indipendenti” che in altri momenti e per molto meno (or non è
guari, non decenni fa) chiamavano a mobilitarsi in piazza, tra i
colleghi dei magistrati così ingiuriosamente privati di quanto i criteri
stessi proclamati dal Csm doveva loro conferire. Non accadrà nulla,
probabilmente, complice anche il clima natalizio, festoso di
mega-applausi per gli etici comandamenti in salsa catodica ma vilmente
indigente di indignazione quando nella realtà i valori più elementari
della nostra Costituzione vengono calpestati.
E il sonno dell’indignazione genera mostri.
In lutto per la giustizia