Sebbene la discussione sulla Flat Tax ponga dei problemi di
giustizia fiscale non banali, l’attenzione sul diverso trattamento
fiscale dei redditi soggetti all’IRPEF non è corretta.
Siamo tutti d’accordo sulla crisi del fisco, ma si affrontano i
problemi senza prospettive strategiche e senza inquadramenti organici.
Il dovere fiscale è compreso fra i doveri costituzionali: l’adempimento
dei doveri inderogabili è stata definita come una norma chiave in quanto
con essa si è voluto affermare che lo Stato è in funzione dell’uomo.
Questo principio è ignorato dal governo e dalle tesi dell’opposizione e,
quest’ultimo aspetto, solleva dei problemi di politica economica
rilevanti. Innanzitutto, tutta la discussione rimuove il tema delle così
dette tassazioni sostitutive che vanificano la tassazione progressiva,
delineando un quadro legislativo improvvisato.
L’aspetto più grave della crisi sta nel disorientamento del governo
e nella rivendicazione del PD di avere già realizzato la Flat Tax per
le imprese. Mi spiace dirlo, ma la proposta della Flat Tax persegue un
obbiettivo politico attraverso la discutibile strada tecnica. Nei fatti,
la proposta non tiene conto della sua pratica inesistenza, se non in
quei Paesi periferici e arretrati dove, come ci ricorda “acutamente”
Giulio Tremonti, la gente va in ospedale portandosi dietro coperte e
medicinali. Si tratterebbe di un passo indietro rispetto ai Paesi
europei dove la progressività è codificata, come in Italia e in Spagna e
accolta negli altri Paesi europei come parità di trattamento in senso
sostanziale.
Il dibattito nazionale si sofferma sul principio costituzionale del
concorso alle spese pubbliche che deve essere commisurato alla capacità
contributiva. L’utilizzazione dell’imposta a fini economici e sociali
redistributivi in particolare realizza il principio della capacità
contributiva. È un principio sacrosanto, ma nella discussione sfugge la
vera frattura intervenuta nel sistema fiscale nazionale. Inoltre, la
progressività dovrebbe fondarsi su quelle imposte che per la loro natura
si prestano ad aliquote progressive.
La crisi del fisco italiano è vera e profonda perché la nostra
struttura fiscale è molto sensibile all’andamento degli scaglioni e
delle aliquote, ma anche altrettanto sensibile ai presupposti d’imposta.
Di solito s’immagina la ridistribuzione esclusivamente attraverso il
ridisegno delle aliquote fiscali che fanno capo all’Irpef, ma questo
approccio perde per strada la crisi di struttura che attraversa il fisco
nazionale ed è rimossa da tutti gli interventi. Infatti, occorre
sottolineare che l’Irpef è composta all’85% da lavoro e pensionati.
Aumentare o ridurre la progressività per un solo reddito, quindi, non
porterebbe a mutamenti sostanziali nella distribuzione del carico
tributario. Questa è la questione rimossa da tutti! Se non ridisegniamo i
presupposti d’imposta dell’Irpef, cioè se non allarghiamo la base
imponibile, modificare o meno gli scaglioni non servirebbe a molto alla
redistribuzione del reddito, perché l’Irpef intercetta una sola
categoria di reddito.
La vera riforma fiscale non passa dalla riduzione o meno delle
aliquote e degli scaglioni, piuttosto dall’allargamento della base
imponibile, reintroducendo nell’Irpef i redditi che oggi sono sottoposti
a cedolare secca. Questa è la vera discussione che dobbiamo affrontare,
e non l’opportunità o meno di introdurre la Flat Tax. La Flat Tax già
esiste per tutti i redditi che non rientrano nell’Irpef e, questi, non
sono pochi.
Dobbiamo anche ricordare che le risorse mobilitate per sostenere la
spesa pubblica sono proporzionali alla complessità dei sistemi
economici; tanto più una economia è sviluppata, tanto più il peso del
prelievo fiscale è importante. Infatti, i servizi necessari al
funzionamento delle economie moderne sono direttamente proporzionali al
livello di sviluppo dei singoli paesi: i paesi a capitalismo maturo
registrano una pressione fiscale che varia dal 40 al 45% del PIL; i
paesi più arretrati, si pensi agli stati candidati a entrare nell’Unione
Europea, registrano una pressione fiscale che raramente supera il 30%
del PIL. Chi propone di ridurre il prelievo fiscale dovrebbe anche dire a
quale idea di società fa riferimento, così come chi critica la Flat
Tax, attribuendo all’attuale regime fiscale una presunta progressività,
dovrebbe pur discutere se questa sia realmente progressiva per tutti i
redditi.